Responsabilità medica: l’onere della prova del paziente

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La vicenda

Nella causa decisa dal tribunale di Siena, oggetto di commento, l’attore aveva introdotto una domanda giudiziale nei confronti dell’azienda sanitaria locale per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale che egli aveva subito in seguito ad un intervento chirurgico di microbi scelto mia, a suo dire non praticato correttamente e dal quale sarebbe derivata un’infezione postoperatoria.

In particolare, l’attore chiedeva il risarcimento del danno biologico, di quello morale e della diminuzione della capacità lavorativa ciclica in ragione del fatto che a causa dell’infezione egli non sarebbe in grado di sostenere dei lunghi spostamenti con l’automobile e quindi dovrà rinunciare alle trasferte di lavoro.

La difesa dell’azienda ospedaliera convenuta in giudizio si basava principalmente sul mancato assorbimento da parte dell’onere probatorio in ordine all’errore sanitario e al nesso di causalità con l’infezione riportata dal paziente. In particolare, la struttura sanitaria rilevava che nel periodo in cui l’attore era stato ricoverato nell’ospedale non era emerso nessun elemento che, attraverso un esame clinico o strumentale, potesse far ritenere che ci fosse un’infezione ed i medici che lavoravano nella struttura avevano sottoposto l’attore ad una preventiva terapia antibiotica per evitare proprio che la ferita derivante dall’intervento chirurgico potesse infettarsi.

La decisione

Il tribunale di Siena ha accolto la domanda formulata dall’attore ritenendo sussistente una responsabilità della struttura sanitaria nella causazione dell’infezione avuta dal paziente a seguito dell’intervento chirurgico ed ha condannato la convenuta a risarcire parte dei danni da quest’ultimo subiti.

In particolare, il giudice senese ha rigettato le argomentazioni difensive dell’ospedale sostenendo che la nuova legge Gelli-Bianco – come prima anche il precedente decreto Balduzzi – riconosce che il rapporto che sorge tra il paziente e la struttura sanitaria ha natura contrattuale e pertanto ad esso si applica il consolidato principio giurisprudenziale per cui, nel caso in cui il paziente agisca chiedendo la risoluzione del contratto intercorso con l’ospedale ed il conseguente risarcimento del danno, deve provare esclusivamente la sussistenza del contratto dal quale sorge il suo diritto a ricevere le cure sanitarie e poi deve semplicemente allegare la circostanza dell’inadempimento da parte dell’ospedale al suddetto obbligo di cura. In altri termini, secondo il giudice di Siena, il paziente deve provare l’esistenza del contratto intercorso con il medico o comunque il contatto sociale con il sanitario (per il caso di responsabilità extracontrattuale del medico) e poi sostenere l’inadempimento della struttura sanitaria o del medico, che si ricava dall’aggravamento della patologia già in essere o dall’insorgenza di nuove patologie a causa della prestazione eseguita dal sanitario stesso.

Conseguentemente spetta alla struttura sanitaria e al medico l’onere di dimostrare di aver eseguito diligentemente la prestazione di cura oggetto del contratto con il paziente oppure la mancanza del nesso di causalità tra prestazione sanitaria e danno in quanto quest’ultimo è dipeso da un evento imprevisto e imprevedibile. Il in altri termini, il giudice senese, richiamandosi anche a recenti orientamenti del tribunale meneghino, ha ritenuto che sia il medico a dover dimostrare di non essere inadempiente oppure, quanto meno, che il danno derivante dall’intervento sia dipeso da elementi esterni alla sua volontà.

Dopo tale premessa, il giudice ha esaminato la perizia del CTU ritenendo e il consulente tecnico d’ufficio avesse motivato in maniera logica ed adeguata il fatto che l’infezione post chirurgica dell’attore fosse attribuibile a un comportamento, anche omissivo di non corretta diagnosi, imputabile ai sanitari della struttura ospedaliera.

Accertato, quindi, la sussistenza dell’errore medico e del nesso di causalità, il giudice è passato all’esame ed alla valutazione dei danni subiti dall’attore.

A tal proposito, preliminarmente, il giudice ha ricordato la natura unitaria del danno non patrimoniale e quindi ha quantificato detto danno secondo le tabelle predisposte nel codice delle assicurazioni per le lesioni micro permanenti, così come previsto dalla legge Gelli-Bianco. In ragione di ciò, all’attore è stato liquidato il danno biologico e il danno da invalidità temporanea totale e parziale.

Per quanto riguarda, invece, il danno morale, il tribunale di Siena ha respinto la domanda risarcitoria, ritenendo che l’attore non avesse provato un pregiudizio che era effettivamente derivato dall’infezione e che potesse essere riconducibile al danno morale. Infatti, secondo il giudice, all’interno di tale categoria possono essere individuati soltanto quei pregiudizi che non attengono all’aspetto medico legale e quindi non sono risarciti attraverso il riconoscimento del danno biologico determinato secondo i criteri che sono stati prima illustrati. In particolare, secondo il giudice senese il pregiudizio classificabile come danno morale può essere indicato come la sofferenza interiore subita dal paziente: ed a titolo di esempio il giudice riporta tra tale tipologia di sofferenza, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione. Ebbene, non avendo l’attore provato tale pregiudizio interiore, il giudice ha ritenuto di respingere la domanda di risarcimento del danno morale.

Per quanto riguarda, infine, il danno patrimoniale, il Tribunale di Siena ha riconosciuto che l’attore, durante il periodo di malattia dipeso dall’infezione connessa all’intervento chirurgico, avesse subito una diminuzione di reddito e che essa fosse dipendente proprio dalla malattia che gli aveva impedito di lavorare e percepire importi superiori al mero salario base. Conseguentemente, avendo l’attore fornito la prova di tale diminuzione, il Giudice ha risarcito il relativo danno. Tuttavia, non è stato riconosciuto all’attore il danno per riduzione della capacità lavorativa specifica, in conseguenza del fatto che egli non era stato in grado di fornire alcuna prova al riguardo e lo stesso consulente tecnico d’ufficio, nella sua relazione peritale, aveva ritenuto che non si fosse verificata alcuna riduzione in tal senso. Infine, per quanto attiene alle spese mediche di cui l’attore ha invocato il rimborso ed in particolare il pagamento della consulenza medico legale del perito dell’attore, il Tribunale di Siena ha ritenuto che, in considerazione del fatto che l’attore aveva depositato in giudizio soltanto un progetto di notula del medico – ma non la relativa fattura attestante l’effettivo pagamento del compenso previsto per la relazione medico legale -, di non poter riconoscere all’attore il relativo rimborso e conseguentemente ha rigettato la domanda.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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