Al Consulente tecnico d’ufficio che non rispetta il principio del contraddittorio non può essere riconosciuto alcun compenso

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Quali sono le sorti della consulenza tecnica d’ufficio e della liquidazione del relativo compenso se il C.T.U. si avvale di documenti non ritualmente prodotti dalle parti e acquisiti senza il consenso di entrambe?

Questa la soluzione offerta dal Tribunale di Taranto, nella persona della dott.ssa Annagrazia Lenti, con la sentenza n. 208 depositata in data 20 gennaio 2016.

Oggetto della causa al vaglio del Tribunale è un giudizio relativo a rapporti bancari.

Il Tribunale non ha accolto la domanda attrice ravvisando “un anomalia genetica” in punto di assolvimento dell’onere della prova da parte degli stessi ex art. 2967 c.c.”.

Nel caso de quo è accaduto che gli attori, violando palesemente le preclusioni istruttorie e le regole del contraddittorio, hanno consegnato alcuni documenti al C.T.U.; tale circostanza, confermata dallo stesso perito, è stata tempestivamente contestata dalla difesa della banca convenuta che ha eccepito la nullità della relazione.

Il Giudice ha rilevato che l’eccezione della banca convenuta è fondata e che difetta l’unico presupposto capace di salvare le operazioni peritali, ossia il consenso espresso dalle parti ex art. 198 c.p.c..

La sentenza in esame non si discosta da quello che è ormai l’orientamento giurisprudenziale prevalente in tema di onere probatorio gravante, ex art. 2967 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto (ex plurimis Cass. 17.5.2015, n. 9201) e nel caso de quo “la carenza probatoria imputabile agli attori non ha consentito la rilevabilità d’ufficio di eventuali profili di nullità assoluta giacché il giudice può accertare d’ufficio una nullità contrattuale sulla base della documentazione e delle risultanze istruttorie fornite dalla parte cui incombe l’onere della prova o in forza dei documenti ritualmente prodotti dai legittimi contraddittori o ancora all’esito di accertamenti peritali sugli atti del processo, ma non può d’ufficio assumere iniziative per la ricerca degli elementi implicanti nullità”.

Il giudice parte dal principio in base al quale il Consulente tecnico d’ufficio può tenere conto di documenti non ritualmente prodotti in causa solo con il consenso delle parti, in mancanza del quale l’attività dell’ausiliare è, al pari di ogni altro vizio della consulenza, fonte di nullità relativa soggetta al regime previsto dall’art. 157 c.p.c., con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale (cfr. ex plurimis Cass., 12 giugno 2014, n. 13418).

Nel caso de quo è accaduto che: 1) il perito effettivamente ha acquisito e valutato documenti senza il consenso della convenuta; 2) la difesa della convenuta ha tempestivamente eccepito la nullità della relazione; 3) la difesa degli attori ha omesso ogni deduzione sul punto.

Il Tribunale osserva che una parte della giurisprudenza non ammette la possibilità di acquisizione documentale neppure sul presupposto dell’accordo delle parti, nel caso in cui si tratti di prova precostituita fondamentale da introdurre nel processo entro i corretti segmenti di definizione del thema probandum, facendo residuare sul piano della possibile acquisizione da parte del CTU, solo i documenti con valenza accessoria rispetto a quanto provato in giudizio. In tal senso si è espressa la Suprema Corte nella sentenza n. 24549 del 2.12.2010 allorché afferma: “si deve escludere l’ammissibilità tardiva, anche in sede di CTU contabile, di prove documentali concernenti fatti o situazioni poste direttamente a fondamento della domanda e delle eccezioni di merito restando invece applicabile la norma permissiva di cui all’art. 198 c.p.c. alla sola documentazione di elementi meramente accessori, utili a consentire al consulente tecnico d’ufficio una risposta più esauriente ed approfondita al quesito postogli dal giudice”.

Inoltre, il Tribunale ha ribadito che, durante le operazioni peritali, i contrasti fra le parti o fra esse e l’ausiliario devono essere risolti dinanzi al Giudice, nel pieno contraddittorio delle parti e del perito, che prima di procedere alla stesura della relazione avrebbe dovuto investire della questione il magistrato, al fine di svolgere valutazioni valide ed attendibili.

Quindi, secondo il Tribunale di Taranto, che segue l’orientamento espresso dalla Suprema Corte nella sentenza n. 234 del 211, il diritto al compenso del consulente deve escludersi in tutti i casi in cui la sua attività non sia neppure astrattamente utilizzabile nell’ambito del processo, sia perché non conferente all’incarico a lui conferito e sia in quanto svolta con l’inosservanza di norme sanzionate da nullità. Nel primo caso, infatti, la prestazione del consulente tecnico non trova il suo fondamento in una disposizione dell’autorità giudiziaria, mentre nel secondo non possono qualificarsi eseguite delle operazioni delle quali è vietato al giudice e alle parti giovarsi nel processo.

Quindi, avendo nel caso de quo il consulente violato il principio del contraddittorio, non può essergli riconosciuto al compenso, giacché la nullità della perizia esclude l’avvenuta esecuzione delle operazioni di cui questo era stato incaricato.

La domanda attrice sulla base delle argomentazioni su esposte è stata rigettata.

Sentenza collegata

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Avv. De Luca Maria Teresa

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