Se l’avvocato “dimentica” di opporsi, perde la causa. Il caso dell’abitazione che dopo 30 anni ritorna allo stato originario, divisa da un muro

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La domanda riconvenzionale formulata tardivamente non può essere valutata se la parte resistente si costituisce il giorno precedente a quello fissato per la prima udienza, essendo maturate le preclusioni di cui all’articolo 166 e 702 bis c.p.c.

In tema di uso della cosa comune, è illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprietà ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini.

La recente ordinanza resa dal Tribunale di Matera pone l’attenzione dell’interprete sulla questione dell’uso che legittimamente può farsi delle parti comuni di un edificio condominiale quanto, in particolare, alla possibilità di aprire un varco nel muro perimetrale.

Sul punto è opportuno, preliminarmente, osservare come secondo la disposizione

dell’art. 1117 c.c. sono da ritenersi di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, tutte le parti di esso necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge la costruzione, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, il tetto, il vano scala, i portoni di ingresso, gli anditi, il portico, le facciate, il sottotetto destinato per le caratteristiche strutturali e funzionali all’uso comune, le canne fumarie, la centrale termica e gli impianti idrici/fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche, nonché l’area esterna cortile-orto-giardino (che ha natura condominiale, salvo l’esistenza di una proprietà esclusiva risultante da titolo contrario).

La richiamata disposizione codicistica contiene un’elencazione non tassativa, ma meramente esemplificativa, delle parti comuni dell’edificio, salvo diversa volontà espressa nel titolo, ed esprime la relazione di accessorietà tra le unità immobiliari di proprietà esclusiva e le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, fondamento tecnico dell’attribuzione del diritto di condominio.

La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 ss. c.c., si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.

Originatasi la situazione di condominio edilizio, costituita da uno o più edifici ricompresi in una più ampia organizzazione, e connotata dall’esistenza di talune cose in rapporto di accessorietà con le unità immobiliari di proprietà esclusiva, trova dunque applicazione la relativa disciplina, e si intende, soprattutto, operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione pro indiviso di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che (come detto) dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. civ., sez. III, ord., 29 ottobre 2018, n. 27363; Cass. civ., sez. II, ord. 17 febbraio 2020, n. 3852; Cass. civ., sez. II, ord., 2 marzo 2017, n. 5335).

L’art. 1117 c.c. attribuisce, invero, ai titolari delle singole unità immobiliari dell’edificio la comproprietà di beni, impianti e servizi – indicati espressamente o per relationem – in estrinsecazione del principio accessorium sequitur principale, per propagazione ad essi dell’effetto traslativo delle proprietà esclusive, in quanto necessari all’uso comune, ovvero destinati ad esso, se manca o non dispone diversamente il relativo titolo traslativo.

Dunque, la norma de qua non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali (Cass. civ., sez. II, 8 settembre 2021, n. 24189).

Orbene in questo contesto interpretativo si pone la pronuncia in esame, resa dal Tribunale di Matera, che – in punto di diritto – recepisce l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale posta in essere da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprietà ma estraneo al condominio.

Ciò in quanto una tale utilizzazione del muro comporta la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacchè in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini (Cass. civ., sez. VI – 2, ord., 22 novembre 2021, n. 35955; Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501; Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 2009, n. 3035; Cass. civ., sez. II, 19 aprile 2006, n. 9036; Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1998, n. 1708).

Né vale ad incidere su tale principio il rilievo secondo cui la condominialità del muro perimetrale comune legittima il singolo condomino ad apportare ad esso tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, in quanto la “presunzione” ex art. 1117 c.c., di comunione “pro indiviso”, opera per quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, siano – nel momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, sulla base di una relazione di accessorietà tra parti comuni ed unità immobiliari.

Nel condominio, le parti elencate o richiamate dall’art. 1117 c.c., non offrono, invero, alcuna utilità autonoma e compiuta, in quanto la loro utilizzazione oggettiva e il loro godimento soggettivo sono unicamente strumentali all’utilizzazione o al godimento degli appartamenti compresi nel medesimo complesso edilizio.

Se tuttavia un condomino fa uso di un bene condominiale a fini esclusivi di miglior godimento di altro immobile di sua proprietà individuale che non sia compreso nel condominio, è evidente l’alterazione funzionale che viene così impressa al vincolo destinatorio della parte comune.

Secondo la giurisprudenza la valutazione dei presupposti di operatività della presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’art. 1117 c.c., va, del resto, operata con riferimento al momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale eseguito successivamente (Cass. civ., sez. VI – 2, 25 giugno 2019, n. 17022).

In conclusione ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, sicchè il condomino che si serve del muro perimetrale nel rispetto della sua destinazione, per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un’unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, come presuppone l’art. 1117 c.c., lo fa nell’esercizio del diritto di condominio e non avvalendosi di una servitù; se però il muro perimetrale venga sfruttato, aprendo un nuovo passaggio, al fine di ricavarne utilità per un immobile estraneo all’originario condominio, non si determina un ampliamento per accessione del complesso condominiale, quanto, appunto, l’imposizione di una servitù illegittima sul bene comune.

Va poi negata ogni valenza giuridica all’ipotesi della costituzione di un vincolo pertinenziale, ai sensi ed agli effetti di cui agli artt. 817 ed 818 c.c.. Invero una tale vincolo postula che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità della cosa accessoria, sì da poterla validamente destinare, in modo durevole, al servizio od all’ornamento dell’altra. Pertanto, il muro perimetrale di un edificio condominiale, che sia oggetto di proprietà comune, non può essere oggetto della instaurazione di una relazione di pertinenza con unità immobiliari di proprietà individuale esterne al condominio per atto proveniente solo dal titolare di dette porzioni (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1977, n. 5386).

L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c., al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è riservato al Giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità.

Nel caso all’esame del Tribunale di Materia si chiede, infine, con domanda riconvenzionale, l’accertamento dell’acquisto “per usucapione della servitù di passaggio controversa”.

Sul merito di tale domanda il Giudice non si pronuncia per essere stata la stessa formulata tardivamente (così incorrendo l’interessato nelle preclusioni ex artt. 166 e 702 bis c.p.c.).

Tale avvenuta preclusione ha comportato la conseguenza pratica per cui, a circa trent’anni di distanza, un’abitazione torna ad essere divisa da un muro!

 

 

Sentenza collegata

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Maurizio De Giorgi

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