Tribunale Modena sez. I 25/8/2008 n. 1271

Redazione 25/08/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione ritualmente notificato X conveniva in giudizio il Policlinico di Modena ed il prof. Y per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti a seguito di un intervento chirurgico sulla sua persona, deducendo responsabilità per colpa professionale.

2. Con comparsa di costituzione e risposta ritualmente depositata si costituiva in giudizio il Policlinico di Modena contestando il contenuto dell’atto introduttivo e chiedendo l’integrale rigetto delle domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto.

Con comparsa di costituzione e risposta ritualmente depositata si costituiva in giudizio il convenuto prof. Y, anch’egli contestando il contenuto dell’atto introduttivo e chiedendo l’integrale rigetto delle domande attoree

3. La causa veniva istruita mediante acquisizione delle produzioni documentali, assunzione delle prove orali richieste ed ammesse, ed espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, con nomina di un collegio medico legale composto dal prof. ****************, medico legale, e dal prof. ***************, specialista.

All’udienza del 12/2/2008 venivano quindi precisate le conclusioni sopra trascritte, con i termini indicati in epigrafe per il deposito di conclusionali e memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. La ricostruzione della vicenda storica è incontestata sulla base delle risultanze documentali e degli accertamenti peritali.

L’attrice esercita attività di parrucchiera in Reggio Emilia. Avendo saltuariamente accusato, nello svolgimento della professione, episodi di atralgia al polso destro, normalmente ovviati con ricorso ad un tutore ortopedico, decideva nel maggio 1995 di sottoporsi a visita medico specialistica, all’esito della quale veniva diagnosticata "neuropatia da compressione del nervo ulnare al gomito". Un successivo controllo eseguito da uno specialista neurologo, in data 29/5/1995, evidenziava "segni di denervazione nel territorio distale del nervo ulnare destro". L’attrice si sottoponeva quindi a visita ortopedica da parte dei prof. Y di Modena, il quale, in data 31/8/1995, disponeva l’effettuazione di una risonanza magnetica nucleare. In data 13/2/1996 l’attrice veniva ricoverata presso il Policlinico di Modena con diagnosi di "Morbo di Kiemboeck polso destro" ed in data 14/ 2/ 1996 veniva sottoposta, per opera di una equipe composta dal ******* e dai Dottori T. ed R., ad intervento di osteotomia radiale. L’intervento non sortiva l’esito sperato, si rivelava pregiudizievole e dopo il decorso post operatorio residuava una invalidità funzionale.

5. Nel merito, va osservato che nella presente controversia non sono in contestazione le circostanze storiche di fatto inerenti le prestazioni sanitarie effettuate nei confronti dell’attrice dai medici dell’ente ospedaliero policlinico modenese. In particolare i convenuti non contestano la natura degli interventi effettuati, quali risultanti dalla documentazione medica prodotta, e, in sostanza, la vicenda medico chirurgica riferita dall’attrice.

I convenuti oppongono, peraltro, l’assenza di responsabilità professionale nell’opera dei sanitari, sia sotto il profilo della riconducibilità causale del danno alla condotta chirurgica, sia sotto il profilo della diligenza nell’esecuzione dell’intervento, sia sotto il profilo della correttezza diagnostica e dell’indicazione terapeutica.

Si pone, quindi, anzitutto un problema di nesso causale, e poi di verificazione dei presupposti della colpa professionale.

6. In merito è stata esperita consulenza tecnica d’ufficio, sulla base del quesito formulato all’udienza dei 26/11/2003 ai consulenti incaricati.

Dopo l’esame degli atti ed in particolare del diario clinico della perizianda, ed all’esito di anamnesi, visita medico legale, esame obiettivo, ed ampio contraddittorio tecnico con i consulenti di parte nominati, i consulenti d’ufficio illustrano lo stato di fatto dal punto di vista medico.

In sintesi, la consulenza mette in luce i seguenti punti.

Anzitutto, un problema pratico: "riguardo la correttezza della diagnosi di morbo di Kiemboek vi è un limite rappresentato dalla indisponibilità di tutti gli estremi radiologici consegnati alla Compagnia assicuratrice (e non più riottenuti); di essi sono in atti solo i referti".

"Poiché la diagnosi di questa patologia è tipicamente radiologica, questa limitazione appare rilevante, soprattutto se si considera che l’unico esame radiologico disponibile oggi non conferma la diagnosi di morbo di ********, mostrando solo generici segni di sofferenza del semilunare, reperti praticamente corrispondenti e sovrapponibili alla descrizione dei precedenti referti radiologici. In altre parole, sulla base degli attuali radiogrammi non può essere posta oggi la diagnosi del morbo di Kiembock …"

L’iniziale problema relativo all’ "indisponibilità degli esami radiografaci" è salto in parte superato dai consulenti incaricati, i quali mediante un’attenta analisi sia dei referti medici agli atti che dell’esito dell’ultima radiografia svolta in sede di operazioni peritali, prospettano due scenari alternativi: che non si sia mai trattato morbo di ********, o che si sia trattato in origine di morbo di Kiemboek allo stadio iniziale, poi guarito con l’intervento.

Nella prima ipotesi i consulenti individuano, pur in assenza dei radiogrammi, una propria diagnosi alternativa, spiegando la possibilità che X al momento dell’intervento chirurgico soffrisse di "distrofia ossea idiopatica", patologia del tutto differente da quella diagnosticata dal convenuto, indicando due ordini di ragioni a favore di questa ipotesi. Nella seconda ipotesi i consulenti spiegano come fosse sostenibile che X al momento dell’intervento fosse effettivamente affetta da un morbo di Kiemboek allo stadio iniziale.

Le due ipotesi assumono importanza decisiva perché l’indicazione terapeutica chirurgica posta in essere può essere considerata indicata, secondo la consulenza tecnica d’ufficio, esclusivamente nel caso della seconda ipotesi, mentre nella prima ipotesi l’intervento in questione non sarebbe stato assolutamente indicato.

Questo aspetto diagnostico risulta, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, decisivo, in quanto non vengono evidenziati profili di censurabilità della condotta in sede propriamente chirurgica di esecuzione dell’intervento. In altri termini, non è individuabile colpa medica nell’esecuzione dell’intervento. Il problema resta a monte, nella fase dell’indicazione terapeutica. Infatti, secondo la consulenza espletata, le conseguenze postoperatorie e, in generale l’esito dell’intervento, è considerato accettabile ove effettivamente si trattasse di morbo di ********. Si rileva, infatti, che, pur non trattandosi di "un risultato ottimale", tale "esito imperfetto" è comunque "prevedibile, senza che si possa parlare, considerate le finalità ed i limiti dell’intervento, di un errore chirurgico". Inoltre, "il decorso post-operatorio è stato caratterizzato da una complicanza algodistrofica del polso e della mano (…). Si è trattato comunque di una complicanza prevedibile, condizionata da fattori individuali e non addebitabile, nel caso, a responsabilità del chirurgo…". Tutto ciò, però, è compatibile esclusivamente con l’ipotesi della correttezza di diagnosi del morbo di ********.

Quindi, la consulenza, per risolvere il dubbio tra le due predette ipotesi, lucidamente precisa: "Ma ritorniamo ora al punto centrale della vicenda processuale, per cercare di indicare al Giudicante i possibili riferimenti, con gli elementi a disposizione, per una valutazione sulle eventuali responsabilità mediche nel caso. Le due ipotesi sopra formulate stanno a significare che non disponiamo della prova, anche in termini probabilistici sufficientemente significativi, di un errore colpevole del chirurgo nella diagnosi di morbo di Kiemboek e, di conseguenza, nell’indicazione dell’intervento chirurgico.

Si deve però anche riconoscere la validità della riflessione contraria: non abbiamo nessun elemento sicuro e decisivo per poter confermare la correttezza di quella diagnosi. Il quadro radiologico, all’epoca, non era descritto come tipico dei (…) successivamente evoluto, né la paziente era stata sottoposta ad un utile approfondimento diagnostico, quale poteva essere considerata la scintigrafia; il quadro radiologico attuale non é caratteristico di un morbo di Kiemboek; la sintomatologia clinica era, almeno in parte di altra origine (compressione del nervo ulnare al gomito); non è dimostrato un effettivo beneficio dell’intervento sulla sintomatologia clinica".

7. Le considerazioni della consulenza tecnica d’ufficio sopra ricordate sono sufficienti per concludere che, sul piano causale, nel caso di specie, può affermarsi con giudizio di probabilità al di là di ogni ragionevole dubbio che l’intervento sanitario è stato la causa del quadro sintomatologico successivamente insorto, nel caso di errore diagnostico iniziale; attesa, infatti, l’incertezza dell’etiopatogenesi, dovuta all’assenza di alcuni dati oggettivi come le radiografie, la soluzione fornita dai consulenti è, sul piano tecnico, aperta: nell’ipotesi di correttezza della diagnosi, la lesione subita dall’attrice può essere considerata come una complicanza operatoria prevedibile ma inevitabile dell’intervento chirurgico, una sua semplice conseguenza, anche senza colpa del chirurgo, che si verifica indipendentemente dalla perizia dell’operatore e, nel caso concreto, non prevenibile da parte dell’operatore sanitario, in quanto evento correlato alla tipologia di intervento. Diversa è la valutazione che, sempre sul piano causale, ha svolto, nell’ipotesi di diagnosi erronea, l’effettuazione di un intervento che non era consigliabile. In questa seconda ipotesi dalla consulenza tecnica d’ufficio svolta si ricava che il sanitario avrebbe potuto e dovuto, attenendosi scrupolosamente alle conoscenze mediche proprie del settore e mediante l’esecuzione di una scintigrafia, riscontrare che l’intervento non era indicato, e ciò assume indubbia rilevanza anche sul piano causale. Il giudizio controfattuale relativo ad una più approfondita attività di indagine strumentale ai fini di una più ampia e corretta valutazione del caso clinico, conduce, anche in termini probabilistici, a ritenere che in un elevato grado di probabilità, se non di certezza, la predetta attività non compiuta avrebbe consentito una diagnosi corretta ed avrebbe sortito esiti favorevoli per la risoluzione del caso specifico. Tale giudizio non è formulato in termini di certezza esclusivamente per la già rilevata mancanza di documentazione.

8. Una volta inquadrata la vicenda concreta nei termini sopra esposti, occorre applicare i principi giuridici che regolano la materia.

Per riassumere brevemente i criteri correntemente applicati, possono ricordarsi gli ultimi approdi della giurisprudenza di legittimità dai quali non si ravvisano ragioni per discostarsi nel caso di specie.

La responsabilità dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 C.c., oltre che all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, anche, ai sensi dell’art. 1228 Cc. (disposizione con cui è stata estesa nell’ambito contrattuale la disciplina contenuta negli art. 2048 e 2049 C.c.: Cass. III, 17/5/01, n. 6756), all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario (e ciò anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale: Cass. III, 14/7/2004, n. 13066).

Sul piano processuale, in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, le conseguenze sono che il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto e/o il "contatto" e allegare l’inadempimento del professionista, che consiste nell’aggravamento della situazione patologica del paziente o nell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova dell’assenza di colpa, cioè che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. III, 28/5/2004, n. 10297); con la precisazione, altresì, che, pur gravando sull’attore l’onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore (Cass. III, 19/5/2004, n. 9471); però, a fronte dell’allegazione attorea di inadempimento od inesatto adempimento, a carico del sanitario, o dell’ente, resta sempre l’onere probatorio relativo sia al grado di difficoltà della prestazione (Cass. III, 9/11/2006, n. 23918), sia all’inesistenza di colpa o di nesso causale; in proposito è stato anche di recente ribadito che è a carico del debitore (sanitario e/o ente) dimostrare che l’inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. S.U., 11/1/2008, n. 577; Cass. III, 14/2/2008, n. 3520). In assenza di detta prova, sussiste la responsabilità del medico.

Quanto alla definizione di inadempimento, non vi sono dubbi che l’errore diagnostico rientra pienamente nella nozione, essendo stato ripetutamente stabilito che l’errore o l’omissione di diagnosi integrano di per sé inadempimento del professionista (Cass. III, 4/3/2004, n. 4400; Cass. III, 23/9/2004, n. 19133).

9. Dunque, nel caso di specie l’ente ospedaliero risponde direttamente della negligenza ed imperizia dei propri dipendenti nell’ambito delle prestazioni sanitarie effettuate alla paziente, e il sanitario risponde a sua volta direttamente del proprio inadempimento, ove non sia dimostrata l’assenza di errore diagnostico o di nesso causale. Su tali circostanze l’analisi della vicenda di fatto ha già fornito risposte: il nesso causale è certo in caso di diagnosi erronea; l’ipotesi di diagnosi erronea è fondata e, comunque, non è provata al di là di ogni ragionevole dubbio la sua esclusione, non essendo stata tale prova fornita dal debitore che ne era onerato. Proprio in base alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio sopra ricordate, è certo che i convenuti non hanno fornito la prova liberatoria dell’assenza di inadempimento sotto il profilo dell’errore diagnostico.

10. Sulla base delle circostanze e delle considerazioni di cui ai punti da 6 a 9., la domanda attorea risulta fondata in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’azione risarcitoria verso entrambi i convenuti, sia sotto il profilo del nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento, non essendo discutibile, come già esaminato, che le conseguenze dannose subite dall’attrice siano derivate dall’inadempimento nel riconoscimento e trattamento della patologia da cui era affetta l’attrice, con conseguente inadempimento.

Ciò posto, occorre determinare l’ammontare del risarcimento dovuto.

11. All’attrice spetta la liquidazione del danno alla persona, da qualificarsi senz’altro come ingiusto ai sensi degli artt. 32 Cost. e 2043 C.c., perché lesivo del diritto alla salute ed alla integrità psicofisica. La liquidazione di tale danno, non esistendo criteri sicuri ed attendibili per la valutazione del valore biologico dell’uomo, non può che essere condotta in via equitativa, secondo parametri che tengono conto oltre che dell’età, del sesso e di ogni altro indice sociale, culturale ed estetico che consente di adeguare in concreto il risarcimento al fatto.

Ad integrare la valutazione equitativa del giudice soccorre, inoltre, la consulenza tecnica d’ufficio, che, sul piano medico-legale, ha accertato un periodo di inabilità temporanea assoluta di 15 giorni, un periodo di trenta giorni di inabilità temporanea parziale al 75%, un pari periodo di inabilità temporanea parziale al 50%, e un periodo di cinque mesi di inabilità temporanea parziale al 25%; il danno biologico è indicato nella misura del 6-7%.

Non sono state documentate spese mediche (a parte quelle sostenute dal servizio sanitario nazionale), benché richieste in cifra tonda fin dall’atto introduttivo, e non ne sono prevedibili di ulteriori in futuro.

Tenuto, quindi, conto degli elementi sopra indicati, dell’epoca del fatto e delle tabelle correntemente applicate da questo Tribunale (e non le c.d. "micropermanenti" non trattandosi di danno da circolazione stradale), nella fattispecie appare equo liquidare € 69,14 per ogni giorno di invalidità totale temporanea e le quote corrispondenti per ogni giorno di invalidità parziale temporanea secondo le diverse percentuali.

Per quanto riguarda l’invalidità parziale permanente indennizzabile, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio essa viene stimata nel 6,5%; secondo il predetto criterio del calcolo di valutazione a punto, tenuto conto del predetto grado di invalidità e dell’età della vittima all’epoca dell’evento dannoso (anni 34), e con l’aggiunta dell’invalidità temporanea, la determinazione della cifra per detto titolo di danno consta, dunque, in € 14.420,10.

12. Quanto al danno morale, come già rilevato l’esame del materiale probatorio descritto ai punti precedenti consente di affermare con certezza l’illiceità anche penale e la sussistenza degli elementi del reato di lesioni colpose in danno dell’attrice, sia sotto il profilo materiale (condotta, evento, nesso di causalità) che sotto quello psicologico ("suitas" e colpevolezza in senso ampio), ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli art. 2059 C.c. e 185 C.p., nel senso che l’evento di cui è causa ha prodotto anche un danno non patrimoniale che, anch’esso da valutare necessariamente in sede equitativa ai sensi dell’art 1226 C.c., fatto il dovuto riferimento, ai vari parametri indicati da concorde giurisprudenza, anche al fine di adeguare il ristoro al caso particolare, e tenuto anche conto che si tratta di lesione da colpa professionale medica, può essere equamente stimato nella metà dell’importo liquidato per il danno biologico e, quindi, liquidato in €. 7.210,05.

13. Non risulta, invece, accertato un danno alla capacità di produrre reddito. In proposito la consulenza tecnica d’ufficio, pur tenendo conto dell’attività di parrucchiera della danneggiata, che può essere resa più faticosa, esclude una effettiva incidenza sulla capacità reddituale, non ritenendo apprezzabile lo svantaggio eventualmente determinatosi, e non essendo traducibile "in termini quantitativi percentualmente apprezzabili"; infatti il giudizio dei consulenti si spinge a ipotizzare un’incidenza negativa sulla capacità lavorativa solo a seguito di "una forzatura di pragmatismo", che quindi non può trovare riconoscimento giuridico. Pertanto nessuna somma è liquidabile a titolo di danno patrimoniale.

14. La somma complessiva risultante dalle varie poste di danno, riportate prima al valore della data del fatto, e poi rivalutata in moneta attuale e con il calcolo, sul dovuto, del danno da ritardo, con applicazione degli interessi in misura legale sulle somme via via rivalutate, secondo i principi indicati da Corte di cassazione S.U. 17/2/95 n° 1712, nel caso di specie seguendo la progressione periodica annuale, ammonta complessivamente ad € 29.992,14, somma in cui consiste, in definitiva, il danno da liquidare.

La domanda attorea va accolta nei limiti sopra ed i convenuti vanno dichiarati tenuti in solido a risarcire a parte attrice i danni liquidati come nella soprastante motivazione.

Le spese di causa seguono la soccombenza e, pertanto, attesa anche la differenza rilevante tra il chiesto ed il pronunciato, parte convenuta deve rifondere la metà delle spese di parte attrice, restando le stesse compensate per il restante cinquanta per cento per le ragioni della decisione. Vanno, invece, poste interamente a carico di parte convenuta le spese della consulenza tecnica d’ufficio, necessaria per l’accertamento della responsabilità medica, che erano state anticipate da parte attrice in corso di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nelle cause riunite come in epigrafe,

dichiara tenuti e condanna Y e la Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Modena, in solido tra loro, a corrispondere a X, a titolo di risarcimento del danno, la somma di €. 29.992,14, oltre gli interessi legali su detta somma dal deposito della presente sentenza fino al saldo effettivo;

respinge nel resto le domande di parte attrice;

dichiara tenuti e condanna altresì Y e la Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Modena, in solido tra doro, a rifondere a X le spese di consulenza tecnica d’ufficio, nella misura di €. 3.502,72, nonché la metà delle spese processuali, dichiarandole compensate nel resto e che liquida, per la parte dovuta, nella somma di complessivi €. 3.500,00, di cui €. 200,00 per spese, €. 1.200,00 per competenze, €. 2.100,00 per onorari, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Cosi deciso in Modena, il 5/5/08.

Il Giudice
Dr. *****************)

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