Tribunale Padova sez. II 16/3/2011

Redazione 16/03/11
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato il 12/2/2008 Co.Ca., Co.Gi. e Co.Ma., quali eredi della compianta ******************, rispettivamente loro moglie e madre, convenivano in giudizio, avanti al Tribunale di Padova, il dott. Cr.Ma. al fine di sentirlo condannare alla refusione dei danni che si assumevano patiti in relazione alla morte della loro congiunta a seguito di un intervento chirurgico. La *********** in data 21/2/2000 alle ore 18.10 si era sottoposta ad artroprotesi totale dell’anca destra ad opera del Prof. Cr. Dopo l’operazione terminata alle 21.10, si manifestò una perdurante emorragia, sicché si rese necessario rioperare la paziente per suturare il vaso venoso iliaco destro, danneggiato dal primo intervento.

Lo shock emorragico si rivelò irreversibile, per cui, alle ore 5,15 del 22 febbraio, cioè otto ore dopo la conclusione dell’artroprotesi, la Sig. An. decedette. A seguito dell’accertata responsabilità penale del dott. Cr., gli attori instauravano il presente giudizio per vedere riconosciuto il danno, biologico, morale e patrimoniale agli stessi conseguito per complessive Euro 1.245.359,20, con gli interessi di legge e la rivalutazione monetaria dal sorgere dell’obbligazione all’effettivo soddisfo, oltre a vittoria di spese. Si costituiva il ************ non contestando l’an debeatur, ma rilevando l’abnormità delle pretese attoree.

Sulla base della documentazione agli atti e delle deduzioni delle parti, risulta provata e comunque pacifica la responsabilità professionale medica del convenuto.

Infatti risulta acclarata una responsabilità per colpa, in particolare per negligenza, del Prof. Cr., consistita nel porre in essere una manovra tecnica incongrua, ossia un eccessivo affondamento della punta del trapano una volta superata la corticale interna dell’osso del bacino da cui derivava la morte della ***********, come conseguenza irreversibile allo shock emorragico causato dalla lesione venosa.

La presente controversia riguarda, pertanto, la sola liquidazione dei danni pretesi dagli attori.

In ordine al quantum si osserva che le pretese attoree hanno riguardato:

il danno biologico permanente ed il danno morale soggettivo cc. dd. terminali da intendersi patiti dalla defunta e quindi richiesti iure hereditatis;

il danno biologico da morte iure proprio;

il danno patrimoniale.

A titolo personale gli attori tutti, sia pure a diverso grado per il correlativo livello di prossimità, hanno reclamato il risarcimento del danno non patrimoniale di carattere morale per la perdita della congiunta, oltre che quello per la perdita del rapporto parentale. La pretesa attorea trova il suo fondamento nella lesione del dritto a conservare e coltivare la relazione parentale e, quindi, a godere nel quotidiano di quell’insieme di relazioni a presidio delle quali si collocano gli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione, fermo restando che, secondo la tassonomia approntata dalla Cassazione (sentenza 31/5/2003, n. 8827 e 8828), in questa sede, oltre al profilo esterno della perdita della relazione parentale, non si può prescindere dal dare adeguata valutazione anche alla lesione di carattere interno connessa alla sofferenza patita per la perdita del congiunto. Come è noto ai più il sistema del danno non patrimoniale è stato riplasmato in toto dalle ridette sentenze nn. 8828/2003 e 8827/2003, cui poi ha fatto seguito la sentenza 233/2003 della Corte Costituzionale (cfr. da ultime Cass. 16/3/2005, n. 5677; 15/1/2003, n. 729; Cass. 136/2006, n. 13546; 12/2006, n. 15760; Sez. Un. 11/1/2008, n. 26972/26973/26974/26975), finendo per riassorbire nell’alveo dell’art. 2059 c.c. anche il danno alla salute.

In breve, dando seguito ideale alla sentenza 87/79 del Giudice delle Leggi, sul presupposto della diretta operatività delle norme costituzionali sul piano dei rapporti orizzontali la Cassazione ha dato piena cittadinanza a lesioni attinenti valori della persona costituzionalmente garantiti nell’ambito di una rilettura in chiave costituzionale dell’art. 2059 c.c.

In questo modo, fermo il principio di tipicità dei danni non patrimoniali inteso con riferimento al bene leso, si è operata, mediante un diverso ancoraggio costituzionale, una netta distinzione tra danno biologico tutelato dall’art. 32 Cost., danno morale soggettivo connesso a tutte le forme di sentire interno (sofferenza e patimenti) o di lesione all’integrità morale legati all’art. 2 cost. e danno connesso alla lesione di altri valori della persona di rango costituzionale (perdita del rapporto parentale, lesione della serenità familiare, art. 2, 29 e 30 cost.).

Ora al di là degli schemi classificatori è indubitabile che all’interno del danno non patrimoniale oltre al pretium doloris connesso al danno morale, tradizionalmente legato ai fatti di reato, e al danno biologico esiste un vasto territorio di pregiudizi non bagatellari che attentano ai diritti alla persona di indubbio rilievo costituzionale.

Per completezza espositiva occorre precisare che la giurisprudenza ha escluso la sussistenza del danno in re ipsa: il danno da lesione del rapporto parentale, si afferma appartenere al genere "danni conseguenza".

Pertanto spetta al soggetto leso l’onere della prova del danno subito.

La Suprema Corte ritiene che per il danno non patrimoniale quest’onere sia meno gravoso e che "la dimostrazione del disagio e del turbamento sarà data con l’impiego di presunzioni e molto spesso soltanto di allegazioni. Il pregiudizio non è mai in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell’interesse".

La liquidazione del danno al rapporto parentale dovrà avvenire con il criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c., tenendo conto del particolare legame affettivo degli attori, marito e figli, con la vittima.

Il Tribunale ritiene di seguire le indicazioni espresse sul punto dall’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, le quali si concretano nel disancorare la liquidazione del danno al rapporto parentale da un ipotetico danno biologico della vittima e commisurarlo agli indici già richiamati, ivi compresa la particolare intensità della relazione affettiva.

Nel caso di specie, il Tribunale, peraltro, deve fronteggiarsi con allegazioni alquanto ridotte da parte degli attori, risultando indicato (e non contestato dal convenuto) unicamente che la defunta conviveva con i figli, mentre non conviveva con il marito separato dal 1990.

Altri elementi circa i rapporti familiari, la frequentazione, l’esistenza di legami esterni non sono stati forniti, sicché l’unico elemento con cui il Tribunale si deve misurare è quello del rapporto di convivenza.

Ora tenuto conto dell’età della vittima (56 anni), è presumibile che nel breve periodo la defunta avrebbe continuato a convivere con i figli, mentre non avrebbe più convissuto con il marito dal quale era separata fin dal 1990.

Tale fatto induce a liquidare il danno non patrimoniale richiesto in proprio dagli attori nella misura di Euro 150.000,00 in favore di Co.Gi. e nella misura di Euro 150.000,00 in favore di Co.Ma.

A favore di Co.Ca. si rende inevitabile una stima assai più prudenziale, nella misura di Euro 75.000,00, pari cioè al 50% del valore standard riconosciuto al coniuge convivente. Queste somme sono in valore attuale.

Peraltro se debbono essere evitate duplicazioni risarcitone mediate l’attribuzione di somme separate e diverse in relazione alle diverse voci (sofferenza morale, danno alla salute, danno estetico ecc.) i danni non patrimoniali debbono comunque essere integralmente risarciti, nei casi in cui la legge ne ammette la riparazione, nel senso che il giudice, nel liquidare la somma spettante al danneggiato deve tenere conto dei diversi aspetti in cui il danno di atteggia nel caso concreto.

Quanto al danno c.d. tanatologico, si deve tener conto, nel quantificare la somma dovuta in risarcimento dei danni morali, anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia, in consapevole attesa della fine", sì da evitare "il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega .. il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita".

Il Giudice deve cioè personalizzare la liquidazione dell’unica somma dovuta in risarcimento dei danni morali, tenendo conto anche del c.d. tanatologico, ove i danneggiati ne facciano specifica e motivata richiesta e le circostanze del caso concreto ne giustifichino la rilevanza (cfr. Cass. civ., sez. III, 8/4/2010, n. 8360).

Nel caso di specie la sfortunata *********** risulta deceduta dopo circa 8 – 11 ore dalla lesione vascolare venosa, subendo uno shock emorragico irreversibile.

Dalla relazione peritale prodotta dagli attori quale loro doc. 2 emerge inequivocabilmente che "i sistemi circolatori coronario, cerebrale e surrenalico sono gli ultimi ad essere colpiti dallo shock. Questi vengono compromessi quando la pressione arteriosa sistolica scende sotto i 70 mm. Hg. Lo shock si divide in tre stadi: uno stadio non progressivo, uno stadio progressivo ed uno stadio irreversibile. Lo stadio non progressivo è la fase compensatoria causata dai meccanismi di controllo a feedback negativo della circolazione. Questi meccanismi fanno sì che l’output cardiaco e la pressione arteriosa rimangano a livelli normali. Questo stadio è caratterizzato da tachicardia, pallore e sudorazione. Nello stadio progressivo dello shock si ha un peggioramento progressivo fino all’exitus, se non si provvede mediante adeguata terapia. Nello stadio irreversibile lo shock non può più essere arrestato con le terapie attualmente disponibili e l’exitus è certo".

Tali considerazioni medico – legali sono sufficienti a far ritenere comprovata la circostanza che, nell’apprezzabile lasso di tempo di permanenza in vita rispetto al momento della verificatasi lesione fisica, la vittima primaria abbia potuto percepire le conseguenze dell’evento subito.

In casi come quello oggi all’esame del Tribunale, più che di un danno biologico spettante iure hereditatis agli eredi della vittima, quello che viene in primo luogo in considerazione è proprio il danno per la perdita della vita. Più in chiaro, se il danno alla salute, inteso come attentato all’integrità psicofisica, può essere apprezzato al termine del periodo di malattia in termini di perdita permanente della possibilità di fruire di quell’insieme di funzioni dell’essere umano, indipendentemente dall’attitudine a produrre reddito, in caso di lesione cui consegua la morte della vittima ciò che si risarcisce è proprio la perdita del bene vita. Ne discende che, in riferimento alle domande attoree come sopra specificate, va riconosciuto agli attori, in via di ulteriore personalizzazione degli importi loro attribuiti come sopra considerati, sulla scorta dei criteri di valutazione del danno alla persona in uso presso il Tribunale di Milano, condivisi da questo Tribunale, la ulteriore somma complessiva di Euro 798.997,00 ai valori attuali, da ripartirsi tra gli eredi in ragione di Euro 266.332,33 ciascuno. Non diversamente deve essere riconosciuto, sempre iure hereditario, agli attori il pregiudizio morale soggettivo, inteso come pretium doloris, sofferto dalla sfortunata Lo.An., le cui lesioni hanno determinato il protrarsi della sua agonia per 8 – 11 ore.

Anche in tale evenienza, stante la rilevanza penalistica della condotta e della colpa in concreto del convenuto, non può disconoscersi una siffatta voce di pregiudizio, affatto diversa da quella sopra indicata. Ciò perché questa voce di danno mira ad assicurare un ristoro – sanzione rispetto al dato ben circostanziato della sofferenza percepita a causa di un fatto di reato, non senza considerare l’intensità connessa alla percezione del pericolo imminente da parte della vittima primaria. Intensità della sofferenza da intendersi massima, proprio perché accompagna progressivamente l’individuo verso il decesso.

Tale voce di danno , tenuto conto dei limiti del petitum richiesto e comunque della non eccessiva durata della sopravvivenza in agonia, può essere liquidata nella misura di Euro 50.000,00, pari ad Euro 16.666,66 per ciascun attore.

Gli importi indicati, pari a complessivi Euro 1.223.997,00, dovranno essere corrisposti agli eredi nei limiti delle rispettive quote ereditarie, attribuendo:

in favore di Co.Ca. Euro 357.998,99 (Euro 75.000,00 + 16.666,66 + 266.332,33);

in favore di Co.Gi. Euro 432.998,99 (Euro 150.000,00 + 16.666,66 + 266.332,33);

in favore di Co.Ma. Euro 432.998,99 (Euro 150.000,00 + 16.666,66 + 266.332,33).

Invero, quanto al criterio di liquidazione del danno per la perdita della vita, non avendo gli attori ritenuto di poter accedere all’espletamento di una consulenza tecnica volta alla determinazione del c.d. valore di una vita statistica, l’unica via percorribile è quella da intendersi come soluzione minima, che utilizzi il criterio tabellare in uso riferito ad un soggetto con un’invalidità al 100%. Una diversa soluzione finirebbe per apprezzare in termini riduttivi la lesione della vita rispetto ad una lesione, sì grave, ma tale da offrire, sia pure in condizioni di menomazione, una spettanza di vita.

Gli attori non hanno, per contro, fornito alcuna prova in ordine alla sussistenza ed all’ammontare del danno patrimoniale. La Sig. An. era invalida civile ed usufruiva della relativa pensione, che certamente utilizzava per le sue necessità di vita. Gli attori non hanno provato, nonostante le specifiche contestazioni avversarie, né l’ammontare della pensione, né se una parte di essa, e quale, venisse devoluta ai figli adulti o, in estrema ipotesi, al marito giudizialmente separato da almeno quindici anni. Per tale voce di danno la domanda attorea va, quindi, sicuramente rigettata.

Sulle somme così riconosciute, inoltre, spettano gli interessi al tasso ex art. 1284 c.c. dalla presente decisione al saldo. Osserva il giudicante come la determinazione all’attualità del danno alla persona e la rivalutazione del danno non patrimoniale siano in grado di ripristinare, sia pure in forma di equivalente pecuniario, il valore spettante al creditore. Infatti, come da tempo rilevato dalla Cassazione nell’ambito dei debiti di valore non è possibile provvedere al computo degli interessi sul capitale interamente rivalutato, posto che così facendo si finisce per attribuire il corrispettivo per la tardiva erogazione del dovuto (evitando che di tale ritardo possa avvantaggiarsi il debitore lucrando interessi o evitando gli oneri connessi al ricorso al mercato del credito), ossia gli interessi comunemente denominati compensativi, su un valore affatto diverso da quello da ripristinare, dovendo per contro farsi riferimento alla somma via via rivalutata di anno in anno (cfr. Cass. 28/11/1995, n. 12304; sez. un. 17/2/1995, n. 1712).

Sta di fatto che negli interventi più recenti la Cassazione, nel rimarcare la distinzione sul piano funzionale tra rivalutazione ed interessi, ha evidenziato che, in assenza di allegazione e di prova, sia pure mediante il ricorso ad elementi di carattere presuntivo, in ordine al pregiudizio derivante dalla tardiva disponibilità del dovuto rispetto al tasso di svalutazione della moneta, non è possibile riconoscere gli interessi, che costituiscono una modalità liquidatoria del danno da lucro cessante.

Da tanto discende che in assenza di allegazione circa il divario tra redditività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione non sarà possibile riconoscere in via automatica gli interessi in aggiunta alla già disposta rivalutazione del credito (cfr. Cass. 13/2/2008, n. 3268).

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo seguono la soccombenza. Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.

P.Q.M.
Il Tribunale di Padova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con atto di citazione del 12/2/2008 da Co.Ca., Co.Gi. e Co.Ma. contro Cr.Ma., così provvede:

Accertata la responsabilità professionale medica del convenuto Cr.Ma. in relazione al decesso di An.Lo., determinati ai valori attuali i danni non patrimoniali come da motivazione, condanna Cr.Ma. al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali riconosciuti, in favore di Co.Ca. Euro 357.998,99; in favore di Co.Gi., Euro 432.998,99; in favore di Co.Ma. Euro 432.998,99, oltre gli interessi al tasso di legge ex art. 1224 c.c. dal momento della decisione al saldo;

Rigetta, per il resto, le ulteriori domande attoree.

Condanna il convenuto alla rifusione, in favore degli attori, delle spese di lite, liquidate, in assenza di nota, in Euro 200,00 per spese, Euro 2.700,00 per diritti ed Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Padova il 3 novembre 2010.

Redazione