Tribunale Piacenza 24/5/2011 n. 448

Redazione 24/05/11
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FATTO
Oggetto di causa è la domanda risarcitorie formulata dall’attore in relazione ai danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito di un sinistro stradale intercorso con l’autovettura di proprietà di L., condotta da N. ed assicurata da F.
Nella contumacia di L e N, la controversia è istruita con una CTU medico-legale affidata la dottoressa C, nonché con l’escussione del teste O.

DIRITTO
1) La ricostruzione del sinistro, la statuizione circa l’integrale responsabilità dei convenuti e la liquidazione delle singole voci di danno per un totale di € 177.143,79, è già stata operata dalla dettagliatissima ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. ratione temporis vigente (il presente procedimento è infatti stato iniziato prima dell’entrata in vigore della L. n. 51/2006, e quindi non sono applicabili le modifiche introdotte da tale norma), depositata dal precedente giudice istruttore il 12/6/2008.
Tale provvedimento, da intendersi qui richiamato, è stato nel suo complesso esplicitamente condiviso dalla difesa dell’attore, che si è limitata a contestare la mancata liquidazione del danno esistenziale e del danno patrimoniale da lucro cessante (cfr. verbale udienza 23/9/2008); e non è stato oggetto di alcuna esplicita censura da parte della difesa del convenuto (cfr. sempre verbale 23/9/2008).
Questo giudice, in ragione dell’intrinseca persuasività dell’ordinanza anticipatoria e comunque dell’assenza di ulteriori elementi di valutazione proposti dalle parti, ritiene di conformarsi all’ordinanza stessa, con le sole e limitate puntualizzazioni di cui infra relativamente ai due rilievi mosso dalla difesa attorea.
Da una prima angolazione, correttamente non è stata liquidata alcuna specifica somma a titolo di danno esistenziale, con ciò anticipando la di poco successiva pronuncia di Cass. Sez. Un. n. 26972-5/2008, che ha escluso l’autonoma configurazione di tale voce di danno ed ha invece ritenuto l’unitarietà della categoria del danno non patrimoniale;
2) Circa invece il danno patrimoniale da lucro cessante, si osserva che dall’istruttoria esperita è emerso come, prima del sinistro, il L. stava trattando, con l’Assicurazione nella quale già lavorava, per divenire socio dell’Agenzia di P-G; e come, dopo il sinistro ed a causa delle rilevate lesioni subite e della lunga incapacità temporanea, ogni trattativa è stata interrota (cfr. deposizione teste O.).
Ciò premesso in linea di fatto, ritiene il Giudice che la domanda attorea di risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, vada scrutinata sotto il profilo della lesione di chance, negli stessi termini del caso recentemente affrontato da questo stesso Tribunale con la pronuncia n. 11/2011.
E’ noto che la chance, figura da tempo elaborata in altri ordinamenti quali quello francese, nel nostro sistema giuridico è una forma di danno solo recentemente esplorata, che può essere definita come occasione favorevole di conseguire un risultato vantaggioso, sotto il profilo dell’incremento di un’utilità o della sua mancata diminuzione, e che ovviamente va distinta dalla mera aspettativa di fatto (Cass. n. 3999/2003).
Restano discussi, peraltro, la natura del danno da perdita di chance, e conseguentemente i parametri necessari per la sua risarcibilità.
In particolare, per la tesi cosiddetta ontologica, la chance deve intendersi riferita ad un danno emergente comunque attuale e concreto, trattandosi di bene suscettibile di valutazione patrimoniale in sé e per sé: viene così risarcita la perdita della mera opportunità, possibilità ed anche solo speranza, di conseguire un’utilità, con la conseguenza che la probabilità di verificazione dell’utilità incide solo sul quantum risarcitorio, non sull’an.
Ciò è stato sostenuto inizialmente dalla Sezione Lavoro della Cassazione per risarcire i dipendenti illegittimamente esclusi dalla partecipazione ad un concorso interno (tra le più recenti, Cass. n. 5119/2010 e Cass. n. 14820/2007), ma il principio è stato utilizzato anche dalla maggioranza delle sentenze civili (Cass. Sez. Un. n. 1850/2009, Cass. n. 23846/2008 est. ******, Cass. n. 17167/2007, Cass. n. 12243/2007, Cass. n. 15522/2006, Cass. n. 1752/2005, Cass. n. 4400/2004 est. Segreto, Cass. n. 18945/2003).
La qualificazione della chance come danno emergente comporta la divaricazione dal nesso causale: la prova della chance non attiene più al nesso eziologico tra condotta ed evento, ma riguarda la consistenza percentuale di un bene già presente nel patrimonio del soggetto. Quindi, la perdita di chance opera sul danno e non sul nesso causale, che va accertato nella sua interezza: va prima accertato il nesso causale tra lesione e perdita di opportunità favorevole, poi la ragionevole probabilità della verificazione del danno inteso come perdita chance.
E’ stato però obiettato che, così facendo, per un verso si compie un escamotage per ammettere la risarcibilità di un danno il cui nesso causale rispetto alla condotta non è certo; per altro verso, si considera un bene suscettibile di valutazione economica ciò che non ha utilità in sé; da ultimo, si cade in contraddizione logica allorquando, per non effettuare risarcimenti futili, si chiede di dimostrare che la possibilità di raggiungere il risultato è seria e non simbolica, ciò che non dovrebbe essere laddove la chance fosse un bene in sé già presente nel patrimonio.
Per tali motivi, una diversa linea ricostruttiva, conosciuta come tesi eziologica, parla di chance in termini di lucro cessante, nel senso che ne ammette la risarcibilità solo quando l’occasione perduta si presentava, se valutata con prognosi postuma, assistita da ‘considerevoli possibilità di successo’ o ‘ragionevole probabilità di verificarsi’ (in questi termini, Cass. n. 20351/2010, Cass. n. 11353/2010, Cass. n. 1767/2009, Cass. n. 4052/2009, Cass. n. 10111/2008, Cass. n. 23304/2007, Cass. n. 17940/2003, Cass. n. 9598/1998), da scrutinarsi anche in base a presunzioni.
La chance non è infatti vista come una utilità in sé -ed infatti non si può cedere, donare o vendere- ma utile solo in quanto realizzata, e la sua perdita non si distingue dalla perdita del risultato finale auspicato: sostenere che essa costituisce un bene autonomo, vorrebbe dire creare un bene che per il diritto rileva solo se leso.
Quindi, la perdita di chance non costituisce la perdita di un bene patrimoniale, ma soltanto l’annullamento di un presupposto necessario per il conseguimento del bene sperato, ed il danno si identifica con il quantum lucrari potui; la chance è allora un criterio di verifica della sussistenza del legame eziologico tra la condotta impeditiva e la verificazione del danno patito inteso quale perdita del risultato finale, ed assurge quindi a strumento per dimostrare in modo meno rigoroso il nesso causale.
Ciò posto, ritiene questo Giudice come ciascuna di queste due tesi colga una parte di verità, e sia quindi necessario perseguire una tesi intermedia, che vede come lucro cessante il danno futuro derivante dalla definitiva perdita, a causa del comportamento altrui, del bene ultimo avuto di mira; e vede invece come danno emergente la chance in senso stretto, cioè la lesione della possibilità di raggiungere il risultato sperato.
Deve infatti tenersi conto che la domanda per perdita di chance è ontologicamente diversa da quella di risarcimento del danno futuro da mancato raggiungimento del risultato sperato, e la prima nemmeno può essere considerata un minus della seconda, mutando la causa petendi (possibilità di conseguire risultato nella chance, assenza di risultato nel danno futuro) ed il petitum (risarcimento commisurato a perdita nella chance, perdita tout court nel danno futuro).
Infatti, per un verso cambia la stessa collocazione logico-giuridica dell’accertamento probabilistico, atteso che nel primo caso le chances sono l’oggetto della perdita e quindi del danno, mentre nel danno futuro substanziano il nesso causale tra comportamento e danno; per altro verso cambia l’onere della prova per la parte, che nella lesione di chances riguarda la perdita di una probabilità non trascurabile di raggiungere il risultato, mentre nel danno futuro riguarda il fatto che, ove fosse stato tenuto il comportamento legittimo, il risultato sarebbe stato raggiunto.
Questo, tra l’altro, è l’approdo al quale è giunto anche la più attenta giurisprudenza di legittimità, che ha lucidamente distinto tra chance e danno futuro sia in materia di responsabilità medica, differenziando la domanda di risarcimento per diminuzione della speranza di sopravvivenza, dalla domanda di risarcimento per morte (Cass. n. 4400/2004; cfr. anche Cass. n. 23846/2008 circa la ritardata diagnosi comportante la lesione di chance di vivere quantitativamente più a lungo o qualitativamente meglio, nonché di decidere ‘che fare’ nel poco tempo che rimane da vivere); sia in materia lavoristica, differenziando il danno da mancata partecipazione ad un concorso, dal danno da mancata promozione in esito a tale concorso (Cass. n. 852/2006, Cass. n. 123/2003, Cass. n. 734/2002).
Detta distinzione, ad avviso di questo Giudice, è una conseguenza necessitata a seguito del reveriment recentemente operato dalla Cassazione civile -mutuato dalla sezione lavoro, inizialmente trasposto solo a livello di terza sezione in tema di responsabilità medica, ma poi convalidato anche dalle Sezioni Unite- che in materia di nesso causale apertamente abbandona l’impostazione penalistica della sentenza ************. Un. n. 30328/2002, riproponendo la categoria delle "serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno".
In particolare, la Suprema Corte ora differenzia la causalità civile da quella penale, nel senso che nella prima, diversamente che nella seconda, vige il principio del ‘più probabile che non’, mentre nel processo penale opera la regola della prova ‘oltre il ragionevole dubbio’, stante la diversità dei valori in gioco nei due tipi di processi, ciò che giustifica una differenza negli standard probatori ed il diverso livello di incertezza da assumersi come ragionevolmente accettabile (Cass. civ. nn. 4400/2004, 7997/2005, 1755/2006, 19047/2006, 6129/2007, 9238/2007, 21619/2007, 576/2008, 15986/2008, 23676/2008, 975/2009, 10285/2009, 10741/2009; Cass. Sez. Un. nn. 576/2008, 577/2008, 581/2008, 582/2008, 584/2008, 27337/2008, 6054/2010); ed anche la stessa Corte di Giustizia è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (Corte Giust. 3/7/2006 cause riunite C-295/04 e C-298/04, nonché Corte Giust. 15/2/2005 causa C-12/03, entrambe in tema di tutela della concorrenza).
A seguito di tale nuova nozione della causalità civilistica e della ricostruzione dl nesso causale ordinario sulla base della mera probabilità e non già della certezza, è stato acutamente osservato che vi è un doppio binario causale, "due dimensioni di analisi del rapporto causale rilevanti ai fini civilistici: la causalità civile ordinaria, attestata sul versante del ‘più probabile che non’, che ha per oggetto il danno per la perdita del bene leso; e la causalità da perdita di chance, attestata sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato, da intendersi come sacrificio della possibilità di conseguirlo" (Cass. n. 21619/2007, est. **********): nel primo caso, il risarcimento è integrale con riferimento al bene leso; nel secondo caso è parametrato percentualmente sulla chance persa.
Ciò sembra confermato anche da una più recente pronuncia di legittimità, che ritiene necessario, ai fini del risarcimento del danno futuro, una diminuzione patrimoniale come "naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità e di regolarità dello sviluppo causale, fondato sulle circostanze del caso concreto" (Cass. n. 10072/2010 est. ********).
Il risarcimento da lesione di chance, intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, presuppone allora l’onere di provare, sia pure presuntivamente o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza diretta e immediata (Cass. Sez. Un. n. 1850/2009, Cass. n. 23846/2008, Cass. n. 21544/2008, Cass. n. 16877/2008, Cass. n. 21014/2007, Cass. n. 17176/2007, Cass. n. 14820/2007, Cass. n. 12243/2007, Cass. n. 10840/2007).
Peraltro, "la perdita di chance è risarcibile indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione. L’idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente ovvero solo possibilmente la detta conseguenza è, viceversa, rilevante soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa, posto che nel primo caso il valore della chance è certamente maggiore che nel secondo e, quindi, lo è il danno per la sua perdita, che, del resto, in presenza di una possibilità potrà anche essere escluso, all’esito di una valutazione in concreto della prossimità della chance rispetto alla consecuzione del risultato e della sua idoneità ad assicurarla" (Cass. n. 23846/2008, est. ******).
2a) Quanto sopra offre le coordinate per la soluzioneone del caso che qui occupa.
Come più sopra argomentato, è provato che il L., all’epoca agente assicuratore, aveva iniziato una trattativa per divenire socio dell’Agenzia; e che, dopo il sinistro ed a cagione dello stesso, ogni trattativa si è interrotta.
Sulla base di queste circostanze fattuali, non vi è prova di un danno patrimoniale futuro da lucro cessante per l’attore, non potendosi formulare un giudizio prognostico circa il fatto che il L. sarebbe ‘più probabilmente che non’ divenuto socio (il teste O. parla di meri "discorsi" e di "trattativa", subordinati ad una successiva valutazione della Compagnia non ancora effettuata).
Vi è però certamente una lesione di chance, nel senso sopra illustrato da Cass. n. 23846/2008, della "possibilità di consecuzione" del vantaggio derivante dal divenire socio, impedito invece dagli esiti del sinistro. E la quantificazione di tale danno ben può essere fatta "in via equitativa" (cfr. Cass. n. 20808/2010, Cass. n. 23846/2008 e Cass. n. 13241/2006), senza neppure la necessità della richiesta di parte laddove si sia in presenza delle condizioni di cui all’articolo 1226 c.c. (Cass. n. 2706/2004).
In ragione di ciò, tenuto conto di un’età già di 52 anni al momento del sinistro, nonché del fatto che le trattative erano davvero ancora nella fase embrionale, stimasi equo, ex art. 1226 c.c., individuare il danno da perdita di chance patrimoniale nella limitata somma di € 15.000 all’attualità.
3) In ragione di quanto sopra, posto che il complessivo danno sofferto dall’attore era stato calcolato in € 177.143,79, già comprensivo di interessi e rivalutazione al momento dell’ordinanza anticipatoria in data 12/6/2008, e posto altresì la necessità di maggiorare tale somma di € 12.000, deriva che il danno deve essere conclusivamente conteggiato in € 202.143,79, oltre interessi legali dal 12/6/2008 al saldo.
La presente pronuncia, all’evidenza, assorbe l’ordinanza anticipatoria emessa in corso di causa e la provvisionale, con la conseguenza che dai pagamenti da effettuarsi da parte dei convenuti, in solido, dovranno essere scorporate le somme già versate ante causam e in corso di causa.
4) Non vi sono motivi per derogare ai principi generali codificati dall’art. 91 c.p.c. in tema di spese di lite, che, liquidate come da dispositivo in aderenza alla nota presentata con l’unica eccezione della maggiorazione ex art. 5.2 TP e della rideterminazione degli onorari, sono quindi poste a carico dei soccombenti convenuti, in solido, ed a favore della vittoriosa parte attrice.
Per gli stessi principi in tema di soccombenza, anche le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con il separato decreto di cui a dispositivo, sono definitivamente poste a carico dei convenuti in solido.
Registrazione a debito ex art. 59 DPR n. 131/1986.

P.Q.M.

il Tribunale di Piacenza in composizione monocratica
definitivamente pronunciando, nella contumacia di parte convenuta, ogni diversa istanza disattesa
condanna **************************, N. K. e L. D., in solido tra loro, a pagare a L. G. € 202.143,79, oltre interessi legali dal 12/6/2008 al saldo, con detrazione di quanto già versato ante causam ed in corso di causa;
condanna **************************, N. K. e L. D., in solido tra loro, a rifondere a L. G. le spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 723,35 per rimborsi, € 7.621 per diritti, € 12.000 per onorari, oltre IVA, CPA ed art. 14 TP;
pone definitivamente a carico di **************************, N. K. e L. D., in solido tra loro, le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con separato decreto 14/1/2004;
registrazione a debito ex art. 59 DPR n. 131/1986.

Il Giudice
dott. *****************

Redazione