Forme della dichiarazione di estinzione dell’interruzione del giudizio ordinario di cognizione – questioni applicative e prassi

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 Forme della dichiarazione di estinzione dell’interruzione del giudizio ordinario di cognizione – questioni applicative e prassi

 

 

Si segnala all’attenzione dei lettori il recentissimo arresto (sentenza n. 258, pubblicata il 21.03.2016), con il quale il Giudice Monocratico del Tribunale di Termini Imerese, si è pronunciato sulla – delicata – questione della forma che il provvedimento declaratorio dell’interruzione del giudizio debba assumere.

La Curia termitana ha, con lodevole chiarezza, indicato gli attuali parametri normativi della questione, finendo per fornire una chiave di lettura, rientrante nell’opzione ermeneutica fatta propria dal Giudice di legittimità, con indicazioni pratiche degne di nota.

E’ noto l’attuale quadro normativo, risultante dal combinato disposto di cui agli artt. 181 e 309 c.p.c. Semplice la ricostruzione fattuale dell’iter processuale.

Le parti (tutte le parti) di un ordinario giudizio di cognizione non comparivano per due udienze consecutive; disposta dal Tribunale, con ordinanza, la cancellazione della causa dal ruolo, si pone la vexata quaestio di quale appropriata forma processuale debba assumere il provvedimento dichiarativo dell’estinzione del giudizio.

Come noto, nessuna difficoltà nelle ipotesi in cui il Tribunale decida in composizione collegiale.

In quel caso, infatti, tale provvedimento assumerà la forma dell’ordinanza resa dal Relatore, eventualmente reclamabile – appunto – innanzi al Collegio, che, poi, deciderà con sentenza.

Ma quid juris – e sono i casi più numerosi – ove un tal provvedimento debba essere adottato nelle fattispecie in cui il Decidente debba giudicare in composizione monocratica ?

E’, infatti, evidente come nei procedimenti in cui il Tribunale giudichi in composizione monocratica, il G.I. cumuli le funzioni di Istruttore e quelle di Relatore al Collegio, ex art. 281 quater c.p.c., e, mancando appunto il Collegio, non potrà trovare applicazione la norma dettata dall’art. 178 c.p.c., laddove essa preveda la reclamabilità al Collegio dell’ordinanza del G.I. dichiarativa dell’estinzione del giudizio (Cass. 14592/07).

L’impraticabilità del rimedio del reclamo comporta, secondo il pensiero della Curia termitana, che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione non possa avere la forma dell’ordinanza, poiché altrimenti esso, da un lato, non sarebbe impugnabile col reclamo, e, dall’altro, non sarebbe impugnabile nemmeno con l’appello, atteso che le ordinanze, non sono appellabili (ex artt. 279, IV comma, 323 e 339 c.p.c.).

Né, in ipotesi, sarebbe ipotizzabile ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., dal momento che tale strumento, come universalmente noto, può essere esperito solo avverso provvedimenti giurisdizionali che, incidendo sul rapporto sostanziale, siano idonei ad acquisire autorità di cosa giudicata ex art. 2909 c.c., mentre, le ordinanze avrebbero quale contenuto esclusivamente una decisone di mero rito.

Conclude, pertanto, il Tribunale termitano affermando come: “La forma appropriata che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione del giudizio debba assumere non sia quella dell’ordinanza, ma quella della sentenza, trattandosi dell’unica forma idonea al raggiungimento dello scopo del provvedimento, giacché esso definisce il processo (davanti al Giudice che lo emette) con una decisione in rito che deve essere suscettibile di impugnazione, la quale non potrà essere altra che l’appello, mezzo generale di impugnazione delle sentenze”.

La decisione in commento, a parere dello scrivente, ha il pregio di esporre, con chiarezza e sinteticità, l’attuale panorama normativo della corretta forma giuridica che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione del giudizio debba assumere nei casi in cui il Tribunale giudichi in composizione monocratica.

Giancarlo Sciortino

Avvocato nel Foro di Palermo

Professore a Contratto di Diritto Civile UNAI

Consulenze Nazionale CSC e Provinciale UNAI Palermo

Sentenza collegata

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