Un lavoratore, con mansioni di dirigente di una società, viene licenziato per aver raggiunto i 65 anni di età: illegittimità del provvedimento (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 17/4/2015, n. 7899)

Redazione 17/04/15
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Il Caso: un lavoratore stipulava con una società un contratto di lavoro subordinato per lo svolgimento delle mansioni di dirigente per la durata di 5 anni (2001-2006), tacitamente rinnovabili per un ulteriore quinquennio in assenza di preavviso delle parti. Dopo una prima scadenza, il contratto veniva rinnovato fino al 2011 in assenza di disdetta. Tuttavia, durante il secondo quinquennio, nel 2007, la società comunicava al dipendente l’intenzione di risolvere il rapporto di lavoro a partire dall’anno seguente in ragione del raggiungimento, da parte dell’uomo, dei 65 anni di età.

La Corte territoriale condanna la società al risarcimento del danno, ritenendo che “la ragione del recesso addotta dalla società – costituita dal fatto che il lavoratore avrebbe raggiunto il 65 anno di età nel corso del quinquennio – non costituiva giusta causa di risoluzione del contratto, né poteva valere come “giustificazione”, idonea ad interrompere il rapporto con il dirigente, non costituendo il raggiungimento dell’età pensionabile una ragione di risoluzione del contratto.”
La società, contro tale decisione, propone ricorso per cassazione.

La Corte di Cassazione stabilisce che nel lavoro subordinato privato, a differenza di quanto avviene nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle P.A., la tipicità e tassatività delle cause di estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età o con il raggiungimento di requisiti pensionistici, anche se contemplate dalla contrattazione collettiva. Ulteriore conseguenza è che è nulla la previsione contrattuale secondo cui il rapporto di lavoro si risolve automaticamente al raggiungimento della massima anzianità contributiva.

 

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 17 aprile 2015, n. 7899

(Omissis)

Svolgimento del processo

1. F.G. stipulò con l’ATAM s.p.a. un contratto di lavoro subordinato per lo svolgimento delle mansioni di dirigente dell’area tecnica con decorrenza dal 1712/2001 e per la durata di cinque anni, tacitamente rinnovabili per un ulteriore quinquennio in assenza di preavviso delle parti, da comunicarsi almeno dodici mesi prima della scadenza.
1.1. Il contratto, scaduto 1712/2006, si rinnovò in assenza di disdetta fino al 1712/2011: tuttavia, nel corso di questo quinquennio, con nota del 28/6/2007, l’Azienda comunicò al lavoratore l’intenzione di risolvere il rapporto a far tempo dal 28/6/2008 in ragione del raggiungimento, da parte del F. , dei sessantacinque anni di età.
1.2. Il Tribunale di Reggio Calabria, adito dal lavoratore con ricorso diretto ad ottenere il risarcimento del danno per effetto dell’anticipata risoluzione del rapporto, rigettò la domanda. Su appello proposto dallo stesso F. , la Corte d’appello di Reggio Calabria, con la sentenza qui impugnata del 31/1/ 2012, ha invece accolto l’impugnazione e ha condannato l’ATAM s.p.a. al risarcimento del danno, in favore del lavoratore, liquidato in misura pari alle retribuzioni che questo avrebbe percepito ove il contratto fosse venuto a scadenza naturale.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che la ragione del recesso addotta dalla società – costituita dal fatto che il lavoratore avrebbe raggiunto il 65 anno di età nel corso del quinquennio – non costituiva giusta causa di risoluzione del contratto, né poteva valere come “giustificazione”, idonea ad interrompere il rapporto con il dirigente, non costituendo il raggiungimento dell’età pensionabile una ragione di risoluzione del contratto.
3. Contro la sentenza, l’ATAM s.p.a. propone ricorso per cassazione; il F. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

 

1.- Con un unico articolato motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Assume che la Corte territoriale ha interpretato l’art. 34 del C.C.N.L. per i dirigenti delle imprese dei servizi pubblici locali del 22/12/2004 in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, nella parte in cui ha ritenuto che la deroga contenuta nel comma 6 – secondo cui le disposizioni dell’articolo citato, riguardanti la risoluzione del rapporto di lavoro, non si applicano in caso di risoluzione del rapporto del dirigente che abbia compiuto allo scadere del periodo di preavviso il 65 anno di età – riguardasse solo ed esclusivamente l’obbligo di enunciare il motivo del recesso nella lettera di comunicazione, non anche la necessità della sussistenza di una giusta causa o giustificazione del recesso. Una corretta lettura della norma avrebbe dovuto, invece, indurre il giudice a ritenere che, in caso di dirigente ultrasessantacinquenne, o divenuto tale al termine del periodo di preavviso, fosse possibile il recesso ad nutum nei termini di cui all’art. 2118 c.c., salvo l’obbligo del preavviso. Tale interpretazione troverebbe avallo, secondo la ricorrente, sia nell’art. 4, comma 2, della legge 11 maggio 1990, n. 108 -, a tenore del quale le disposizioni di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1 della legge n. 108/1990, e dell’art. 2 della stessa legge non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro -, sia nel contratto individuale di lavoro del F. , in cui si rinviava alle norme ed alle procedure previste dal C.C.N.L. per i dirigenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
2. – Il motivo è infondato.
2.1. – In via preliminare deve rilevarsi che la ricorrente non trascrive il contenuto del contratto di lavoro intercorso tra le parti, né trascrive la nota del 28/6/2007, prot. n. 3583, con cui ha comunicato l’intenzione di risolvere il rapporto di lavoro con il dirigente. Questi documenti non risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione, né la ricorrente fornisce precise indicazioni per il loro reperimento nei fascicoli di parte o d’ufficio delle precedenti fasi del processo.
Tali omissioni violano il disposto di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. che, unitamente alla norma di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., consacra il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., ord., 24 ottobre 2014, n. 22607; Cass., 9 aprile 2013, n. 8569). Ne deriva che difetta di autosufficienza tanto l’assunto del ricorrente, secondo cui il contratto individuale di lavoro con il F. conteneva l’espresso rinvio alle norme sulla risoluzione del rapporto previste per i contratti a tempo indeterminato, tanto l’asserzione che il recesso sarebbe stato esercitato in considerazione del raggiungimento da parte del lavoratore non solo dell’età pensionabile ma anche dell’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla pensione di anzianità.
Su quest’ultimo aspetto, inoltre, il motivo difetta di autosufficienza anche per l’ulteriore considerazione che l’assunto della ricorrente, secondo cui si tratterebbe di circostanza non contestata, non è sorretto dalla precisa indicazione dell’atto in cui sarebbe stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sarebbe stata provata o ritenuta pacifica (Cass., 18 luglio 2007, n. 15961; Cass., 28 giugno 2012, n. 10853).
3.- L’art. 34 del C.C.N.L. per i dirigenti delle imprese di servizi pubblici locali del 21/12/2004 prevede sotto la rubrica “Risoluzione del rapporto di lavoro”, quanto segue: “1. Nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la parte recedente deve darne comunicazione per iscritto all’altra parte. 2. Nel caso di risoluzione ad iniziativa dell’azienda, quest’ultima è tenuta a specificarne contestualmente la motivazione, in difetto di che il licenziamento sarà ritenuto senz’nitro ingiustificato. 3. il dirigente, ove non ritenga giustificata la motivazione addotta dall’azienda, potrà ricorrere al Collegio arbitrale di cui all’art. 29. 4. 77 ricorso dovrà essere inoltrato alla Federmanager, a mezzo raccomandata A/R che costituirà prova del rispetto dei termini, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione scritta del licenziamento. 5. il ricorso al Collegio non costituisce di per sé motivo per sospendere la corresponsione al dirigente delle indennità di cui agli artt. 35 e 36. 6. Le disposizioni del presente articolo, salva la comunicazione per iscritto di cui al 1 comma, non si applicano in caso di risoluzione del rapporto di lavoro effettuata nei confronti di dirigente che abbia compiuto o compia allo scadere del periodo di preavviso il 65 anno di età”.
3.1. – La Corte territoriale ha interpretato il disposto del comma 6 della norma in esame nel senso che, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro effettuata nei confronti di un dirigente che abbia compiuto sessantacinque anni di età o che li compia allo scadere del periodo di preavviso, l’azienda è tenuta a rispettare la forma scritta della comunicazione del recesso, ma non è obbligata a comunicare il motivo del recesso. Ciò non significa che il recesso deve ritenersi per ciò stesso giustificato, ma solo che “viene meno la presunzione assoluta di ingiustificatezza nel caso di mancata contestuale indicazione dei motivi”.
In altri termini, il motivo deve pur sempre sussistere, e tanto in forza del principio generale imposto dall’art. 1 legge n. 604/1966. 3.2. – Tale interpretazione appare conforme al dato letterale della norma ed ai principi generali dell’ordinamento, secondo cui nel lavoro subordinato privato, a differenza di quanto avviene nei rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni disciplinati dal d.lgs. n. 165/2001, la tipicità e tassatività delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età, ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, ancorché contemplate dalla contrattazione collettiva (Cass., 2 marzo 2005, n. 4355; Cass., 3 novembre 2008, n. 26377; Cass., 9 febbraio 2004, n. 2406). Con la conseguenza che è nulla la previsione contrattuale secondo cui il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva Cass., 2 marzo 1999, n. 1758; Cass., 22 luglio 2002, n.10713).
3.2. – È pertanto corretta la decisione della Corte territoriale, la quale ha dato altresì rilievo, sotto il profilo del comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto individuale di lavoro, alla natura a tempo determinato del rapporto e alla volontà della Azienda di rinnovare il contratto per ulteriori cinque anni (dopo la sua prima scadenza), pur nella consapevolezza che nel corso del secondo quinquennio il dirigente avrebbe raggiunto i sessantacinque anni.
4. – Né una diversa interpretazione può dirsi giustificata dal disposto dell’art. 4, comma 2, della legge n. 108/1990, secondo cui “Le disposizioni di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, come modificato dall’art. 2 della presente legge, e dell’art. 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 6 del d.l. 22 dicembre 1981…”.
4.1. – La norma, che ha la finalità di escludere dalla tutela reale (art. 1) o obbligatoria (art. 2) i licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo, o comunque intimati in violazione della legge n. 604/1966, degli ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, non si applica, secondo il disposto dell’art. 4, comma secondo, legge 1 maggio 1990 n. 108, nei confronti dei prestatori lavoro ultrasessantenni i quali non si siano avvalsi dell’opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Tuttavia, solamente, la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e non anche il mero raggiungimento della massima anzianità contributiva comporta la recedibilità ad nutum dal rapporto di lavoro (Cass., 5 marzo 2003, n. 3237, che, nel rapporto di lavoro contrattualizzato dei dipendenti delle poste italiane, ha escluso la facoltà dell’amministrazione di collocare a riposo d’ufficio il dipendente al compimento del quarantesimo anno di servizio, sancendo la nullità, secondo la normativa propria del contratto a termine, della clausola che pattuisse la cessazione del rapporto di lavoro ad un giorno certus quando; cfr. Cass. 17 febbraio 1999, n.3907; cfr. anche Cass., 20 marzo 2014, n. 6537). 4.2. – Nel caso in esame, come si è sopra evidenziato, la circostanza di fatto che il F. fosse in possesso dell’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento della pensione di anzianità, è stata allegata solo con il ricorso per cassazione, senza che sulla stessa vi siano stati accertamenti o affermazioni di sorta da parte del giudice del merito.
4.3. – In questo quadro, non appare pertinente la questione sollevata dalla ricorrente in ordine alla validità del licenziamento intimato in un periodo in cui il lavoratore godeva del regime cosiddetto di stabilità reale (ossia di non licenziabilità se non per giusta causa o per giustificato motivo), ma destinato a produrre effetti nel periodo, successivo al raggiungimento dei limiti d’età, di libera recedibilità del datore di lavoro (recedibilità ad nutum). Deve tuttavia rilevarsi che, sul punto, pur non senza contrasti, si registra una giurisprudenza assolutamente prevalente, secondo cui il presupposto del raggiungimento dell’età massima prevista dall’art. 11 della legge n. 604 del 1966 (poi riprodotto nell’art. 4 legge n. 108/1990), il verificarsi del quale determina la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro e quindi la libertà di recesso del datore di lavoro, deve sussistere al momento in cui questo manifesta la relativa volontà, non essendo sufficiente che detto presupposto sussista alla data fissata per l’estinzione del rapporto, con la conseguenza che il licenziamento intimato prima del venir meno della garanzia della stabilità deve considerarsi illegittimo in mancanza di giusta causa o giustificato motivo di recesso e non può assumere efficacia per un tempo successivo (Cass., 27 maggio 1995, n. 5977; Cass., 29 marzo 1995, n. 3754; Cass. 8 febbraio 1994, n. 6179; Cass. 20 febbraio 1990, n. 1238; Cass., 18 dicembre 1993, n. 12558; Cass., 30/05/1989, n. 2613; Cass., 16 gennaio 1987, n. 351; contra, Cass. 16 maggio 1995, n. 5356).
4. – In definitiva il ricorso deve essere rigettato.
Le spese a favore del controricorrente, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del F. , delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge.

(Omissis)

Redazione