Testamento biologico: il Tribunale ordina la registrazione delle DAT

Marta Paradisi 03/08/22
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Napoli – Il tribunale ritiene inadempiente l’Ufficiale dello Stato civile del Comune per la mancata ricezione e raccolta delle DAT dei cittadini e ne ordina la ricezione e annotazione nel “Registro dei Testamenti Biologici”

Indice

  1. Il caso
  2. DAT, legislazione e giurisprudenza
  3. La decisione del Tribunale
  4. Conclusioni

1. Il caso

Il Tribunale di Napoli con il decreto emesso in data 6/5/2022 offre l’occasione per ravvivare il dibattito sui temi della legge n.219/2017 e, in particolare, sullo stato di attuazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) che, come noto, ha siglato l’approdo del percorso giuridico inerente al riconoscimento dei diritti di autodeterminazione del paziente partendo dal consenso informato per giungere alle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (c.d. “testamento biologico”).

Il caso è quello di due coniugi napoletani – in seguito, si sono uniti altri due nuclei familiari per ottenere la registrazione delle DAT con le stesse modalità ed i provvedimenti ottenuti sono una fotocopia di quello in commento – che, dopo inutili tentativi di ottenere la registrazione delle proprie DAT da parte dell’Ufficio comunale preposto, hanno adito il Tribunale partenopeo per ottenere l’ordine giudiziale rivolto all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di ricevere tali DAT e provvedere alla relativa annotazione sul “Registro dei Testamenti Biologici”.

È il caso di rammentare, sotto il profilo formale, la disposizione dell’art.4, comma 6. della legge n.219/2017 secondo cui le DAT possono essere anche redatte per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’Ufficio dello stato civile del proprio comune di residenza il quale provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito.

Nella vicenda esaminata i ricorrenti utilizzavano tale possibilità e, ai fini della consegna del loro testamento biologico, seguivano la procedura indicata sul sito web del Comune di Napoli inviando apposita mail. Quest’ultima, tuttavia, non veniva recapitata in quanto la casella di posta elettronica preposta risultava piena. Contattato per via telefonica, l’addetto comunale rispondeva che il servizio non era attivo per motivi di sicurezza a causa del Covid-19. Dopo qualche settimana e varie telefonate i due cittadini ricevevano la stessa identica risposta, ovvero che al momento il servizio non era attivo ma che sarebbero stati contattati dal responsabile del servizio. Non avendo ricevuto alcuna chiamata, nuovamente e inutilmente la coppia cercava di contattare il responsabile. Trascorsi alcuni mesi, nel gennaio 2021, i ricorrenti tentavano senza successo di chiamare il numero dell’ufficio preposto e, successivamente, inviavano una mail che ancora una volta veniva respinta in quanto la casella risultava ancora piena. A questo punto non rimaneva che adire il Tribunale al fine di ottenere, giudizialmente, il deposito delle proprie DAT.

Tale registrazione risultava particolarmente importante per i richiedenti, in quanto, quali Testimoni di Geova, solo in tal modo potevano tutelare la propria determinazione in campo sanitario relativa al rifiuto di trasfusioni ematiche, in ossequio alle proprie convinzioni religiose. Infatti come è noto, i Testimoni di Geova, non accettano le trasfusioni di sangue in ossequio al comando biblico, contenuto sia nell’Antico (Genesi capitolo 9 versetto 4, Levitico capitolo 17 versetto 10, Deuteronomio capitolo 12 versetto 23) che nel Nuovo Testamento (Atti degli Apostoli capitolo 15 versetti 28 e 29) di “astenersi dal sangue” che costituisce precetto religioso, come descritto anche nel sito ufficiale della confessione. (Vedasi Domande frequenti sui Testimoni di Geova (FAQ) | JW.ORG “Perché i Testimoni di Geova non accettano le trasfusioni di sangue?”)

2. DAT, legislazione e giurisprudenza

Secondo il legislatore, solo compiendo le formalità previste dall’art. 4, comma 6, della legge n. 219/2017 le DAT acquistano valore legale, posto che solo in tal caso il medico è tenuto al loro rispetto (art. 4, comma 5, legge n. 219/2017).

Effettuare il deposito e la registrazione secondo le modalità consentite dalla legge costituisce quindi un’attività necessaria ai fini dell’effettivo esercizio del diritto inviolabile della persona di tutela della propria salute ed integrità psicofisica, e, nel caso dei Testimoni di Geova, anche della propria libertà religiosa, diritti tutti garantiti dalla Costituzione.

La Cassazione ha recentemente più volte ribadito che il rifiuto del Testimone di Geova della emotrasfusione è ricollegabile al complesso concorso di principi rappresentato da quello all’autodeterminazione in materia di trattamento sanitario e quello di libertà religiosa e che tale osmosi di principi costituzionali non incontra principi di segno contrario suscettibili di bilanciamento.

A tal riguardo la Corte di Cassazione civile, sezione III, con sentenza n. 29469 del 23/12/2020, ha enunciato il seguente principio di diritto: “il Testimone di Geova, che fa valere il diritto di autodeterminazione in materia di trattamento sanitario a tutela della libertà di professare la propria fede religiosa, ha il diritto di rifiutare l’emotrasfusione pur avendo prestato il consenso al diverso trattamento che abbia successivamente richiesto la trasfusione, anche con dichiarazione formulata prima del trattamento medesimo, purché dalla stessa emerga in modo inequivoco la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita”. Inoltre la medesima suprema corte con sentenza della n. 515 del 15/1/2020, ha affermato nei riguardi del paziente testimone di Geova: “È sufficiente ribadire che la natura del diritto esercitato, cioè il rifiuto dell’emotrasfusione, ha acquistato una tale rilevanza anche nella coscienza sociale da non ammettere limitazioni di sorta al suo esercizio.”

Pertanto, le DAT costituiscono lo strumento tramite cui il Testimone di Geova e, in generale, ogni singolo cittadino, esprime e tutela i propri valori e le proprie personali concezioni di vita e di salute, intendendosi con ciò tutta la dimensione psico-fisica-esistenziale che va al di là del mero benessere fisico; concetto esplicitato sia nella giurisprudenza quale criterio fondamentale in relazione alle scelte sulla salute che dalla Cassazione civile, sez. I, con la sentenza n. 21748 del 16/10/2007 (caso Englaro) la quale fa riferimento alla “nuova dimensione che ha assunto la salute, (non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza).”

Partendo da tali presupposti, il ricorso all’autorità giudiziaria si giustifica ampiamente, al fine di ottenere l’applicazione della normativa nazionale che, senza troppe formalità, pone a carico dei Comuni l’onere di raccogliere le DAT, dato che l’Ufficiale dello Stato civile, una volta verificati i presupposti stabiliti dalla norma, ha l’obbligo di ricevere la DAT e fornire al disponente formale ricevuta (Circolare n. 1/2018 dell’8/2/2018 del Ministero dell’Interno che ha fornito indicazioni operative ai Comuni).


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3. La decisione del Tribunale

Il Tribunale di Napoli, pertanto, decidendo sul ricorso dei cittadini impossibilitati al deposito del testamento biologico, ha accolto la richiesta confermando l’orientamento già assunto dal medesimo collegio in un precedente caso dello stesso tenore ove, peraltro, è stata affrontata anche la questione giuridica concernente il rito applicabile alla fattispecie.

Difatti, con il Decreto del 30/10/2020 del Tribunale di Napoli, lo stesso collegio giudicante aveva affrontato il caso di un altro cittadino partenopeo che, pur avendo effettuato la procedura indicata dal Comune, non aveva ottenuto alcuna interlocuzione, nota, appuntamento o riscontro dallo stesso ai fini del deposito delle DAT.

In tale occasione, ha affermato il Tribunale, la tutela ottenibile a fronte del silenzio dell’Ufficiale dello Stato Civile è inquadrabile nell’alveo tracciato dall’art.95 D.P.R. n. 396/2000 che al coma 1 stabilisce che “Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l’adempimento” (Nuovo Ordinamento dello Stato Civile).

Secondo il Tribunale “L’esame della normativa in parola induce ad evidenziare, in primis, che la disposizione non contiene ipotesi di rifiuto tassative e che la tutela si estende a tutte le fattispecie in cui l’Ufficiale dello Stato civile rifiuti o ometta un adempimento connesso all’applicazione delle regole dettate da disposizioni del D.P.R.  n. 396/2000, ma anche dal codice civile, da leggi ordinarie e speciali, da normative comunitarie e da convenzioni internazionali. Presupposto dell’azione è che l’attività richiesta dal cittadino non sia connotata da discrezionalità propria della P.A. e che il rifiuto ad adempiere incida nella sfera giuridica del destinatario” come è rilevabile nel caso in esame.

Dunque, così inquadrata la fattispecie, secondo il Tribunale non resta che applicare la procedura indicata dal successivo art. 96 del D.P.R. n. 396/2000, la quale si inserisce nell’alveo dei procedimenti camerali disciplinati dagli artt.737 e segg. c.p.c. e, in particolare, in quelli definiti dalla giurisprudenza di legittimità di “natura camerale unilaterale”.

Il Tribunale, con il provvedimento in commento, richiamato il proprio orientamento in punto di rito, ha così individuato l’inadempimento dell’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Napoli nella mancata ricezione e raccolta delle DAT di cui all’art. 4 della legge n. 219/2017.

Difatti, il Comune si è dotato di apposito “Registro dei testamenti biologici” ed ha istituito un particolare ufficio preposto alla registrazione, pertanto era tenuto a provvedere all’annotazione in detto registro qualora richiesto dal cittadino.

Nel decreto si è osservato che i ricorrenti si erano attenuti dettagliatamente alle indicazioni del sito istituzionale ma la procedura non aveva avuto alcun corso né il Comune, attraverso l’ufficio competente, aveva ritenuto di interloquire con il Tribunale né per iscritto né con la comparizione del funzionario responsabile in camera di consiglio.

Conseguentemente, i giudici hanno accolto la domanda dei cittadini ordinando all’Ufficiale dello stato civile di ricevere l’atto di Disposizione Anticipata di Trattamento (DAT) predisposta dagli stessi e, per l’effetto, di procedere all’annotazione nel “Registro dei Testamenti Biologici” istituito presso il Comune di Napoli nonché a tutti gli adempimenti di legge.

4. Conclusioni

La decisione del Tribunale di Napoli, pertanto, ha il pregio di dare attuazione alla normativa nazionale, laddove si realizzano inadempienze da parte dei Comuni sancendo che nel caso del ricevimento delle DAT l’attività richiesta dal cittadino non è connotata da discrezionalità da parte della P.A. e che tale rifiuto ad adempiere incide nella sfera giuridica del destinatario.

Detto riconoscimento rappresenta un altro passo in avanti nella concretizzazione dei diritti del cittadino in merito alle scelte sanitarie e alle decisioni sul fine vita ed offre una tutela giuridica al diritto di autodeterminazione che si esprime proprio con la formalizzazione delle disposizioni anticipate di trattamento.

È significativo altresì che il diritto in questione sia stato riconosciuto anche nei riguardi dei Testimoni di Geova i quali possono così vedere attuati sul piano giuridico non solo il diritto all’autodeterminazione ma altresì il diritto di libertà religiosa, entrambi così tanto cari alla Costituzione italiana.

Pare il caso di aggiungere, in conclusione, che la registrazione delle DAT definita come dovere della P.A. nei riguardi dei cittadini che la richiedono, oltre che dare concretezza ad una normativa statale, rientra certamente tra gli obblighi positivi a carico degli Stati tesi a rendere effettiva l’esigenza di protezione dell’integrità fisica e psicologica di una persona nel più ampio concetto di vita privata, così come siglato nell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A tal riguardo infatti la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha specificato: “Benché il fine essenziale dell’articolo 8 sia la tutela delle persone dall’ingerenza arbitraria delle autorità pubbliche, esso può anche porre in capo allo Stato alcuni obblighi positivi al fine di garantire l’effettivo rispetto dei diritti tutelati dall’articolo 8” (Sentenza Oliari e altri c. Italia nn. 18766/11 e 36030/11 § 159 del 21/7/2015).

Sentenza collegata

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