Truffa ai danni dello Stato per l’autista comunale che si assenta dal lavoro per aiutare la moglie nell’edicola di giornali (Cass. pen. n. 21661/2013)

Redazione 21/05/13
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Ritenuti in fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Messina, decidendo
sull’istanza di riesame presentata dall’indagata, ha confermato il provvedimento del GIP del medesimo Tribunale, che aveva disposto l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliare per il delitto di truffa ai danni dello Stato.
2. Ricorre, assistito da difensore, l’indagato, contestando violazione di legge per avere il Tribunale ritenuto configurabile il delitto contestato, oltre che integrato un grave quadro indiziario. Si critica in particolare che il Tribunale abbia ritenuto configurabile il delitto di truffa ai danni dello Stato solo perché l’indagato non ha timbrato il cartellino ogni qual volta, nell’ambito della sua giornata di lavoro di autista comunale, si assentava per recarsi presse l’edicola di giornali della moglie, aiutandola nel lavoro. Si segnala infatti che la natura dell’incarico di autista non sarebbe compatibile con tale sistema di controllo; evidenziando peraltro come i soggetti al cui trasporto era allibito l’autista: siano sempre stati serviti: cosicché mancherebbe anche l’elemento di fattispecie dell’ingiusto profitto maturato con altrui danno.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
E’ anzitutto necessario chiarire I limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Cass. Sez. 6^ sent., n. 2146 del 25.05.199.5 dep. 16.06.1995 rv 201840).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Cass. Sez. 1^ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte,, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell`udienza tenutasi a norma dell’art. 305), comma ottavo, cod. proc. pen. (v. Cass, Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi che il Tribunale ha correttamente ritenuto sussistente il grave quadro indiziario essendo comprovato in atti (per risultanze di appostamenti dei carabinieri) che l’indagato usava recarsi regolarmente, in costanza di orario di lavoro, presso l’edicola di giornali della moglie, aiutandola nell’attività, senza segnalare ciò al proprio datore di lavoro. In particolare, l’indagato timbrava il proprio cartellino soltanto due volte: a inizio e a fine giornata di lavoro omettendo così di segnalare le sue assenze intermedie, Evidentemente, operando in tal modo, l’indagato si sottraeva ai suoi doveri fruendo di una retribuzione computata anche in considerazione delle ore invece trascorse presso l’edicola della moglie.
2. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Redazione