Truffa aggravata continuata e insolvenza fraudolenta continuata: automobilista passa per ben 28 volte il casello autostradale senza pagare il pedaggio (Cass. pen. n. 44140/2012)

Redazione 14/11/12
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Osserva

Con sentenza dell’11/10/2008, il Tribunale di Pistoia dichiarò S.C. responsabile dei reati di truffa aggravata continuata e insolvenza fraudolenta continuata e – applicata la recidiva contestata, ritenuta la continuazione e con la riduzione per la scelta del rito – lo condannò pena di anni 1 e mesi 1 di reclusione ed Euro 300,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 13/07/2011, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in merito all’attribuibilità a sé delle condotte di cui alle contestazioni e alla possibilità di poter configurare i reati di truffa e insolvenza fraudolenta.
Il ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata sentenza.

 

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato. Infatti, la Corte di appello evidenzia correttamente tutti gli elementi acquisiti che portano ad una piena attribuibilità delle condotte contestate allo S. Questo è il fatto. Lo S. per ben 28 volte ha dichiarato all’addetto del casello autostradale, all’uscita, di aver perso il biglietto, di non aver soldi per pagare e quindi non ha pagato (reato di insolvenza fraudolenta per un ammontare complessivo di Euro 1.366,93); e per ben sette volte si è accodato a veicoli dotati di telepass riuscendo così a sfilare sulla scia dell’automobile che lo precedeva prima che la sbarra di blocco si fosse abbassata (reato di truffa aggravata per Euro 314,11). La Corte territoriale sottolinea, poi, che per accertare chi fosse la persona alla guida della autovettura di cui sopra, la P.G. ha condotto un indagine partendo da chi risultava essere proprietario e cioè la ditta s.r.l. Autotrasporti S.
L’impiegata della predetta ditta, ha dichiarato che nel periodo in cui sono stati commessi i reati l’autovettura risultava noleggiata alla ditta s.a.s. S. di F.A.& C. Il F.A. ha confermato il noleggio e ha, poi, dichiarato di aver dato in uso la predetta autovettura, per tutto il periodo incriminato, all’imputato in sostituzione del suo mezzo che lo S. aveva lasciato nell’officina del F. perché fossero effettuate riparazioni importanti e che richiedevano lunghi tempi di realizzazione. Lo S. ammetteva di aver avuto in possesso – nel periodo di tempo di cui sopra – l’autovettura, ma la Corte di appello ha correttamente escluso l’utilizzabilità di tali dichiarazioni – pur se si è proceduto con il giudizio abbreviato – perché assunte in violazione dell’art. 63 del cod. proc. penale. Invero, questa Suprema Corte ha più volte affermato che l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi sin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentito come indagato è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, pur se è stato disposto il giudizio abbreviato (Sez. 2, Sentenza n. 34512 del 29/04/2009 Ud. – dep. 07/09/2009 – Rv. 245226; Sez. 3, Sentenza n. 15372 del 10/02/2010 Cc. – dep. 22/04/2010 – Rv. 246599). Si deve, però, rilevare che in modo altrettanto corretto la Corte di appello ha ben evidenziato che nelle dichiarazioni rese da F. non sono emersi indizi di reato a carico dello stesso che imponessero l’interruzione dell’audizione né vi era alcun motivo per dovere sentire il F. , fin dall’inizio, in qualità di persona sottoposta alle indagini (si evidenzia, sul punto, che il F. è socio di una società in accomandita semplice e quindi non si poteva certo sapere chi tra i vari soci o dipendenti della stessa società avesse in ipotesi usato l’auto; si vedano, altresì, tutti i condivisi argomenti sul punto alla pagina 5 dell’impugnata sentenza). È appena il caso di ricordare in proposito che questa Suprema Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio condiviso dal Collegio che in tema di dichiarazioni indizianti rese da persona non imputata né sottoposta ad indagini, il giudizio circa la sussistenza “ab initio” di indizi di reità a carico del dichiarante costituisce accertamento di fatto la cui valutazione, se correttamente motivata dal giudice di merito, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 24953 del 15/05/2009 Cc. – dep. 16/06/2009 – Rv. 243892). Inoltre, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010 Ud. – dep. 21/04/2010 – Rv. 246584).
Infondati sono anche i due motivi con i quali il ricorrente contesta la correttezza della motivazione dei Giudici di merito che – hanno ritenuto sussistenti i reati di truffa e di insolvenza fraudolenta continuati. È infatti necessario premettere che la Corte di appello ha correttamente evidenziato la sussidiarietà tra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 176, comma 17, del codice della strada e la truffa e l’insolvenza fraudolenta. Infatti questa Suprema Corte a Sezioni Unite (e la costante giurisprudenza di questa Corte successiva) ha affermato il principio – condiviso dal Collegio – che poiché l’art. 176, comma 17, del codice stradale – il quale punisce con la sanzione pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale – espressamente ed inequivocabilmente stabilisce la sussidiarietà di tale illecito amministrativo rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti, nei cui confronti, pertanto, non si pone in rapporto di specialità, nell’ipotesi di omesso adempimento, da parte dell’utente, dell’obbligo di pagamento del pedaggio autostradale, ben può configurarsi, ove ne sussistano in concreto gli elementi costitutivi, il delitto di insolvenza fraudolenta o di truffa (Sez. U, Sentenza n. 7738 del 09/07/1997 Ud. – dep. 31/07/1997 – Rv. 208219; Sez. 2, Sentenza n. 24529 dell’11/04/2012, dep. 20/06/2012). Nella suddetta sentenza delle Sezioni Unite si afferma, poi, che l’insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa perché la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dello artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione della sua esistenza finalizzato all’inadempimento dell’obbligazione, in violazione di norme comportamentali. Orbene la Corte di appello con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria ben evidenzia: in cosa consistano gli artifici e raggiri (l’imputato ha imboccato la corsia che conduce alle porte riservate a chi è dotato di Telepass; poi si è posto sulla scia dell’autovettura che lo precedeva – regolarmente munito di telepass – riuscendo ad uscire dal casello prima che la sbarra si abbassasse); quale è l’atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole per la P.O. (consistente nel consentire l’uscita dalla sede autostradale ad un veicolo il cui conducente non ha assolto, all’obbligazione di pagamento assunta); come l’atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole sia in evidente relazione causale diretta con gli artifici e raggiri sopra delineati. È evidente che non incide su quanto sopra l’obbiezione che il casello sia regolato da un sistema automatico. Infatti tale sistema automatico è sotto la sorveglianza del personale addetto che interviene ogni volta che si verifica un problema; ma nel caso di specie la condotta truffaldina dell’imputato ha impedito proprio quell’intervento (si veda: Sez. 2, Sentenza n. 26289 del 18/05/2007 Ud. – dep. 06/07/2007 – Rv. 237150).
Anche per quanto riguarda gli episodi di insolvenza fraudolenta il Collegio ritiene che la Corte territoriale abbia fatto corretta” applicazione di principi consolidati (cfr. SS.UU. 9 luglio 1997, n. 7738 sopra citati), secondo cui l’art. 176 C.d.S., comma 17, che punisce con la sanzione pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale, si pone in rapporto di sussidiarietà e non già di specialità rispetto ad altre fattispecie penali eventualmente concorrenti. In particolare il reato di insolvenza fraudolenta – in ipotesi di mancato adempimento, da parte dell’automobilista, dell’obbligazione di pagamento del pedaggio autostradale, inerente al negozio di utilizzo della relativa rete – non è escluso né dalla coesistenza di una figura integrante un illecito amministrativo, stante la sua funzione sussidiaria della norma penale, né dalla natura del pedaggio, che ha funzione di corrispettivo e non di tassa. Spetta al giudice di merito verificare di volta in volta se, nella fattispecie sottoposta al suo esame, sussistano gli elementi dell’insolvenza fraudolenta, sia sotto il profilo materiale che psicologico. Il che nel caso di specie risulta puntualmente avvenuto, posto che la Corte di appello ha delibato con riguardo a tutti i profili rilevanti nella fattispecie con argomentazioni immuni da rilievi logici o giuridici. Valga considerare quanto segue. A) Innanzitutto risulta correttamente individuata la condotta materiale, descritta dalla norma penale nel triplice momento della “dissimulazione dello stato di insolvenza”, dell’assunzione dell’obbligazione” e dell’”inadempimento”. A tal riguardo la Corte territoriale evidenzia che lo S. ha (ben 28 volte) accettato, con il fatto stesso del ritiro del tagliando, la prestazione offertagli dall’ente gestore dell’autostrada e così assunto l’obbligazione corrispettiva (mentre avrebbe potuto non aderire all’offerta, scegliendo un percorso alternativo; quanto sopra evidenzia la non incidenza, sulla ravvisabilità del reato, il fatto che all’ingresso in autostrada vi è una macchina che distribuisce i tagliandi e non una persona); che l’imputato ha, inoltre, approfittato della fiducia che l’ente gestore del servizio prestava nell’assolvimento del pedaggio, avuto riguardo alla modestia del corrispettivo e alla qualità del debitore (che, per il fatto stesso di transitare alla guida di un automezzo, induceva a confidare sulla sua solvibilità); che il medesimo imputato ha, quindi, omesso di provvedere al pagamento del relativo pedaggio (per complessivi Euro 1.366,93 con riguardo ai percorsi autostradali contestati nel capo di imputazione) lasciando insoluta la prestazione del corrispettivo anche in prosieguo. Si rammenta, a tal riguardo, che la dissimulazione di cui all’art. 641 c.p. può realizzarsi con comportamenti diversi, positivi o negativi, tra i quali ultimi rientrano la reticenza o il silenzio; in particolare, questa sezione, con argomentazioni condivise dal Collegio, ha precisato che, trattandosi dell’utilizzazione dell’autostrada, che la società concessionaria fornisce prima del pagamento del pedaggio, il contratto si stipula per facta concludentia ed il mancato pagamento è riconducile ad un elemento soggettivo, non caratterizzato dall’induzione in errore, ma da un mero atteggiamento negativo dell’autore nei confronti dell’errore sulla solvibilità in cui versa la parte offesa, alla contrattazione (Cass. pen., Sez. 2, 04/07/2000, n. 43730).
B) Con specifico riguardo all’atteggiamento psicologico – vale a dire al dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza dello stato di insolvenza e dall’elemento volitivo, costituito dal preordinato proposito di non adempiere – la sentenza impugnata da conto della consapevolezza da parte dello S. di non poter adempiere, desumendola da elementi induttivi seri e univoci, quali sono quelli ricavati dalla reiterazione delle condotte dissimulatorie e dal persistente inadempimento, che lasciano intendere che il sin dal momento della stipula del contratto fosse già maturo, nel soggetto,
l’intento di non far fronte agli obblighi conseguenti (lo S. quando arrivava al casello diceva, infatti, di non poter pagare perché non aveva soldi; si veda pagina 11 del ricorso). Risulta, dunque, correttamente colto il discrimine tra il mero inadempimento di natura civilistica e la commissione del reato, che poggia sull’elemento ispiratore della condotta, giacché il comportamento consistente nel tenere il creditore all’oscuro dello stato di insolvenza in cui si versa al momento di contrarre l’obbligazione ha rilievo, agli effetti della norma penale, quando sia legato al preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, mentre l’inadempimento contrattuale non preordinato non costituisce il delitto di cui all’art. 641 c.p. e ricade, normalmente, solo nell’ambito della responsabilità civile.
C) Infine – relativamente alla prova dello stato di insolvenza, su cui specificamente si appuntano le censure del ricorrente – la Corte territoriale ha correttamente rimarcato non solo la circostanza del mancato pagamento, ma anche il fatto che, già all’epoca, lo S. avesse accumulato debiti per Euro 1.366, 93 per mancati pagamenti di pedaggi autostradali e che neppure in epoca successiva abbia provveduto al pagamento dei corrispettivi indicati nel capo di imputazione, dimostrando chiaramente di trovarsi nell’impossibilità di pagare le somme dovute. La questione risulta, dunque, delibata in conformità a principi costantemente espressi da questa Suprema Corte e ribaditi dalle SS.UU., nella sentenza ***** (la n. 7738 del 1997 sopra citata), secondo cui la prova della condizione di insolvenza può desumersi dal comportamento precedente e successivo dell’imputato (Sez. 2, Sentenza n. 2376 del 20/11/1986 Ud. – dep. 20/02/1987 – Rv. 175206) o anche da quello da medesimo tenuto al momento dell’inadempimento (Sez. 2, Sentenza n. 10247 del 23/09/1996 Ud. – dep. 28/11/1996 – Rv. 206286). Invero attribuire esclusiva rilevanza alla circostanza che il soggetto agente abbia dichiarato o meno di non volere pagare (e nel caso di specie il ricorrente ha ammesso – si veda ad es. pag 11 del ricorso – di aver detto al casellante di non avere sodi per pagare), significa non considerare che, per un verso, l’inadempimento” si verifica per il fatto stesso del mancato pagamento del corrispettivo alla scadenza (e quindi, nello specifico, al termine del percorso autostradale), indipendentemente da ciò che dichiara il debitore e, per altro verso, che la “situazione di insolvenza” è una situazione di carattere obiettivo, da intendersi come impossibilità, totale o parziale, di adempiere all’obbligazione e da rapportarsi sia al momento dell’assunzione dell’obbligazione sia a quello dell’inadempimento (come si desume dalla previsione della causa di non punibilità prevista dal cpv. dell’art. 641 c.p.; si vedano, in proposito, anche: Sez. 2, Sentenza n. 11734 del 06/03/2008 Ud. – dep. 14/03/2008 – Rv. 239750; Sez. 2, Sentenza n. 24529 dell’11/04/2012, dep. 20/06/2012). In definitiva i motivi addotti a fondamento del ricorso si rivelano infondati, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione della norma penale e non emergendo alcun contrasto disarticolante nelle argomentazioni svolte.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione di quelle sostenute in questo grado dalla P.C. che liquida in complessive Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione di quelle sostenute in questo grado dalla P.C. che liquida in complessive Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA.

Redazione