Truffe online: sì al carcere per evitare reiterazioni (Cass. pen. n. 4038/2013)

Redazione 25/01/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1.1 – Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 21.03.2012, in accoglimento dell’impugnazione del PM avverso l’ordinanza di rigetto del Gip, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di:

C.D., CL.LU., T.R. perchè indagati per il delitto ex art. 416 c.p., per essersi associati, nella qualità di organizzatori, al fine di commettere un numero indeterminato di truffe ed insolvenze fraudolente “on line” (descritte nel capo di imputazione) attraverso la ripetuta pubblicazione di proposte di vendita sul sito internet “e-bay”;

– il T. quale promotore e capo dell’associazione;

– il C. nel ruolo di interlocutore delle vittime;

– il Cl. in qualità di materiale esecutore e di colui che metteva a disposizione il proprio nome per l’intestazione di numeri telefonici forniti alle vittime;

1.2 – Avverso tale decisione, ricorrono per cassazione i tre indagati, deducendo: MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), e).

– T. – 2.1 – deduce violazione di legge consistita nell’omessa notifica del decreto di fissazione del procedimento dinanzi al Tribunale per il riesame, con conseguente nullità assoluta dell’intero procedimento e dell’ordinanza impugnata;

– C. e CL. – 2.2. – deducono, con separati ricorsi, l’illogica motivazione dell’ordinanza che avrebbe omesso di indicare in maniera adeguata gli elementi indiziari necessari per la configurazione del reato associativo;

– il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che i singoli episodi ascritti a ciascuno dei ricorrenti deponevano per l’esistenza di singoli ed autonomi collegamenti di ciascuno di essi con il T., ma non erano indicativi anche dell’esistenza di un’organizzazione e di un collegamento di tutti tre indagati tra di loro;

2.3 – l’ordinanza andava censurata anche per avere ritenuto l’attualità delle esigenze cautelari nonostante il tempo trascorso dai fatti e, in ogni caso, non era stata motivata adeguatamene riguardo all’impossibilità di adottare la misura cautelare meno affittiva come quella degli arresti domiciliari;

CHIEDONO pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

3.1 – I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

3.2 – Per quanto riguarda il motivo relativo alla notifica per il T. va osservato che, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, dagli atti – consultati al fine della verifica dello “error in procedendo” lamentato – emerge la notifica avvenuta in data 29.02.2012 a mani del T. dai carabinieri della Stazione di Besozzo;

– la relata di notifica, redatta su apposito timbro, è applicata sul decreto di nomina del difensore di ufficio, documento allegato al decreto di fissazione del procedimento in camera di consiglio dinanzi al Tribunale per il riesame, ed entrambi i decreti sono stati notificati a mani del T. come emerge dalla nota di trasmissione dei carabinieri del 03.03.2012.

3.3 – Per quanto riguarda i motivi sulla gravità del quadro indiziario, le deduzioni dei ricorrenti non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

a) – Infatti il Tribunale del riesame ha evidenziato tutte le ragioni, fattuali e giuridiche, che sostengono il provvedimento restrittivo impugnato, osservando;

– che le prove a carico degli indagati e sull’esistenza dell’organizzazione, rinvenivano:

– dalle querele delle parte offese, in particolare quella di B.E.;

– dalle perquisizioni operate presso le abitazioni di tutti i tre imputati, presso le quali venivano rinvenuti i computer usati per compiere le truffe;

– dalle ammissioni rese dal C.;

– dagli accertamenti di PG in ordine a carte di identità, patenti di guida, bollette Enel, falsificate ed utilizzate per trarre in inganno le vittime delle truffe;

– che le prove in ordine alla partecipazione dei tre imputati e agli stretti rapporti intercorrenti tra loro si rinvenivano, sia dalle dichiarazioni del C. e sia dalla circostanza che per le truffe venivano utilizzate utenze telefoniche intestate indifferentemente al C. ed al Cl. e così avveniva per i conti correnti;

b) – Il Tribunale, in tal modo, ha indicato, sia i singoli episodi di truffa o appropriazione indebita ascritti come reati-fine, provati dalle numerose denunce e dichiarazioni delle persone offese, a loro volta confermate dalle indagini di PG e, sia gli elementi da cui emergeva la struttura associativa, costituita dai documenti falsificati, computers, conti correnti su cui affluivano i proventi delle truffe;

c) – La motivazione risulta, pertanto, del tutto congrua, sia perchè aderente alle emergenze probatorie e sia perchè esente da illogicità manifesta;

– in proposito va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (vedi Cass. Sez. Pen., sez. 4^, 06.07.2007 n. 37878).

Invero, quanto al primo motivo, il Tribunale, ha congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, sia in ordine ai reati-fine di ricettazione e sia in ordine al delitto di associazione per delinquere, evidenziando gli elementi che, secondo una ricostruzione del tutto priva di illogicità, riconducono l’imputato all’attività di ricezione e custodia dei beni oggetto di furto.

Il Tribunale sottolinea una serie di passaggi, rinvenienti dalla intercettazioni telefoniche nonchè dai servizi di appostamento e pedinamento, da cui emerge non solo la partecipazione dell’ A. ai numerosi episodi di ricettazione contestati ai capi – 4) – 35) – 37) ma anche il ruolo attivo assunto dal predetto all’interno dell’associazione capeggiata dal D.D. ed i contatti con gli altri correi ; significativi sono i riferimenti: a) – all’episodio del (omissis) ove l’ A. veniva notato quale conducente del furgone Iveco che prelevava dalla ditta di autodemolizioni del coimputato D.A. pezzi di ricambio provenienti da delitto (pag. 7); b) – all’episodio del (omissis) relativo al trasporto di altri pezzi di ricambio, provenienti da furto, nel cui ambito l’ A. collaborava coi i coimputati D.A. e C.S. (pag.9); c) – agli episodi del 08 e del 09.03.2010 nei quali emerge il ruolo dell’****** che viene chiamato al telefono dal coimputato D.A. per seguire direttamente l’attività di occultamento di alcuni pezzi di ricambio di illecita provenienza presso il deposito del coimputato C.A. (pag.12);

Il Tribunale compie così una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, sia dei reati-fine che di quello di partecipazione ad associazione per delinquere che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

In materia di misure cautelari personali, il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p.. Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonee a dimostrare il fatto se coordinate organicamente. (Cassazione penale, sez. 4^, 04/03/2008, n. 15198).

3.4) – Tali principi inducono a ritenere inammissibili anche i motivi relativi alla ricorrenza delle esigenze cautelari, atteso che sul punto il Tribunale ha sottolineato, per un verso, “l’elevato numero di truffe commesse” e per altro verso, “la totale inaffidabilità degli indagati che, pur convocati e perquisiti dalle forze dell’ordine” hanno continuato nell’attività delittuosa;

– L’ordinanza impugnata rileva che tali elementi non consentono di ritenere che il regime degli arresti domiciliari sia idoneo, sia perchè colliderebbe con la personalità degli imputati e sia perchè non potrebbe impedire la reiterazione del reato attuato per via elettronica;

Il Tribunale ha compiuto così una valutazione di puro fatto, in ordine al pericolo di recidiva, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, colui che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno di essi al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Si provveda a norma dell’art. 28 norme reg. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 28 norme reg. c.p.p..

Redazione