Intervento medico: la recidività delle conseguenze è indice di scorrettezza

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Precedenti giurisprudenziali: Cass. n.11488/2004; Cass. n. 10297/2004; Cass. Sez. Un. 26972/2008;

Riferimenti normativi: art. 1176, co. 2, c.c.

Fatto

Un’anziana signora, a seguito della frattura del femore sinistro derivante da una scivolata in casa, un’operazione per l’inserimento di una protesi, a seguito della quale veniva ricoverata nel medesimo ospedale per la successiva riabilitazione durante la quale si verificava una lussazione della gamba contenente la protesi. La signora quindi veniva sottoposta ad una riduzione della lussazione, alla quale, però, dopo un paio di settimane seguiva una seconda lussazione ed un conseguente intervento di riduzione e poi un terzo episodio di lussazione e infine un quarto, all’esito del quale la signora si rivolgeva ad un diverso ospedale per sostituire la protesi stessa.

Ritenendo, quindi, che il primo intervento di inserimento della protesi fosse stato eseguito in maniera non corretta, la signora agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni.

L’ospedale si difendeva contestando che la protesi fosse stata inserita correttamente e adducendo che le uniche conseguenze dannose attualmente rinvenibili sulla signora dipendevano da un’infezione contratta durante l’ultima operazione di sostituzione della protesi eseguita presso il secondo ospedale.

Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda di risarcimento avanzata dall’attrice, ritenendo sussistente una responsabilità dell’ospedale convenuto per la non corretta esecuzione dell’intervento con cui era stata inserita la protesi e conseguentemente ha condannato quest’ultimo al risarcimento del danno biologico subito dalla signora (personalizzato nella misura in aumento del 20% in considerazione delle sofferenze relazionali subite dall’attrice) nonché del danno da lucro cessante (per la mancata disponibilità dell’equivalente economico del risarcimento dal momento del sinistro fino alla sentenza) quantificato applicando un tasso collegato all’andamento dei titoli di Stato. In particolare, l’ospedale è stato condannato al pagamento in favore dell’anziana paziente della somma di euro 134.634,17 nonché al rimborso a favore di quest’ultima delle spese legali, che la stessa ha sostenuto per il giudizio e che sono stati quantificati in complessivi euro 12.000.

La decisione della Corte

Nella Sentenza oggetto di commento, il Tribunale ha esordito riaffermando i principi relativi all’onere della prova, ormai pacifici in giurisprudenza, per cui al paziente spetta il compito di dimostrare semplicemente l’esistenza del rapporto con l’ospedale e poi alle gare un inadempimento della prestazione e la conseguente insorgenza di una malattia che astrattamente possa essere derivata dall’intervento mal eseguito. L’ospedale convenuto, invece, e onerato dalla prova della propria diligenza nell’esecuzione della prestazione e che le conseguenze dannose siano derivate da eventi imprevisti e imprevedibili.

Ciò detto, il giudice ha ritenuto che nel caso di specie l’attrice avesse correttamente adempiuto al proprio onere probatorio, avendo dimostrato l’esecuzione dell’intervento chirurgico e avendo allegato i quattro episodi di lussazione che dimostravano la non correttezza dell’operazione.

Sulla scorta della CTU eseguita, poi, il giudicante ha ritenuto che l’intervento di cui è causa fosse stato non correttamente eseguito dal medico ed ha quindi ritenuto sussistente una responsabilità dell’ospedale in considerazione di tre rilievi argomentazioni:

in primo luogo, il fatto che l’inserimento della protesi non sia stato risolutivo per la paziente (che è stata costretta ad un successivo intervento di sostituzione della protesi stessa in un altro ospedale);

in secondo luogo, la considerazione che se nonostante la lussazione possa essere astrattamente considerata come una conseguenza che può accadere in un intervento del genere, la verificazione di ben quattro lussazioni in uno stretto arco di tempo, perlopiù durante il quale a maggior ragione considerato che durante detto periodo la paziente era in riabilitazione e quindi sottoposto a controllo medico costante, non può che far ritenere che l’intervento sia stato eseguito in maniera non corretta;

infine, il fatto che la risoluzione definitiva del problema sanitario cui era afflitto da una paziente stato raggiunto soltanto col secondo intervento presso il nuovo ospedale.

Circa l’eccezione sollevata dall’ospedale convenuto relativa all’infezione contratta durante il secondo intervento, il giudice la ritenuta irrilevante detta infezione in quanto la paziente era stata costretta ad eseguire il relativo intervento di sostituzione della protesi proprio a causa dell’errore del primo ospedale, sottoponendosi in tal modo al rischio infettivo poi effettivamente verificato.

Con riferimento alla richiesta personalizzazione del danno patrimoniale, il tribunale di Roma ha accolto favorevolmente la domanda attore sostenendo che, proprio seguendo l’orientamento espresso nel 2008 dalle famose sentenze gemelle della cassazione, una persona anziana, come la paziente attrice, subisca delle sofferenze nella propria vita e nelle relazioni a causa della limitata capacità di camminare nonché dal sottoposizione a numerosi interventi chirurgici e conseguentemente ad una lunga permanenza all’interno dell’ospedale e l’allontanamento dalla propria abitazione,. Tali circostanze, evidentemente dipese dal non corretto intervento chirurgico dell’ospedale, secondo il col secondo il tribunale incidono a livello psicologico sulla vita e sulle relazioni della paziente, giustificando la personalizzazione in aumento del danno biologico proprio per le sofferenze relazionali ed esistenziali subito dall’attrice.

In conclusione, il giudice romano ha riconosciuto all’attrice anche il danno da lucro cessante, in considerazione del fatto che, durante il tempo necessario per lo svolgimento del processo e l’emanazione della sentenza, la stessa non ha potuto godere dei frutti civili che, invece, avrebbe potuto ottenere se avesse impiegato la somma ricevuta a titolo risarcitorio. Conseguentemente, ha ritenuto di quantificare detto danno da lucro cessante riconoscendo all’attrice gli interessi su detta somma, i quali però sono stati calcolati non in base al tasso legale vigente in detto periodo (evidentemente ritenuto non adeguato, in quanto eccessivamente basso), bensì in base al tasso medio del rendimento dei titoli di Stato.

Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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