Truffa ai danni dello Stato (Cass. pen., n. 44624/2013)

Redazione 05/11/13
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Svolgimento del processo

A seguito di una complessa attività di indagine avviata dalla Guardia di Finanza, Nucleo di Polizia Tributaria di Salerno, il pubblico ministero formulava l’ipotesi accusatoria secondo la quale la società ASSO s.r.l., legalmente rappresentata da S. R., dopo aver presentato domanda per ottenere il contributo pubblico previsto dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, finalizzato alla realizzazione di un complesso alberghiero con annesso centro benessere in località (omissis), e dopo essere stata ammessa al contributo per oltre otto milioni di Euro, avrebbe ottenuto le prime due tranche e tentato di ottenere la terza, con artifici e raggiri consistiti nella presentazione di false dichiarazioni sostitutive di atto notorio, concernenti le spese sostenute e gli stati di avanzamento dei lavori, e di un fittizio aumento di capitale. La truffa sarebbe stata realizzata dalla S. e dal marito della stessa, M.S., gestore di fatto della società, in concorso con altri soggetti economici a vario titolo coinvolti in operazioni contabili e finanziarie funzionali al raggiungimento degli scopi illeciti. Chiedeva quindi l’applicazione di misure cautelari personali e reali. Con ordinanza del 23.11.2012, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno rigettava la richiesta di applicazione di misure cautelari personali per carenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui ai capi 7 e 8 (D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 8 e 2, evasione fiscale), e per carenza di esigenze cautelari in ordine ai reati di cui ai capi 3, 4 e 6 (artt. 48 e 479 c.p., art. 61 c.p., n. 2, art. 316 bis c.p., artt. 110, 81 e 640 bis c.p., artt. 56 e 640 bis c.p., falso e truffa consumata e tentata), e disponeva il sequestro preventivo dell’area e del cantiere termale-alberghiero sito in località (omissis), nonchè di somme di danaro, beni ed altre utilità appartenenti agli indagati S.R., c.g., M.S.A., M.S.L., C.G., C. R., C.N., ****** ed E. A. in relazione al reato di truffa di cui al capo 6, fino ad un valore corrispondente alla somma di Euro 4.343.200,51.

Avverso tale provvedimento propose appello il pubblico ministero presso il Tribunale di Salerno, e il Tribunale di Salerno in parziale accoglimento dell’appello proposto nei confronti degli indagati S.R., c.g., M.S.A., M.S.L., C.G., C. R., C.N., e Co.Ge. applicava a tutti la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale.

Ricorre per cassazione il difensore degli indagati S. R., M.S.L. e M.S.A. deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), in relazione all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), e artt. 273, 274 e 275 c.p.p., per violazione della legge processuale penale in relazione alla ritenuta sussistenza del concreto pericolo di reiterazione criminosa, e mancanza e manifesta illogicità di motivazione sul punto, avendo il Tribunale omesso di considerare che le condotte di cui alla contestazione provvisoria si sono arrestate nel mese di giugno 2008, periodo in cui è stata avanzata l’ultima richiesta di proroga del termine di ultimazione dei lavori; che con nota del 25.2.2011 S.R. ha manifestato la volontà della asso di rinunciare alla terza rata del contributo chiedendone la revoca, con ciò desistendo volontariamente dal reato di truffa ipotizzato dal pubblico ministero; che la dichiarazione confessoria di M.S.A. ha ridimensionato il ruolo di S. R. e di M.S.L. ed è indice di resipiscenza e di totale assenza di pericolosità sociale.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato c.g., deducendo la mancanza di motivazione in riferimento ai gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in riferimento alle condotte successive all’anno 2008. Il Tribunale ha aderito alla prospettazione del pubblico ministero, secondo cui si ravvisa un reato di truffa consumato il 4.2.2008 ed uno tentato sino al 28.2.2011; in maniera contraddittoria i giudici d’appello hanno elencato una serie di elementi antitetici alla sussistenza delle esigenze cautelari (rinuncia della Asso all’ulteriore tranche di contributo; assenza di precedenti per il c.; assenza di ulteriori reati; dimissioni del c. dalla Cogenuro srl nell’aprile 2010), e ha omesso di giustificare il contributo del c. al delitto tentato, poi qualificato recesso attivo.

Ricorre per cassazione il difensore di C.G., C. R., C.N., ******, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto descrizione della condotta artificiosa che avrebbe integrato la tentata truffa, alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine agli odierni ricorrenti (la prima rata è stata erogata il 13.4.2005, e il contratto tra la Asso srl e la Co.ge.nu.ro s.r.l. è stato stipulato il 14.3.2007; il reato consumato il (OMISSIS) è estinto per prescrizione, la seconda rata è stata erogata il 4.2.2008 e il Tribunale non ha spiegato quale sia stato il contributo concorsuale di C.N. e C.R., mesi soci della Co.ge.nu.ro s.r.l.; il preteso tentativo di truffa relativa alla terza tranche non sussiste e non è attribuibile ai ricorrenti), e alle esigenze cautelari.

Chiedono pertanto tutti l’annullamento dell’ordinanza.

Motivi della decisione

1. Il limite del sindacato di legittimità – inteso nel senso che alla Corte di cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto alle scelte in concreto effettuate – non può che riguardare anche i provvedimenti cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice di merito e, in particolare, prima del giudice al quale è richiesta l’applicazione della misura o la modifica della stessa e, poi, eventualmente, del giudice del riesame o dell’appello, valutare “in concreto” la sussistenza dei gravi indizi di reità e delle esigenze cautelari, e rendere un’ adeguata e logica motivazione sui parametri normativi previsti, per formulare la prognosi di pericolosità.

Tanto premesso, rileva il Collegio che le doglianze dei ricorrente, laddove censurano la congruità e illogicità dell’argomentare del giudicante, sia rispetto alla ritenuta gravità indiziaria, in riferimento al reato di cui all’imputazione provvisoria di truffa consumata e tentata ai danni del Ministero dello Sviluppo economico, che alle esigenze cautelari non possono trovare accoglimento.

2. Per quanto riguarda le censure concernenti la gravità indiziaria (ricorsi di c. e degli indagati C.), rileva il Collegio che, con ampia ed adeguata motivazione, per niente intaccata nella sua logicità dai motivi in esame, i giudici di merito hanno diffusamente illustrato tutti gli elementi costituenti i gravi indizi di reità nei riguardi di tutti gli indagati, e in particolare dei ricorrenti, rilevando – in primo luogo – che trattasi di un unico reato di truffa aggravata, commesso con una condotta a realizzazione frazionata, consistita in una pluralità di artifici contabili, nel loro insieme destinati a rappresentare una situazione di fatto diversa da quella reale, sia con riguardo all’entità delle spese sostenute, sia in relazione alla dimensione degli apporti di capitale proprio; il tutto in vista dell’integrale erogazione del contributo da vario titolo deliberato, riscosso fino al 4.2.2008, data di accredito della seconda tranche del contributo richiesto. Quanto all’individuazione delle singole responsabilità, è stato quindi evidenziato che “tutti coloro che hanno a vario titolo partecipato alla realizzazione di una o più frazioni di condotta fraudolenta si sono resi corresponsabili del medesimo reato di truffa aggravata, indipendentemente da ogni valutazione in ordine all’epoca dei rispettivi contributi ed alla loro specifica finalità” (v. pag. 10 dell’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari). Circa l’ascrivibilità del reato anche agli indagati c.g. (in qualità di presidente del C.d.A. della Co.ge.nu.ro s.r.l, in relazione all’emissione delle fatture nn. (OMISSIS)) e a C.N. e C.R. (quali soci, legati da vincoli di parentela a Co.Ge., C.G. e Co.Gi. indagati nelle rispettive qualità di membro, segretario e presidente del C.d.A. della Co.ge.nu.ro s.r.l. in relazione a quanto deliberato in data 28.11.2007 – finanziamenti fittizi illeciti per simulare il pagamento delle fatture e l’aumento di capitale della Asso s.r.l.) che non hanno rivestito una qualifica apicale all’interno della società Cogenuro s.r.l. all’epoca della perpetrazione delle condotte criminose, rilevasi che con motivazione logica correttamente è stata ritenuta la loro consapevolezza all’attuazione del progetto delittuoso di realizzazione (in parte fittizia) della struttura alberghiera con fondi pubblici (illecitamente conseguiti) sulla base della loro partecipazione a momenti, decisione del CDA e deliberazioni assembleari nevralgiche per la realizzazione dello scopo illecito, in relazione altresì del momento consumativo del reato (come meglio illustrato al punto 3). A riguardo, il giudici di merito hanno in particolare evidenziato la circostanza che la società Cogenuro s.r.l., per i lavori ricevuti in affidamento dalla Asso srl, emise varie fatture, tra cui la n. (OMISSIS) dell’importo di Euro 7.370.000,00, attestanti operazioni in parte inesistenti, e che ciò è avvenuto nella piena consapevolezza, anche dei soci e dei componenti del CDA, che le fatture in questione costituissero gli artifizi e raggiri che, unitamente alla documentazione non veritiera prodotta dalla Asso, dovevano servire a realizzare il reato di truffa di cui al capo 6) della rubrica, e ad ottenere la seconda quota di finanziamento, rispetto alla quale il Tribunale ha ritenuto il concorso degli indagati C.. La Cogenuro srl diveniva poi socia, al pari della Asso, della società Nuove iniziative ******** srl che, costituita il 12.11.2007, acquistava il 25% delle quote della **** ma aveva mera funzione di giustificare i costi della **** ai fini del finanziamento. In favore della neo costituita società, la Cogenuro deliberava quindi finanziamenti infruttiferi per un importo di Euro 10.065.000,00 (v. pag. 5 dell’ordinanza impugnata). Tra la documentazione amministrativo-contabile acquisita presso la Cogenuro, a riprova di tali circostanze viene indicata dal giudice delle indagini preliminari (v. pagg. 6 – 7 dell’ordinanza) una scrittura provata in data 8.8.2008, sottoscritta dai legali rappresentanti delle tre società – S., c. e M. – il cui contenuto viene ampiamente illustrato e commentato, costituendo per il giudice una sorta di “confessione” dell’accordo criminoso.

Trattasi infatti di un accordo transattivo, finalizzato ad “azzerare” la situazione contabile delle società coinvolte che annullando i crediti e debiti reciproci conferma indirettamente “la natura fittizia di tutte le operazioni finanziarie”.

3. In virtù di consolidato orientamento giurisprudenziale, questa Corte ha affermato che, nella fattispecie di truffa ai danni dello Stato per percezione di prestazioni indebite di finanziamenti e contributi la cui erogazione sia rateizzata periodicamente nel tempo, non si verte in tema di reato permanente, nè di reato istantaneo ad effetti permanenti, bensì di reato a consumazione prolungata, giacchè il soggetto palesa la volontà, fin dall’inizio, di realizzare un evento destinato a durare nel tempo. Ne discende che, ai fini della consumazione del reato, non viene in considerazione il tempo e il luogo in cui viene emesso il provvedimento concessorio dei finanziamenti e/o si realizza la “deminutio patrimonii” per l’ente pubblico, bensì il tempo e il luogo in cui il soggetto attivo concretamente percepisce l’ingiusto profitto consistente nelle indebite erogazioni pubbliche: solo in tale momento si consolida la loro definitiva perdita da parte del “deceptus”. Il momento consumativo del reato, ove le indebite erogazioni pubbliche siano state effettuate in via frazionata, coincide, quindi, con la cessazione dei pagamenti, che segna anche la fine dell’aggravamento del danno (Cass., Sez. 2^, Sent. n. 28683/2010, Rv. 247671; Sez. 2^, Sent. n. 26256/2007, Rv. 237299; Sez. 2^, Sent. n. 11026/2005, Rv. 231157; Sez. 2^, Sent. n. 40576/2013, ******, non massimata).

Per quanto riguarda il tempo del commesso reato, il Tribunale con logica motivazione e in aderenza ai principi enunciati da questa Corte in materia ha quindi evidenziato come la condotta delittuosa del reato di truffa non possa ritenersi definitivamente arrestata al febbraio del 2008, epoca di accredito della seconda tranche o comunque al mese di giugno 2008, periodo a cui si riferisce l’ultima richiesta di proroga del termine di ultimazione dell’intervento, bensì alla data del 25.2.2011, allorchè, con la rinuncia alla terza tranche di contributo, momento che segna la fine dell’aggravamento del danno relativo alla terza indebita elargizione per l’ente pubblico, è cessata definitivamente la condotta delittuosa.

Ne consegue che il termine del 13.4.2005 relativo alla prima elargizione del contributo non può essere preso in considerazione ai fini della prescrizione, e che il termine ordinario di prescrizione del reato di truffa aggravata ai danni dell’ente pubblico non è ad oggi decorso.

4. Per quanto riguarda le esigenze cautelari (motivi dedotti da tutti i ricorrenti), rileva il Collegio che anche su tale punto la motivazione del provvedimento impugnato non appare censurabile.

Il Tribunale, dopo aver rilevato che l’atto di rinuncia non è di per sè sintomatico di un totale assopimento di quell’inclinazione a commettere reati della stessa natura, in considerazione della spregiudicatezza, della gravità e della pervicacia delle condotte truffaldine poste in essere dagli indagati, sicchè deve ritenersi sussistente il pericolo di reiterazione nel reato, ha però evidenziato tutte le circostanze, nuovamente invocate nei motivi di ricorso (assenza per quasi tutti gli indagati di precedenti, e di carichi pendenti specifici; completa ammissione degli addebiti da parte di M.S.A.; le dimissioni del c.), che depongono per un ridimensionamento del concreto pericolo di reiterazione, ritenuto quindi adeguatamente contenibile con la misura interdittiva, per la durata di mesi due, del divieto di esercizio di impresa o di uffici direttivi. E in ordine a tale misura ha logicamente motivato sia circa la adeguatezza che alla proporzionalità della misura; contro tali valutazioni sono dai motivi in esame formulate censure prive di consistenza e inidonee a contrastare le logiche argomentazioni della sentenza impugnata.

I ricorsi vanno pertanto rigettati. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poichè l’esecuzione consegue alla decisione, manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 28 reg. esec. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 luglio 2013.

Redazione