Utilizzabili i risultati del prelievo ematico effettuato contro la volontà del soggetto per accertare la guida in stato di ebbrezza (Cass. n. 6755/2013)

Redazione 11/02/13
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Svolgimento del processo

G.R. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d’appello di Brescia che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 4.11.2011 dal Tribunale dello stesso capoluogo in ordine al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), ha concesso i doppi benefici di legge.

Con un unico motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla richiesta di assoluzione con la formula perchè il fatto non sussiste.

Si deduce l’inutilizzabilità probatoria dell’accertamento ematico cui fu sottoposto il ricorrente contra legem presso gli OO.RR. di Bergamo su richiesta degli agenti di P.G..

Si assume che non fu avvertito della facoltà di nominare e farsi assistere da un difensore ed il prelievo del sangue avvenne senza che potesse esprimere il consenso. Le condizioni di salute del G. nel momento in cui giunse presso la struttura sanitaria di (omissis) non erano tali da richiedere che venissero effettuati i prelievi di sangue o di urina per le terapie di pronto soccorso in quanto egli era cosciente e vigile. Quindi i prelievi biologici furono effettuati solo al fine di verificare lo stato di incoscienza dovuto all’assunzione di bevande alcoliche o di altro.

Tale nullità è stata ritualmente sollevata prima della deliberazione della sentenza di primo grado.

Motivi della decisione

1. Il motivo esposto è manifestamente infondato e determina la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

In fatto è rimasto provato, come emerge dalla sentenza impugnata, che l’imputato alla guida della sua autovettura era andato a sbattere contro la base di un ponte e all’arrivo dei verbalizzanti appariva in stato di incoscienza, tanto che veniva chiesto l’intervento dell’autombulanza del servizio di soccorso 118. All’esito del ricovero in ospedale i sanitari procedevano agli accertamenti medici tra cui gli esami ematici, all’esito dei quali si accertava un tasso alcolemico nel sangue di 2,04 milligrammi.

Questa Corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, ha avuto modo di statuire che “I risultati del prelievo ematico, effettuato durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di incidente stradale, sono utilizzabili nei confronti dell’imputato per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso” (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1827 del 04/11/2009 Ud. (dep. 15/01/2010), Rv. 245997; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4118 del 09/12/2008 Ud. (dep. 28/01/2009), Rv. 242834).

La censura del ricorrente circa le sue reali condizioni di salute al momento del ricovero che, a suo dire, non richiedevano che venissero effettuati i prelievi di sangue o di urina per le terapie di pronto soccorso, sulla base di quanto evidenziato in sentenza, si risolve in una diversa prospettazione del fatto e, quindi, sottratta al sindacato di legittimità. Pertanto l’accertamento medico attestante il tasso alcoolemico del G., proveniente dalla struttura ospedaliera di (omissis), integra un elemento di prova che legittimamente può fondare il convincimento del giudice.

2. Nè può sostenersi che il difetto di consenso al prelievo del campione costituisca una causa di inutilizzabilità patologica dell’accertamento compiuto, facendo appello a principi di natura costituzionale.

Innanzitutto, va osservato che le situazioni, in relazione all’accertamento del tasso alcoolemico, che in concreto possono prospettarsi, nel momento in cui il conducente, presumibilmente in stato di ebbrezza, abbia provocato un incidente stradale e venga condotto presso una struttura sanitaria, sono diverse, ma, ad ognuna di esse, è possibile dare una regolamentazione ricavabile dalla norma di riferimento – art. 186 C.d.S., comma 5 – nella sua attuale formulazione già in vigore al momento del fatto di cui trattasi.

La disposizione normativa in parola prevede che, per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l’accertamento del tasso alcoolemico su richiesta degli organi della Polizia Stradale viene effettuato da parte delle strutture sanitarie, che rilasciano ai predetti organi la relativa certificazione estesa alla prognosi delle lesioni accertate. Il successivo art. 186 C.d.S., comma 6 statuisce che, qualora da tale accertamento risulti un valore corrispondente ad un tasso alcoolemico superiore a 0,5 grammi per litro di sangue, l’interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini delle applicazioni delle sanzioni di cui al comma 2 dello stesso articolo.

Ne discende che, in presenza dei presupposti di fatto indicati (coinvolgimento del conducente in un incidente stradale, sua sottoposizione a cure mediche da parte della struttura sanitaria) l’accertamento del tasso alcoolemico, richiesto ai sanitari da organi della Polizia Giudiziaria, è utilizzabile ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’interessato, indipendentemente dal consenso che costui abbia o meno prestato all’effettuazione dell’accertamento stesso.

Il primo presupposto di fatto, e cioè il coinvolgimento in un incidente stradale, è un dato oggettivo, non rilevando se esso abbia o meno coinvolto solo il veicolo dell’interessato o anche di altri, quel che importa, infatti, è il pericolo causato alla circolazione stradale; per la sussistenza del secondo presupposto è necessario che il prelievo ematico sia stato eseguito dal personale sanitario della struttura, presso cui è stato condotto l’interessato, nell’ambito di un protocollo medico di pronto soccorso; a tal fine, ovviamente, la valutazione se si debba o meno sottoporre il medesimo a cure mediche e procedere anche al prelievo ematico, onde predisporre adeguate cure farmacologiche, è rimessa agli stessi sanitari. Nell’ambito delle cure che vengono in tal modo prestate, con il prelievo ematico, gli organi di P.G. sono legittimati a richiedere l’accertamento del tasso alcoolemico, i cui risultati possono essere utilizzati ai fini penali, indipendentemente dal consenso prestato o meno in tal senso dal guidatore. In tale caso, poichè l’acquisizione del risultato dell’accertamento ematico è previsto ex lege, non è affatto necessario, a tutela del diritto di difesa, che l’interessato venga avvertito della facoltà di nomina di un difensore. Il conducente potrebbe, però, opporsi ad essere sottoposto alle cure mediche e, quindi, al prelievo di sangue e, sostanzialmente all’accertamento del tasso alcoolemico, disposti dai sanitari nell’ambito di applicazione del protocollo di pronto soccorso cui si è fatto riferimento, ma, in tal caso, atteso il collegamento tra il comma 7 ed il comma 5 dell’art. 186 C.d.S., egli è punito con le pene previste dal comma 2, lett. c) dello stesso articolo, sempre, però, che sia stato informato che, nell’ambito delle cure mediche, era stato richiesto da parte della P.G. ai sanitari il prelievo di sangue per l’accertamento del tasso alcoolemico.

Diversamente, se i sanitari abbiano ritenuto di non sottoporre il conducente a cure mediche ed a prelievo ematico, la richiesta degli organi di P.G. di effettuare l’analisi del tasso alcoolemico, in presenza di un dissenso espresso dell’interessato, è illegittima e, quindi, l’eventuale accertamento, comunque effettuato a mezzo del prelievo ematico da parte dei sanitari, è inutilizzabile ai fini dell’affermazione di responsabilità per una delle ipotesi di reato previste dall’art. 186 C.d.S., comma 2 (V. sul punto anche Sez. 4, Sentenza n. 26108 del 16/05/2012 Ud. Rv. 253596 secondo cui i risultati del prelievo ematico effettuato per le terapie di pronto soccorso successive ad incidente stradale e non preordinato a fini di prova della responsabilità penale sono utilizzabili per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, senza che rilevi l’assenza di consenso dell’interessato. In applicazione di tale principio la S.C. ha affermato che, per il suo carattere invasivo, il conducente può opporre un rifiuto al prelievo ematico se sia finalizzato esclusivamente all’accertamento della presenza di alcol nel sangue).

Non a caso si è fatto riferimento al “dissenso espresso dell’interessato” e non al suo “mancato consenso”, in quanto l’utilizzazione dell’una o dell’altra locuzione ha risvolti applicativi di non poco conto.

Ed, infatti, se basta “il dissenso espresso dell’interessato” gli organi di P.G. possono richiedere ai sanitari l’effettuazione del prelievo ematico e, quindi, dell’accertamento del tasso alcoolemico, ancorchè gli stessi non abbiano ritenuto necessario di sottoporre l’interessato a cure mediche, deducendo il consenso di quest’ultimo, ovviamente previa informazione al medesimo della finalità per cui è effettuato il prelievo ematico (trattasi pur sempre di un consenso informato) anche da un atteggiamento positivo, sebbene verbalmente non espresso; altrimenti, se si richiede “il consenso dell’interessato” è ovvio che esso debba essere espresso, cioè non ricavabile da suoi atteggiamenti.

La scelta del Collegio di ritenere che, per l’utilizzabilità processuale dell’accertamento del tasso alcoolemico, acquisito con le modalità descritte, non ci debba essere “il dissenso espresso dell’interessato”, deriva dalla lettura dell’art. 186 C.d.S., comma 7 laddove il legislatore ha specificamente utilizzato il termine “rifiuto” da parte del conducente, con riferimento all’accertamento del tasso alcoolemico (anche con riguardo al comma 5 dello stesso articolo), il significato lessicale di tale sostantivo di opporsi espressamente (con qualsiasi modalità, ovverosia verbale e non) ad una richiesta di fare o subire un qualche cosa (consenso informato) è incontrovertibile (V. infra sent. Corte Cost. 238/1996). E’ del tutto ovvio, poi, alla luce di un’interpretazione sistematica della norma, che anche in questo caso l’espresso dissenso (rifiuto) del conducente all’effettuazione dell’accertamento alcoolemico, richiesto dagli organi di P.G. ai sanitari, al di fuori dei presupposti illustrati, di cui al comma 5, consente l’applicazione della disposizione del richiamato comma 7. Con riguardo alla ipotizzata violazione da parte della disposizione normativa in esame dei principi costituzionali a tutela della libertà personale del cittadino e del suo diritto di rifiuto a sottoporsi ad accertamenti invasivi anche se per finalità di accertamento di reati, possono essere evocati i principi affermati con la sentenza della Corte Costituzionale 238/1996, la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 224 c.p.p., comma 2, “nella parte in cui consente che il giudice, nell’ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei “casi” e nei “modi” dalla legge”. Principio a maggior ragione da valere anche per gli atti di indagine.

Va osservato che la Corte Costituzionale, è giunta alla pronuncia di illegittimità per arginare l’utilizzo di provvedimenti coercitivi atipici, astrattamente riconducibili alla nozione di “provvedimenti… necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali”, senza che fosse prevista alcuna distinzione tra quelli incidenti e quelli non incidenti sulla libertà personale, così cumulandoli in una disciplina, connotata da assoluta genericità di formulazione e totale carenza di ogni specificazione dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto poteva ritenersi legittima l’esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l’adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale. Carenza normativa a cui, peraltro, di recente il legislatore ha posto riparo con l’introduzione dell’art. 224 bis c.p.p..

Invero, la stessa Corte, nella motivazione della sentenza, nel momento in cui censurava la genericità della disciplina del rito penale, ha segnalato come invece, “…. in un diverso contesto, che è quello del nuovo codice della strada (artt. 186 e 187), il legislatore – operando specificamente il bilanciamento tra l’esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzionale della libertà personale – abbia dettato una disciplina specifica (e settoriale) dell’accertamento (sulla persona del conducente in apparente stato di ebbrezza alcoolica o di assunzione di sostanze stupefacenti) della concentrazione di alcool nell’aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi biologici, (prevedendo bensì in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell’accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale per tale indisponibilità dei conducente ad offrirsi e cooperare all’acquisizione probatoria); disciplina – questa – la cui illegittimità costituzionale è stata recentemente esclusa da questa Corte (sentenza n. 194 del 1996, citata) proprio denegando, tra l’altro, la denunziata violazione dell’art. 13 Cost., comma 2, atteso che la dettagliata normativa di tale accertamento non consente neppure di ipotizzare la violazione della riserva di legge”.

Ne consegue che lo stesso giudice delle leggi ha riconosciuto, nelle due pronunce sopra riportate, la legittimità della disciplina del codice della strada, anche laddove nell’indicare le modalità degli accertamenti tecnici per rilevare lo stato di ebbrezza, non prevede alcun preventivo consenso dell’interessato al prelievo dei campioni.

E, dunque, avendo la stessa Corte Costituzionale, nella richiamata sentenza, individuato quali sono i “trattamenti sanitari”, c.d. invasivi, consentiti, tra cui il prelievo ematico, le modalità previste dall’art. 186 C.d.S., comma 5 per l’accertamento del tasso alcoolemico trovano il loro fondamento nell’art. 32, comma 2 della Carta Costituzionale.

Ciò che può essere opposto è il rifiuto al controllo; ma la stessa sanzione penale che accompagna tale condotta, sancendone il disvalore, risulta incompatibile con la pretesa di un esplicito consenso al prelievo dei campioni.

Nel caso di specie, detto prelievo è stato effettuato nel rispetto delle norme vigenti all’epoca dei fatti (dopo la riforma introdotta dal D.L. n. 151 del 2003, conv. in L. n. 214 del 2003), ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 5, legittimamente presso il presidio ospedaliero in cui era stato portato per controlli medici il G..

Per quanto detto, le censure di inutilizzabilità degli accertamenti ospedalieri in relazione alla positività all’alcool dell’imputato sono manifestamente infondate.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della semola di Euro 1000,00 in favore dalla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della semola di Euro 1000,00 in favore dalla Cassa delle Ammende.

Redazione