Accordi di ristrutturazione: il privilegio in caso di surroga

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Con provvedimento dello scorso 22 febbraio e pubblicato il 1 marzo 2018, il Tribunale di Milano ha confermato il suo orientamento in merito alla (corretta) qualifica di credito chirografario per tutti quelle posizioni vantate dal Medio Credito Centrale Banca del Mezzogiorno (MCC) in surroga ex art. 1203 c.c. nei confronti dei precedenti creditori chirografari ed i relazione a rapporti sorti prima del 2015.

Il Tribunale, alla luce delle deduzioni formulate dalla ricorrente, ha ribadito che “Il credito di parte MCC, derivante dall’esercizio di una surroga legale ex art. 1203c.c. dell’originario creditore finanziario chirografario, sorge all’atto della prestazione della garanzia, risalente all’anno 2013 e, in quanto tale, non può che avere lo stesso rango del creditore originario”.

La fondatezza di tale conclusione è stata motivata attraverso un puntuale esame dell’art. 8 bis legge 33/2015 che riconosce espressamente la natura privilegiata del credito di restituzione delle somme liquidate dal Fondo di Garanzia per le PMI ex l. 662/1996 e che MCC riteneva applicabile al caso di specie.

In primo luogo la ricorrente ha rilevato e documentato come i crediti garantiti da MCC sono però sorti in date antecedenti all’entrata in vigore della citata disposizione e in finanziamenti erogati da 2 Istituti a favore della ricorrente nel 2010 e nel 2013 senza che nessuno di tali finanziamenti fosse assistito da garanzia ipotecaria o da privilegio legale o convenzionale alcuno.

A seguito dell’escussione della suddetta garanzia da parte delle due banche beneficiarie, MCC ha estinto tramite il Fondo di Garanzia i crediti per la parte assistita dalle suddette garanzie, surrogandosi ex art. 1203 c.c. nella posizione delle banche finanziatrici.

Sulla base di tali elementi la ricorrente ha qualificato come chirografari i crediti vantati da MCC in quanto (i) non potrebbero essere qualificati diversamente da come erano originariamente inquadrati (chirografari) i crediti concessi a titolo di finanziamento da parte delle 2 banche; (ii) la disciplina di cui all’art. 9 co. 5 D.lgs 123/1998 non risulta applicabile ai suddetti crediti previsti dalla Legge 662/1996, in quanto nessun rinvio recettizio a dette norme e nessun richiamo a quel Fondo è contenuto in quella e altre disposizioni del suddetto decreto legislativo, come dimostrato da ampia giurisprudenza in merito (tra tutte vedasi il Decreto del 3 luglio 2014 del Tribunale di Milano); e (iii) anche il disposto di cui all’art. 8 bis L. 33/2015 non è applicabile al caso di specie non essendo applicabile l’estensione del privilegio per crediti sorti ampiamente prima dell’emanazione della norma che dispone tale privilegio, non avendo e non potendo avere la stessa norma alcuna efficacia retroattiva.

In merito ai primi due punti, il Tribunale di Milano ha confermato e ribadito quanto già statuito con un precedenti pronunce (Decreto del 3 luglio 2014 del Tribunale di Milano e decisione del Tribunale di Milano in data 17 marzo 2016) come richiamate ed esposte nelle deduzioni della ricorrente: “Questo ufficio ha già osservato che il credito del Gestore del Fondo (MCC) deriva dalla garanzia prestata dal Fondo a favore del creditore che ha erogato finanza alla società debitrice. Quando la banca beneficiaria escute la garanzia nei confronti del Gestore/mandatario del Fondo, il gestore si surroga ex art. 1203 c.c. nella posizione della banca originaria finanziatrice (nel caso di specie chirografaria). Pur trattandosi di garanzia diretta prestata dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (Fondo PMI), fondo istituito ex art. 2, comma 100, l. 662/96 e s.m. (Fondi CIPE a finanziamento di un fondo di garanzia costituito presso il MCC “allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese”), il diritto del Gestore non è altro che una surroga legale nei diritti dell’originario creditore. In caso di surroga legale da parte del creditore che ha pagato altro creditore, una eventuale ragione di privilegio, come impropriamente indicato dall’art. 9 d. lg. 123/98, sarebbe in contrasto con i principi che regolano la surroga nei diritti del creditore, perché attribuirebbe (in violazione dell’art. 1203 c.c.) al garante che soddisfa il creditore surrogato una qualità del credito poziore rispetto a quella che aveva il credito del creditore originario”.

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Con riferimento invece alla pretesa applicazione da parte di MCC in merito all’ all’art. 8-bis, comma 3, l. n. 33/2015, il Tribunale di Milano ha chiaramente motivato escludendo l’inquadramento delle norma come una norma di interpretazione autentica: “Né può, nel caso di specie, essere invocato il privilegio di cui all’art. 8-bis, comma 3, l. n. 33/2015 (“il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’articolo 2751-bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti di  prelazione spettanti a terzi”), disposizione entrata in vigore in data 24.03.2015, in quanto norma innovativa, di natura non interpretativa e non retroattiva, come da questo ufficio già statuito (Trib. Milano, 17 marzo 2016, data decisione), per le ragioni ivi indicate, qui sinteticamente riproposte:

  1. la suddetta disposizione non viene qualificata quale disposizione interpretativa, né tanto meno di interpretazione autentica;
  2. la suddetta disposizione non può ritenersi di interpretazione autentica neanche in termini sistematici, non solo per la formulazione della stessa, ma anche perché non vi era un vero e proprio contrasto in giurisprudenza sull’interpretazione della disposizione istitutiva del diritto di surroga (art. 9 d. lg. 123/98), essendo tale privilegio negato dalla maggior parte della giurisprudenza di merito, compreso questo ufficio.”

L’impostazione del Tribunale di Milano non era comunque scontata, essendoci state pronunce che invece hanno adottato una linea assolutamente diversa, come il Tribunale di Como (Sezione I – Giudice Alessandro Petronzi – Ordinanza del 28 Settembre 2016), il Tribunale di Reggio Emilia (Decreto del 1 Giugno 2016) e recentemente il Tribunale Monza (16 Novembre 2017. Est. Crivelli) e che la stessa MCC aveva segnalato nelle sue comunicazioni di precisazione del credito.

Sul punto però la parte ricorrente ha però fornito ulteriori elementi a supporto della qualifica dell’art. 8 bis legge 33/2015 e della sua natura innovativa e quindi non permette una applicazione retroattiva del suo contenuto, richiamando in primo luogo una recente sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost., sentenza 13 luglio 2017, n. 176) che ha confermato come le “disposizioni che introducono nuovi privilegi non possono essere retroattive”.

La Corte Costituzionale afferma che l’applicazione immediata delle nuove disposizioni in materia di privilegi viola sia i principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sia l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, in considerazione del pregiudizio che la nuova disposizione arreca alla tutela dell’affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti, che possano giustificare la applicazione retroattiva della nuova norma. Partendo da quanto disposto dalla Corte Costituzionale (in merito all’art. 23, comma 39, d.l. n. 98 del 2011) il medesimo principio può essere applicato all’art. 8 bis legge 33/2015, facendo peraltro emergere dubbi circa la corretta qualifica di norma di interpretazione autentica, che permetterebbe una applicazione retroattiva, in violazione dei principi costituzionali in merito. Sino ad ora la Corte Costituzionale ha affrontato ripetutamente l’incidente di costituzionalità relativo alla retroattività delle norme di legge e, pur nella varietà delle fattispecie, l’orientamento seguito dalla Consulta non ha mai lasciato spazio ad equivoci di sorta.

Dopo aver puntualmente riconosciuto nel divieto generale di retroattività della legge un principio generale dell’ordinamento, nonché un fondamentale valore di civiltà giuridica a cui il legislatore deve in linea di principio attenersi, ha ricordato come “lo stesso non sia stato tuttavia elevato a dignità costituzionale ad eccezione di quanto stabilito dall’art.25 Cost., limitatamente alle leggi in materia penale” (sentenze n.6 e n.397 del 1994, n.432 del 1997, n.229 e n.416 del 1999, n.419 del 2000, n.374 del 2002, n.291 del 2003). Pertanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, “il legislatore ordinario può, nel rispetto di tale limite, emanare norme retroattive, purché trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere dalle leggi precedenti, se queste condizioni sono osservate, la retroattività, di per se da sola, non può ritenersi elemento idoneo ad integrare un vizio della legge” (sent. n.432 del 1997).

La possibilità quindi di introdurre norme che abbiano efficacia retroattiva è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale, con il solo limite che le stesse non contrastino con altri diritti o valori garantiti dalla medesima carta costituzionale, che la stessa Corte individua: a) nel rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; b) nella la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturalo allo Stato di diritto; e) nella coerenza e nella certezza dell’ordinamento giuridico; d) nel rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (Corte Costituzionale Sentenza 170/2013).

In termini ancor più generali la Consulta ha ripetutamente avuto occasione di precisare questi principi, soprattutto con riferimento a norme c.d. interpretative. È infatti insegnamento costante che “nessun legittimo affidamento può sorgere sulla base di una interpretazione della norma tutt’altro che pacifica e consolidata ed anzi fortemente contrastata nella giurisprudenza di merito” (sent. n.229 del 1999). Né l’affidamento in una determinata interpretazione tra le plurime plausibili può ritenersi illegittimamente eluso da norme di natura sostanzialmente interpretativa (sent. n.88 del 1995). Come per altro nel caso di specie, essendo assolutamente controversa la questione della retroattività delle disposizioni in merito alla qualificazione del privilegio da riconoscersi per il recupero, tramite iscrizione a ruolo esattoriale straordinario, dei crediti nascenti dai finanziamenti assistiti dal Fondo di Garanzia ai sensi dell’art. 2, comma 100, della legge 662/96.

Sulla base di quanto esposto, anche alla luce della recentissima sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost., sentenza 13 luglio 2017, n. 176), risulta che il contenuto di tutta la legge 33/2015 e non solo dell’art. 8 bis ha natura assolutamente innovativa come già riporta il titolo della legge “Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti” ed “Investment Compact” proprio con riferimento alla parte dedicata al rafforzamento “pro futuro” al Fondo di Garanzia.

Sentenza collegata

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Corrado Abbondi

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