Tribunale Civile Bologna sez. III 20/2/2009 n. 1031

Redazione 20/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con atto di citazione ritualmente notificato, Y, già affetta da mesotelioma pleurico da esposizione ad amianto, esponeva che il coniuge, Z, dipendente delle Ferrovie dello Stato, per le mansioni svolte, che lo avevano tra l’altro impegnato presso una locale officina di manutenzione nella sostituzione di alcune parti usurate del materiale rotabile contenente amianto, era stato per lungo tempo professionalmente esposto a tale pericoloso inquinante senza l’adozione di alcuna specifica cautela e che ella aveva contratto la predetta patologia a causa dell’inquinamento domestico provocato, per quasi diciotto anni, da tute ed abiti di lavoro del marito e dal ristagno sui capelli di lui delle relative polveri. Su questi rilievi e, segnatamente, sul presupposto della colpa ascrivibile all’ente convenuto, che aveva determinato l’esposizione dei lavoratore al rischio in parola e così pure dei suoi familiari ed aveva omesso di adottare le opportune misure protettive, e ciò per gli effetti dell’art. 2087 e 2043, la Y chiedeva che si accertasse la responsabilità delle convenute Ferrovie e se ne pronunciasse perciò la condanna al risarcimento di ogni conseguente danno, vinte le spese e gli onorari del giudizio.

1.2. Si costituiva l’ente convenuto chiedendo respingersi la proposta domanda, con vittoria di spese, dal momento che le mansioni espletate dal Z in veste di manovratore/deviatore, dall’assunzione al 1990 e successivamente sino alla sua destinazione a mansioni di ufficio, non avevano comportato alcuna esposizione ad amianto, che la qualifica di ausiliario, con la quale era stato impiegato dal 1990 al 1991 presso l’officina di manutenzione, escludeva che fosse venuto a contatto con parti meccaniche contenenti amianto, trattandosi di attività riservata al personale tecnico, che in ogni caso non era previsto l’impiego di componenti in amianto sul materiale rotabile. in manutenzione, che non era inoltre provato il nesso di causalità, potendosi notoriamente ascrivere la lamentata patologia, in ragione della ampia diffusione di detto materiale, comunemente utilizzato per esempio in edilizia, anche a fattori di rischio diversi da quelli legati all’attività del coniuge e che, in ultimo, non era configurabile alcuna colpa in capo ad esso convenuto, vuoi perché la pericolosità dell’amianto era acquisizione scientifica relativamente recente, di tal ché non si poteva lamentare l’omissione di alcuna cautela rispetto ad un comportamento che non fosse assolutamente doveroso, vuoi ancora perché da tempo, appunto nella maturata consapevolezza dei rischi per la salute connessi al suo uso, erano state adottate le opportune iniziative per la tutela dei lavoratori e degli utenti.

1.3. La causa, debitamente istruita, anche a mezzo di c.t.u., sulle epigrafate conclusioni di parte, era trattenuta in decisione all’udienza odierna.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La domanda è fondata e merita accoglimento nei limiti di cui dirà.

3.1. I fatti sono, quanto alle allegazioni iniziali, storicamente incontroversi. E’ perciò provato che la Y sia stata affetta da mesotelioma pleurico e che il coniuge, Z, abbia prestato, dalla sua assunzione avvenuta nel 1977 sino al 1995, per conto della convenuta l’attività di manovratore/deviatore e tra il 1990 e il 1991, presso una locale officina di manutenzione, quella di ausiliario; e poi ancora provato che in detta Attività e, specie, in quella di manovratore/deviatore, egli, considerate le mansioni effettivamente espletate e come meglio definite nel DM 1085 (all. 4 alla c.t.u.), sia stato prevalentemente impegnato lungo la linea ferroviaria, a contatto cioè dei binari e, segnatamente, del materiale rotabile; così come si sottrae a pregiudiziali contestazioni la circostanza che il Z rientrasse presso la propria abitazione con gli indumenti di lavoro utilizzati per lo svolgimento delle dette attività e che la moglie provvedesse al loro lavaggio.

Su questi presupposti la tesi attorea è che la patologia lamentata dalla Y possa essere casualmente ricondotta alla diffusione in ambito domestico dell’amianto professionalmente assorbito dal marito nel corso della sua attività di manovratore/deviatore, nota essendo, sulla scorta delle conoscenze scientifiche e dei dati epidemiologici raccolti in casi analoghi, la natura cancerogena di questo materiale e la sua idoneità a dare luogo ai fenomeni di asbestosi in capo a familiari di lavoratori che vi sono esposti, anche se assorbito in piccole quantità, rappresentate da fibre o, più semplicemente, da polveri.

3.2. La domanda risarcitoria che la Y esercita in base al percorso argomentativo appena esposto si inquadra intuitivamente nell’alveo della previsione recata dall’art. 2043, giusta il quale compete notoriamente a chi agisce per il risarcimento provare il danno, il nesso di causalità tra questo e la condotta e la colpevolezza dell’asserito danneggiante.

Se invero il primo termine del paradigma in parola, per quanto si è sopra detto, non solleva obiezioni, giacché nessuno impugna il fatto che la Y sia stata affetta dalla patologia esposta, sono viceversa il nodo della causalità e quello della colpa a costituire il teatro principale del confronto tra le opposte ragioni dei patrocinanti. Vero è, infatti, che alla prova che la difesa Y argomenta su questo terreno dalla relazione peritali in atti, la difesa delle Ferrovie oppone una diversa chiave di lettura che in maniera equivalente ma speculare muove dall’espressa contestazione di quanto accertato dai periti. Di tal ché, discutendosi ‘ delle obiezioni che quest’ultima formula con riguardo alle conclusioni dei periti, si avrà contezza anche delle ragioni che suffragano la domanda attrice.

4.1. Quanto al nesso di causalità, una volta brevemente ricordato che nella responsabilità civile il criterio, pur ubbidendo al principio della "conditio sine qua non", temperato da quello della regolarità causale, più generalmente argomentabile dagli artt. 40 e 41 c.p. (Cass. civ., Sez. III, 06/04/2006, n.8096), postula, diversamente dalla responsabilità penale (Cass. civ., Sez. III, 19/05/2006, n.11755), una ricerca fondata su una verifica probabilistica dell’evento ‘e non sulla certezza di esso (Cass. civ., Sez. III, 04/03/2004, n.4400), il giudizio peritale appare, a prima vista, inequivoco nella sua linearità affermativa: "stime relative ai primi anni di residenza nell’area bolognese", scrivono i periti, "indicano una possibile esposizione della Y ad una concentrazione di fibre tale da determinare un’incidenza annua del mesotelioma fino a 10 volte superiore all’incidenza annua di una popolazione esposta al solo fondo ambientale delle aree da lei abitate. In termini percentuali approssimativi si possono attribuire fino al 90% di probabilità al fatto che il mesotelioma della Y sia dovuto alla sovraesposizione derivante dalla contaminazione provocata dal marito rispetto al fondo ambientale".

Ancorché le conclusioni peritali possano suonare sul punto rigidamente ultimative, esse sono innegabilmente il frutto di un’indagine puntualmente analitica, condotta non solo attraverso la disamina del caso oggetto di concreta valutazione, ma a seguito ed a conclusione di un’attenta attività di screening che ha tenuto conto della diffusione della patologia nell’ambito familiare dei ferrovieri ed ha portato i periti ad evidenziare dati ed elementi di conoscenza che, come da loro scritto senza essere smentiti, erano addirittura sconosciuti alla stessa azienda.

4.2. Di nessuna concludenza appaiono perciò in parte qua le obiezioni sollevate, non senza qualche confusione tecnica – su cui si è in parte già

replicato a proposito del diverso criterio che guida la ricerca del nesso di causalità in campo civile e penale e su cui si dirà dalla difesa convenuta, che imputa al responso peritale un duplice vizio, ovvero di non aver tenuto conto che il Z, in ragione delle mansioni espletate, non era un lavoratore per così dire a rischio e che la patologia lamentata dalla Y potrebbe essere imputata anche a fattori diversi da quelli legati all’asserita esposizione del marito, quali ad esempio il luogo di nascita, l’ambiente circostante o, ancora, la pregressa attività occupazionale del marito.

Ricordando ancora che in materia civilistica il criterio in ordine all’accertamento del nesso di causalità è quello della probabilità, non si può non notare inizialmente a margine di queste considerazioni che il rigore, la cui mancanza la difesa delle ferrovie rimprovera all’indagine peritale, sembra far talora difetto al suo stesso obiettore, vero che, mentre il ragionamento che esso svolge con riguardo al nodo della causalità è infarcito da ripetuti richiami alla colpa, è per contro insegnamento chiarissimo, come ha pure ricordato or non è molto la Cass. civ., Sez. III, 18/04/2005, n.7997, che il nesso di causalità è elemento strutturale dell’illecito, che corre – su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico – tra un comportamento (dell’autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora utilmente qualificabile in termini di "damnum iniuria datum") e l’evento e, vieppiù, che nell’individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, sì prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di tt prevedibilità, tanto soggettiva quanto "oggettivata", da parte dell’autore del fatto, essendo il concetto logico di "previsione" insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell’aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell’illecito). Anche dove, con riferimento alla causalità negli illeciti di tipo omissivo, il principio delle regolarità causale, comportando sotto il profilo argomentativo un percorso affatto speculare rispetto a quello che si compie con riferimento agli illeciti di tipo commissivo, fa appello al criterio della prevedibilità, di modo che per l’imputazione della responsabilità occorre che il danno sia una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire e si possa perciò verificare pure intreccio fra la causalità e la colpa, il piano della causalità e quello della colpevolezza restano, quanto al loro accertamento, pur sempre rigorosamente distinti (Cass. civ., Sez. III, 31/05/2005, n.11609).

4.3. Fatta perciò chiarezza al riguardo, e cioè che il discorso sul nesso di causalità deve prescindere da ogni accertamento sulla colpa, circa la prima obiezione è indiscutibilmente vero che il Z non è da considerarsi un lavoratore continuamente esposto ad amianto, ma è del pari vero che le sue mansioni di manovratore/deviatore, postulando un suo impegno lavorativo lungo i binari e a contatto con il materiale rotabile, comportano che egli "non possa essere considerato un lavoratore esposto al fondo ambientale", sicché è conclusione dei periti che "il Z è da considerarsi potenzialmente esposto ad amianto" e che "tale potenzialità si sia concretizzata più volte in esposizioni superiori al fondo ambientale". Peraltro, a tacitazione di ogni riserva su quest’ultimo aspetto i periti hanno cura di accompagnare la loro affermazione con una diretta osservazione del contesto ambientale in cui il Z prestava la sua attività, al riguardo osservando che "i binari delle FFSS sono stati percorsi da carri e carrozze coibentati in amianto non sempre ermeticamente confinato …" e che fenomeni di dispersione dell’inquinate sono stati di volta individuati in relazione allo stato di conservazione delle carrozze (coibentazione a spruzzo con dispersione dell’amianto dalle tenute delle pareti, fenomeni di corrosione), alla tipologia costruttiva (presenza di casi di amianto non a vista nel sottopavimento lato binari, coibentazione di tubazioni impiantistiche) e al rilascio occasionale di fibre di amianto sulle rotaie, come accaduto in occasione della rottura del pianale di carico dei carri merci. E se si considera che il Z prestò questa sua attività sin dalla sua assunzione avvenuta nel 1977 con la sola parentesi della sua adibizione a mansioni ausiliare tra il 1990 ed il 1991, che peraltro a prescindere da ogni altra riflessione appaiono in astratto in grado di accrescere il rischio da esposizione, anche l’ulteriore argomento, sviluppato sul rilievo che l’esposizione del Z sarebbe stata troppo limitata per giustificare il rischio patologico, viene definitivamente a cadere, risultando il tempo di latenza della malattia, stimato tra cinque e quarant’anni, assolutamente compatibile con l’esposizione subita dal Z durante la sua attività lavorativa e di seguito dall’attrice.

4.4. Qui trova ragione anche l’ulteriore obiezione che la convenuta svolge riguardo al profilo in disamina, notando che i periti non avrebbero tenuto in alcun cale i pregressi fattori di rischio collegati all’ambiente di nascita dell’attrice e all’attività svolta dal Z prima di essere assunto in ferrovia. Di contro, prim’ancora di dare la parola alle conclusive repliche dei periti ("dall’anamnesi lavorativa, dall’analisi della tipologia costruttiva delle abitazioni e dalle mansioni svolte dalla Y dal 1973 ad oggi non si individuano elementi tali da fare ipotizzare un’esposizione della Y a fibre di amianto superiore al fondo ambientale proprio delle varie zone considerate"; "la Y è da includersi in una categoria di esposizione uguale a quella

attribuibile alla popolazione generale di riferimento urbano o rurale

reperibile in letteratura"; "non vi sono elementi per attribuire alla mansione saltuaria di aiuto muratore … eseguita dal Z nel periodo 1973-1977 una possibile esposizione ad amianto con attendibile nesso di causalità con un incremento delle esposizione della Y"), non si può non ricordare che il giudizio civile è soggetto al principio dispositivo e che il giudice decide iuxta alligata e provata partium. E di provato nel giudizio che ne occupa, riguardo al nesso di causalità, vi è solo che il Z, ancorché non in maniera continuativa, è stato esposto ad amianto per un tempo corrispondente a far insorgere la patologia tumorale lamentata dall’attrice. Quanto in contrario deduce la difesa convenuta, dolendosi di una pretesa omissione peritale, tradisce non solo la funzione della consulenza tecnica nel processo civile, che è mezzo di valutazione della prova e non di ricerca di essa, ma mostra di obliterare – insieme ad altre non minori regole, a cominciare da quella sulla tempestività delle allegazioni – il principio dell’onere della prova. In definitiva, anche senza considerare che una valutazione, sia pure alla luce delle conoscenze acquisibili non è mancata, non basta – e forse neppure serve se si considera processualmente il tempo dell’allegazione – dolersi delle omissioni peritale se il giudizio che si chiede ai periti non riguarda fatti ma solo semplici illazioni.

5.1. Esaurito con ciò il ragionamento sul rapporto causale, l’ulteriore aspetto della vicenda sub iudice investe la colpa.

Anche qui appaiono illuminanti le indagini peritali che hanno messo in luce l’inquietante approssimazione con la quale il tema della prevenzione in materia è stato affrontato dalle ferrovie. Ovviamente si è felici di sapere che i 9000 e più campionamenti effettuati dalle ferrovie sui lavoratori e sui viaggiatori consentono di ritenere che gli interventi di bonifica approntati nel tempo hanno considerevolmente ridotto l’area di rischio connessa all’impiego dell’amianto. Ma il punto .è che la colpa

nel caso che indaghiamo prescindo ‘da ogni evoluzione successiva del fenomeno, che tra l’altro, se si presta fede a quanto al riguardo rappresentano ancora i periti a pag. 17 del supplemento dì perizia, non fuga definitivamente ogni allarme, dato che il limite di 2 fibre/lt, che è quello assunto a parametro della ritenuta riduzione del rischio, è superiore al fondo ambientale di oltre 100 volte. Ed allora se la colpa va valutata secondo il metro dalla prevedibilità (Cass. civ., Sez. III, 31/05/2005, n.11609), non sembra una forzatura sostenere, risultati della perizia alla mano, che anche in relazione all’epoca dei fatti di cui si tratta l’ente convenuto non possa andare totalmente esente da addebiti. Occorre infatti rimarcare, di contro alla diversa interpretazione che fa scuola nella difesa del convenuto e che imputa alla controparte e, per essa, ai periti di non aver detto quale sia la norma comportamentale in violazione della quale possa configurarsi una colpa per omissione, che da tempo si avverte in giurisprudenza che in relazione alla responsabilità per danni da illecito omissivo, l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento dannoso può sorgere in capo ad un soggetto non soltanto quando una norma o specifici rapporti gli impongano di attivarsi per impedire l’evento, ma anche quando tale obbligo possa derivare in base a principi desumibili dall’ordinamento positivo, non espresso, quindi, in forme specifiche, con conseguente dovere di agire e di comportamento attivo (Cass. civ., Sez. III, 23/05/2006, n.12111; Cass. civ., Sez. I, 08/11/2005, n.21641). E se questa norma non è argomentabile in base al principio del "neminem laedere" o ad una generica antidoverosità sociale della condotta del soggetto che non abbia impedito l’evento, il precetto dell’art. 2087 o più in generale il dovere di protezione posto a carico del datore di lavoro (Corte cost., 25/07/1996, n.312) sembrano costituire più di un valido supporto in questa direzione, a favore cioè dell’obbligo giuridico di provvedere mediante l’adozione delle misure e le cautele atte a scongiurare i rischi di contaminazione da amianto.

5.2. Ma, si replica, una condotta doverosa, in guisa della cui omissione si configuri la responsabilità dell’obbligato, presuppone che costui fosse al conoscenza della sua doverosità, di tal ché non ne sarebbe predicabile la colpa se questa condizione facesse difetto o, come si dice qui, se all’epoca dei fatti di causa non si avesse contezza della pericolosità connessa al largo impiego dell’amianto.

Spaventa più in generale che, come riferiscono i c.t.u., i responsabili delle ferrovie abbiano a lungo ignorato le concrete dimensioni dei problema — e bisogna solo augurarsi nell’interesse generale della collettività che l’opera di bonifica nel frattempo intrapresa abbia modificato sensibilmente la situazione — ma per restare all’obiezione essa pecca, a prima vista, di evidente incoerenza. Giacché è la stessa difesa delle ferrovie, mentre in conclusionale sulla scorta della pretesa ignoranza del fenomeno respinge con sdegno la tesi della propria colpevolezza, a. lasciarsi sfuggire più avanti che il problema nei suoi termine generali ed astratti era noto in ambito ferroviario fin dagli anni cinquanta e a rivendicare con legittimo orgoglio il primato di aver introdotto da subito procedure atte a circoscrivere la portata ed i rischi ad esso connessi. E’ evidente, ca va sans dire, che le ferrovie non possono accampare di essere all’oscuro del problema se quel problema è stato affrontato con l’adozione delle misure ritenute necessarie.

La realtà, su questo punto, è piuttosto quella che ancora una volta tracciano i periti nel loro elaborato. Perché dopo aver riferito che fino agli anni ’80 le ferrovie non ‘ avevano adottato alcuna misura prevenzionale malgrado le patologie tumorali da amianto fossero note almeno dagli anni settanta, i periti scrivono — è la loro opinione su questo punto è immune da censure — che a partite da quella data le ferrovie "si sono trovate ad affrontare un problema di enorme portata costituito dalla presenza di amianto friabile nella maggioranza dei rotabili con esposizione per diversi lavoratori …" Infatti è di questo periodo (1983) l’emanazione di Norme e prescrizioni contenenti provvedimenti tecnico normativi di organizzazione che si rendono necessari per eseguire lavorazioni in presenza o a contatto di amianto, così come è nel 1989 che vengono ‘emanate ulteriori istruzioni relative a lavorazioni con amianto o in presenza di amianto". È cioè provato per tabulas che fin dagli anni ’80 le ferrovie non solo non ignoravano il problema, ma ne avevano una conoscenza così approfondita – i periti sottolineano che le norme richiamate costituirono una sorta di archetipo per la predisposizione di futuri più organici interventi – da dotarsi di apposite norme tecnico-organizzative.

Qui, se per un verso si rende apprezzabile la capacità e la competenza delle ferrovie nel fronteggiare il fenomeno, ne emerge tuttavia, con riguardo al caso che ne occupa, anche il pericoloso limite. Annotano, infatti, i periti, registrando che le norme in parola riguardavano solo i lavoratori addetti alla manutenzione dei rotabili e alla loro bonifica, che "tali studi e disposizioni interne … non annoverano fra i lavoratori esposti i manovratori ed i deviatori che hanno potuto inalare fibre di amianto derivanti da perdite occasionali di rotabili secondo i flussi sopra elencati (i periti si rifanno all’elenco delle fonti di dispersione di cui si è parlato sopra, n.d.r.)". "In definitiva" – concludono i periti e le loro conclusioni sono pienamente condivisibili – "prima degli anni 80 le FF.SS. non hanno adottato appropriate misure di prevenzione da amianto per i propri lavoratori; successivamente le FF.SS. hanno effettuato la classificazione del rischio amianto per i lavoratori solo in base alla lavorazione diretta sull’amianto e non in base ai criteri di esposizione a fibre di amianto. Tale classificazione ha portato le FF.SS.

a prevedere nel tempo misure di prevenzione solo per elevate esposizioni … e a non considerare quelle più basse. Ma è proprio la capacità di diffusione della fibra di amianto, la natura del mesotelioma nonché quelle di altre malattie attribuibili all’amianto a rendere necessario il considerare anche le basse esposizioni e per periodi brevi". Dunque stando all’univoco responso del c.t.u. la colpa della convenuta, lungi dall’essere esclusa accampando uno stato di generica sconoscenza della questione, può al contrario contare su una duplice concorrente conferma: l’essere il problema ampiamente noto, tanto da aver dettato l’adozione di importanti norme tecnico organizzative, e l’averne circoscritto l’applicazione solo ad alcune categorie di lavoratori più direttamene esposte, laddove l’insorgenza di patologie tumorali da amianto può essere determinata, come nel caso che ne occupa, anche dalla semplice esposizione a fibre di amianto. E su queste basi la colpevolezza della convenuta non sembra perciò consentire facile smentite.

6.1. Così ricostruito l’illecito i profili afferenti al quantum debeatur risultano di definizione meno problematica.

Una volta ricordato, di contro all’opposto rilievo, che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, anche senza una specifica domanda della parte, le attribuisca il risarcimento dei danni non patrimoniali di cui essa risulti aver sofferto in conseguenza del fatto illecito costituente reato posto a fondamento della sua domanda di risarcimento di danni, la quale – salva espressa specificazione – deve ritenersi comprensiva di tutti i danni e, quindi, anche di quelli morali. (Cass. civ., Sez. lavoro, 08/05/2007, n.10441), l’accoglimento della domanda attorea in parte qua andrà limitato, quanto al danno patrimoniale, alle sole spese mediche, giusta la determinazione di congruità operata dal c.t.u., e quanto al danno non patrimoniale al danno biologico e al danno morale, dovendo condividersi, quanto alle altre pretese accampate sotto questo titolo, sia ciò che è argomentabile dalla definizione del danno biologico che è offerta dal codice delle assicurazioni, sia l’orientamento più oculatamente restrittivo che fa da ultimo capo alla giurisprudenza del Supremo Collegio in punto di danno cd esistenziale.

6.2. Quanto al danno patrimoniale, la pretesa attorea di conseguire il risarcimento anche del danno che l’attrice avrebbe subito in conseguenza dell’impossibilità di poter svolgere in futuro le mansioni di casalinga, quantunque non manchi di trovare preliminare appiglio nella considerazione che questa era pacificamente la sua attività ante atta, urta per il resto contro un duplice ordine di rilievi rappresentati dalla constatazione che l’attrice dopo la rimozione chirurgica della patologia tumorale appare clinicamente guarita — questo il giudizio dei primi periti — sicché può ritenersi che ella sia stata restituita all’affetto dei suoi cari e, parimenti, anche alle sue occupazioni domestiche e che non vi è in ogni caso alcuna prova del pregiudizio sofferto a questo proposito, non essendo stata offerta alcuna dimostrazione che l’attrice di seguito agli eventi di causa sia stata privata della possibilità di dedicarsi alle sue abituali attività.

6.3. Venendo alla liquidazione del danno non patrimoniale nei limiti di cui si è detto, esso deve essere liquidato in base ad un criterio equitativo e non semplicemente reddituale. Nell’individuazione di siffatto criterio reputa questo giudice di dover accedere al c.d. criterio tabellare, atteso che, nell’elaborazione messa a punto dai giudici milanesi, esso si mostra in grado di assicurare, insieme alla tendenziale corrispondenza dell’obbligazione risarcitoria all’effettiva portata del pregiudizio inferto, pure l’equa commisurazione di essa al principio dì una diversa incidenza del pregiudizio sul bene vita in rapporto al valore crescente della percentuale di invalidità e all’età del danneggiato.

Sicché in applicazione di siffatto criterio e tenuto conto degli accertamenti peritali, a parte attrice competerà un risarcimento, per questa voce, liquidato all’attualità, pari ad euro 410.560,00= per invalidità permanente, determinato moltiplicando il valore di punto (6758.19) per la percentuale di invalidità accertata dal c.t.u. (75%) e per il coefficiente corrispondente all’età del danneggiato (per anni 39 all’epoca dell’evento 0,810). Quanto all’invalidità temporanea, che va del pari risarcita in guisa di danno alla salute, risultandone leso per il tempo corrispondente il bene costituito dalla possibilità di esplicazione del soggetto in tutte le sue diverse relazioni, equo si stima stabilire il corrispettivo, per quella al 100% in euro 9000,00= (50,00 al dì x 180gg), per quella al 75 % in euro 13687,00= (37,50 al dì x 365gg).

Circa il danno morale, il relativo risarcimento, dovuto in considerazione dell’illiceità penale dell’evento per cui è causa, è stimabile in una somma, liquidata all’attualità, che si reputa equo determinare, tenuto conto del biologico, in euro 136.853,00=.

7. La complessiva somma così risultante dovrà poi maggiorarsi, secondo l’insegnamento di Cass. 17 febbraio 1995, n. 1712, in Guida del diritto, n. 11/95,53, di rivalutazione monetaria, avuto riguardo alla natura dell’obbligazione nascente da fatto illecito, che è debito di valore e che mira alla reintegrazione del danneggiato nella situazione patrimoniale anteriore all’illecito. E del pari, alla stregua del medesimo insegnamento di legittimità, dovrà pure provvedersi alla liquidazione degli interessi c.d. compensativi, atteso che, essendo i detti interessi destinati a risarcire il danno da ritardo, la prova del pregiudizio che ne è conseguenza, pur necessitando di congrua dimostrazione, può desumersi altresì in via presuntiva – presunzione che appare qui legittimata dalla naturale fruttuosità del denaro nel periodo intercorrente tra la data dell’illecito e quella in cui ne avviene il risarcimento – provvedendosi perciò alla loro liquidazione in base ad equità, congruo reputandosi a questo fine l’utilizzo dei tasso annuo del 2,5%, questo invero costituendo la media tra i tassi di legge vigenti nel periodo in parola. *****, poi, ancora precisare che il calcolo degli interessi, non potendo tradursi, come ancor si è detto dalla citata decisione, "in una sorta di anatocismo all’infuori dei casi previsti dalla legge", deve essere operato non già sulla somma rivalutata all’esito della liquidazione, ma sul capitale corrispondente al valore del bene al momento del fatto illecito annualmente rivalutato. Peraltro, salvo che per il ristoro dovuto per le spese, l’impossibilità tecnica di devalutare il relativo ammontare quanto alle somme già liquidate all’attualità impone di recuperare l’effetto anomalo di una doppia rivalutazione facendo decorrere gli interessi da una data intermedia che si stabilisce nel 1° gennaio 2001.

Va da sé, infine, che a seguito della liquidazione operata in questa sede il debito di valore si converte in debito di valuta, sicché su di esso dovranno computarsi i normali interessi moratori ex lege.

8. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza respinta

Accoglie la domanda proposta da Y nei confronti di Ferrovie dello Stato Società di Trasporti e Servizi per azioni con atto di citazione notificato il 23 settembre 1999 e, per l’effetto, condanna parte convenuta al pagamento in favore di parte attrice

a) della somma di euro 410.560,00= per invalidità permanente, di euro 9.000,00+13.687,00= per invalidità e danno biologico temporanei e di euro 136.853,00= per danno morale, oltre agli interessi al tasso annuo del 2,5% sulla somma capitale dalla domanda alla data di pubblicazione della sentenza.

b) della somma in euro 1000,00= oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT ed interessi al tasso annuo di legge sulla somma capitale annualmente rivalutata dalla domanda alla data di pubblicazione della sentenza.

c) degli interessi al tasso annuo di legge sulle somme predette dalla data di pubblicazione della sentenza a quella del saldo effettivo e delle spese di lite che si liquidano in euro 499,99= per spese, euro 4300,00= per competenze ed euro 5500,00= per onorari, oltre IVA, CPA, art. 14 t.p. e spese di c.t.u. purché comprovatamene quietanzate.

Bologna, 14 gennaio 2008

Il Giudice
Dott. *************

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