Sanzionata Google per abuso di posizione dominante: la sentenza UE

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Confermata dal Tribunale dell’unione Europea la sanzione a Google per abuso di posizione dominante nel settore dei motori di ricerca per dispositivi mobili.

     Indice

  1. I fatti
  2. La valutazione del Tribunale
  3. La decisione del Tribunale

1. I fatti

La vicenda oggetto della decisione del Tribunale dell’Unione Europea in commento trae origine da una procedura sanzionatoria per comportamenti anticoncorrenziali, che la Commissione europea aveva introdotto nel 2015 nei confronti di Google e che si era conclusa con una sanzione di €. 4,343 miliardi a carico del colosso americano per abuso di posizione dominante.

Come noto, Google è un’impresa che svolge la propria attività nel settore dei servizi internet e tecnologici. I principali servizi dell’ azienda americana riguardano il motore di ricerca Google Search, con il correlato browser di navigazione delle pagine web Chrome e il sistema operativo per dispositivi mobili intelligenti Android. Il primo servizio permette agli utenti di ricercare informazioni contenute sulle pagine web di internet nonché prodotti e servizi ivi commercializzati. Invece, Android è il software che permette agli utenti di interfacciarsi e di utilizzare gli smartphone, i tablet ed in generale i dispositivi mobili smart: esso risulta installato in circa l’80% dei suddetti detti dispositivi che vengono utilizzati in Europa.

Nella sopra richiamata procedura sanzionatoria, la Commissione europea aveva esaminato 3 diverse tipologie di restrizioni al mercato che Google aveva imposto ai produttori di dispositivi tecnologici mobili, attraverso la sottoscrizione di accordi con questi ultimi. In particolare:

  • l’ obbligo che Google aveva inserito negli accordi di distribuzione sottoscritti con detti produttori, con le quali veniva imposto a questi ultimi di preinstallare, all’interno dei dispositivi mobili intelligenti che erano realizzati dai suddetti produttori, le APP Google search e Chrome, quale condizione necessaria per poter ottenere una licenza per installare l’APP Play Store (cioè il portale di vendita di APP per dispositivi mobili smart); in altri termini, affinchè i produttori di smartphone e altri dispositivi intelligenti potessero installare l’APP Play Store all’interno dei device già al momento della produzione dei device medesimi, dovevano necessariamente ivi installare anche Google Search e Chrome (in modo che gli utenti, già dalla prima accensione del device trovavano all’interno già tutte e tre le suddette APP).
  • l’ obbligo che Google aveva inserito negli accordi antiframmentazione con i produttori dei dispositivi mobili smart, con cui Google aveva imposto, quale condizione necessaria per poter preinstallare sui suddetti dispositivi mobili le APP Google Search e Play Store, ai suddetti produttori di non vendere dispositivi, che erano equipaggiati con delle versioni del sistema operativo Android, senza l’approvazione di Google; in altri termini, le suddette condizioni contrattuali prevedevano il diritto di Google ad autorizzare le vendite dei dispositivi mobili intelligenti contenenti delle versioni del sistema operativo Android, a fronte del diritto dei produttori di tali dispositivi di preinstallare le APP Google Search e Play Store all’interno di detti dispositivi fin dal momento della loro realizzazione.
  • la clausola che Google aveva inserito negli accordi di ripartizione del fatturato con i produttori dei dispositivi mobili smart e con gli operatori di reti mobili, con cui l’ azienda americana aveva posto, quale condizione necessaria affinchè i produttori di detti dispositivi e gli operatori di reti mobili ottenessero degli incentivi economici (cioè una parte dei guadagni di Google derivanti dalla pubblicità), l’obbligo a carico di tali soggetti di rinunciare a preinstallare su alcuni dispositivi mobili dei motori di ricerca concorrenti a Google; in altri termini, con tali condizioni contrattuali i produttori dei dispositivi mobili intelligenti potevano ottenere dei contributi economici da Google, calcolati in base alla pubblicità che quest’ultima vendeva, soltanto se i medesimi non preinstallavano sui dispositivi realizzati le APP delle aziende concorrenti che svolgevano il servizio di ricerca generica.

Al termine della procedura, la Commissione aveva ritenuto illeciti gli obblighi di cui sopra inseriti negli accordi con i produttori dei dispositivi mobili smart e le conseguenti restrizioni imposte a questi ultimi, in quanto si trattava di restrizioni anticoncorrenziali e idonee a consolidare la posizione dominante del motore di ricerca di Google sul mercato a discapito degli altri concorrenti (che non potevano quindi competere con Google) e della stessa possibilità di crescita dell’ innovazione. Conseguentemente, secondo la Commissione Europea, tali restrizioni erano altresì idonee ad aumentare il ricavato dell’ azienda americana, derivante dalla vendita di pubblicità collegata alle ricerche effettuate con il suo motore di ricerca.

In ragione di ciò, come detto, la Commissione aveva sanzionato Google con un’ammenda di €.4,434 miliardi.

Google aveva, quindi, promosso un ricorso dinanzi al Tribunale dell’Unione Europea per ottenere l’ annullamento di detto provvedimento sanzionatorio emesso dalla Commissione.

Con la Sentenza in commento, il Tribunale dell’Unione Europea ha rigettato il ricorso promosso da Google ed ha confermato, quasi integralmente, il provvedimento sanzionatorio che era stato emanato dalla Commissione e le valutazioni ivi contenute, nonché ha sostanzialmente ribadito la sanzione che era già stata inflitta a Google (infatti, vi è stata una riduzione dell’importo di pochi milioni di euro).


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2. La valutazione del Tribunale

Il Ricorso presentato da Google si fondava, per quanto qui di interesse, su tre argomentazioni principali, che sono state tutte rigettate dal Tribunale, che ha così confermato l’impostazione sostanziale della decisione della Commissione europea nonché la quantificazione della sanzione comminata a Google.

  • Sui mercati rilevanti e la posizione dominante di Google.

In primo luogo, nel proprio ricorso, la società americana riteneva che la Commissione europea avesse errato nella definizione dei mercati rilevanti e conseguentemente avesse errato nel valutare la posizione dominante di Google su tali mercati.

In particolare, la Commissione aveva individuato quattro tipi di mercati rilevanti: 1) il mercato mondiale della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti; 2) il mercato mondiale dei portali di vendita di APP per android; 3) i mercati nazionali interni allo Spazio Economico Europeo di fornitura di servizi di ricerca generica (sul web); 4) il mercato mondiale dei navigatori internet per dispositivi mobili non specifici di un sistema operativo.

Con riferimento ai suddetti mercati la Commissione aveva ritenuto che Google detenesse una posizione dominante sui primi tre mercati, ma che comunque gli stessi fossero complementari ed interconnessi, stante la strategia di Google di integrare il proprio motore di ricerca in una sorta di “ecosistema”.

Ebbene, il Tribunale ha rigettato il motivo di ricorso di Google, ritenendo corretta la valutazione della Commissione nella parte in cui sostiene che i sistemi operativi utilizzati da altri programmatori, quali IOS di Apple e quello di Blackberry, non fanno parte del medesimo mercato della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti, in quanto i produttori di dispositivi mobili terzi non possono ottenerne la licenza.

Inoltre, secondo il Tribunale, la valutazione della Commissione è corretta anche nella parte in cui ha ritenuto che la posizione dominante di Google all’interno del suddetto mercato non era rimessa in discussione dalla presenza del sistema operativo senza licenza proposto da Apple.

In altri termini, le APP IOS di Apple e quella di Blackberry non sono in posizione di concorrenza con il sistema operativo di Google: le prime due, infatti, operano su un mercato diverso da quello in cui opera Google e comunque non sono in grado di svolgere una pressione competitiva rispetto a detta ultima società.

Conseguentemente, il Tribunale ha ritenuto corretta la valutazione della Commissione secondo cui la natura aperta della licenza operativa del codice sorgente di Android non costituiva un vincolo concorrenziale in grado di poter controbilanciare la posizione dominante di Google sul mercato.

  • Sul carattere abusivo delle clausole imposte ai produttori dei dispositivi mobili.

Con il secondo motivo di ricorso, Google sosteneva che la Commissione europea avrebbe errato nel valutare come abusive le condizioni contrattuali imposte da Google ai produttori dei dispositivi mobili che prevedevano la preinstallazione in detti dispositivi, da un lato, delle APP di Google Search e Play Store e dall’altro lato del navigatore di pagine web Chrome.

In particolare, la Commissione aveva compiuto siffatta valutazione, ritenendo che Google avesse avuto un vantaggio concorrenziale dalla preinstallazione di tali APP e navigatore, in quanto in grado di determinare una tendenza degli utenti a mantenere la situazione originaria delle APP e del navigatore, che avevano trovato nel proprio dispositivo fin dal primo momento di utilizzo.

Secondo il Tribunale la valutazione compiuta dalla Commissione è condivisibile ed inoltre il fatto che le condizioni contrattuali non vietassero ai produttori dei dispositivi mobili di preinstallare anche delle APP concorrenti non può comunque controbilanciare il vantaggio concorrenziale che ha avuto Google dalla preinstallazione delle sue APP. Infatti, secondo il Tribunale, comunque, dai termini degli accordi sulla ripartizione del fatturato sottoscritti tra Google e i produttori dei dispositivi, derivava, di fatto, un divieto a carico dei suddetti produttori di preinstallare APP concorrenti nei loro dispositivi. Infatti, come vedremo nel prossimo paragrafato, in virtù di detti accordi, i produttori avevano un forte interesse economico a non preinstallare APP concorrenti all’interno dei loro dispositivi: la possibilità di ottenere dei compensi da parte di Google, quindi, aveva indotto i produttori a preinstallare soltanto le APP di Google.

  • Sugli accordi ripartizione del fatturato.

Con il terzo motivo di ricorso Google aveva ritenuto errata la valutazione della Commissione, secondo cui gli accordi di ripartizione del fatturato erano capaci di restringere la concorrenza, in quanto idonei a creare una vera e propria esclusiva a favore di Google. Ciò, in considerazione del fatto che i pagamenti da parte di Google a favore dei produttori dei dispositivi mobili erano condizionati alla circostanza che questi ultimi non preinstallassero, sui dispositivi dai medesimi realizzati, delle APP o dei servizi di ricerca generica concorrenti a quelli Google. Conseguentemente, secondo la Commissione, tali accordi inducevano i produttori dei dispositivi e degli operatori delle reti mobili a non preinstallare tali APP concorrenti.

La Commissione era arrivata a tale valutazione sulla base di un test effettuato.

Tuttavia, sul punto, il Tribunale ha riscontrato diversi errori di ragionamento in ordine alle variabili essenziali di detto test. Pertanto, i giudici hanno ritenuto che i suoi risultati non potessero supportare la valutazione della Corte sul fatto che gli accordi di ripartizione del fatturato fossero abusivi.

Conseguentemente, il Tribunale ha accolto il motivo di ricorso di Google. Anche se – come detto – gli accordi di ripartizione del fatturato sono stati comunque valutati rilevanti dal Tribunale per aver di fatto portato i produttori a non preinstallare nei propri dispostivi le APP concorrenti di Google.

  • Sugli accordi antiframmentazione.

Infine, i giudici europei hanno esaminato la valutazione compiuta dalla Commissione in ordine alla abusività delle restrizioni inserite negli accordi antiframmentazione tra Google e i produttori.

Secondo la Commissione tale pratica di Google era abusiva, poiché era finalizzata ad ostacolare lo sviluppo e la presenza sul mercato di dispositivi funzionanti con sistemi operativi derivati da Android, cioè sviluppati da terzi utilizzando il codice sorgente di Android (che era stato divulgato da Google mediante la concessione di una licenza libera).

Secondo il Tribunale, infatti, correttamente la Commissione aveva ritenuto che le restrizioni di cui sopra avesse rafforzato la posizione di Google sul mercato dei servizi di ricerca generica e avessero frenato l’innovazione e quindi lo sviluppo di nuove offerte per gli utenti.

3. La decisione del Tribunale

In considerazione di tutte le valutazioni di cui sopra, i giudici europei hanno sostanzialmente rigettato il ricorso di Google, salvo l’aspetto limitato al terzo motivo di cui sopra, ed hanno proceduto, avendo una competenza estesa anche al merito della questione, a valutare in maniera autonoma l’importo della sanzione da applicare a Google per le condotte abusive di cui sopra.

A tal proposito, il Tribunale ha evidenziato come, sostanzialmente, con la decisione in commento il ricorso di Google sia stato rigettato, mentre la decisione della Commissione europea sia stata confermata (anche se uno dei motivi di ricorso è stato accolto). Infatti, il conseguente annullamento parziale della decisione della Commissione non viene ritenuto dal Tribunale sufficiente per minare la valutazione generale compiuta dall’istituzione europea in ordine all’illeicità della condotta posta in essere da Google.

In considerazione di ciò, i giudici di primo grado dell’Unione europea hanno concluso nel senso di confermare l’applicazione di una sanzione pecuniaria a carico del colosso americano, anche se riducendo leggermente l’importo in base alla infrazione commessa: in particolare, l’ammenda applicata a Google è stata di €. 4,125 miliardi.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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