Tribunale Brindisi Fasano 10/2/2010

Redazione 10/02/10
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FATTO E DIRITTO
La domanda proposta dall’attrice deve essere accolta in parte qua per le ragioni che seguono.
Si rende necessario premettere che, con sentenza del 4.5.1981 il Tribunale di Brindisi dichiarava il fallimento della signora *****, titolare di un maglificio denominato "Sole" in Fasano.
Avverso la detta sentenza proponeva opposizione l’odierna attrice deducendo che il fallimento era stato dichiarato allorché era trascorso più di un anno dalla cessazione dell’attività e che non sussisteva lo stato di insolvenza stante il rilevante patrimonio immobiliare della fallita.
Nella pendenza della detta procedura fallimentare, e segnatamente nell’anno 1989, il signor **** concordava con la signora ***** di provvedere egli stesso alla tacitazione dei creditori insinuati al passivo fallimentare, per un importo stimato in lire 250 milioni circa (secondo le intese transattive raggiunte dallo stesso **** con la maggior parte dei creditori insinuati), onde consentire il ritorno in bonis della Tizia medesima.
Le parti prevedevano che, ove la Tizia fosse rientrata in bonis, ella gli avrebbe corrisposto l’importo versato maggiorato degli interessi maturati e maturandi al tasso del 29% annuo; mentre, ove ella non fosse ritornata in bonis, il **** avrebbe avuto diritto a soddisfarsi (per il maggiore importo dei crediti acquistati, rispetto a quanto da egli effettivamente erogato) sulle somme che sarebbero state ricavate dalla vendita del rilevante patrimonio immobiliare della Tizia.
Con scrittura del 7.1.89 (doc.1) il **** e l’attrice trasponevano per iscritto le dette intese, e, il primo al fine di garantirsi la restituzione delle somme da egli anticipate per estinguere il credito, chiedeva ed otteneva l’accensione di ipoteca su tutto il patrimonio della Tizia, sito in Fasano alla Via Mignozzi angolo Via Venafra, costituito da un complesso immobiliare formato da due palazzine contigue, composte da tre piani ed attico la prima, e da un piano terra ed un primo piano la seconda, poste in comunicazione tra di loro da vano di collegamento, e dotate di un ampio seminterrato (esteso mq.700 circa) sottostante ad entrambe le palazzine.
Ed in effetti la Tizia, con atto di ricognizione di debito e di concessione di ipoteca del 4.3.1989, redatto dal notaio *******, repertorio n.2151 (doc.2), si riconosceva debitrice dell’importo di £.250 milioni (pari all’importo necessario per la definizione dei crediti ammessi al passivo fallimentare) e rilasciava in favore di **** garanzia ipotecaria sul detto patrimonio immobiliare.
Effettuato il pagamento dei creditori da parte del Caio nel mese di maggio 1989, sopravveniva nel frattempo (in data 28.6.1989) la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento della Tizia (v. sentenza C.Appello di Lecce n.335/1989 del 28.6.1989: v. doc.3, allegato al fascicolo dell’attrice).
Per effetto di tale sentenza, quindi, la Tizia ritornava in bonis; nondimeno l’intero proprio patrimonio era ancora gravato dalla ipoteca iscritta a favore del convenuto.
A titolo di parziale restituzione delle somme anticipate dal ****, per l’estinzione dei crediti ammessi al passivo, la Tizia provvedeva a versare l’importo di lire 85.000.000 in favore del signor ****; ciò a mezzo di assegno circolare della Citibank di Fasano del 3.10.1989 (v. doc.4 allegato al fascicolo dell’attrice).
Quindi, al fine di estinguere il proprio debito nei riguardi del ****, la Tizia, – con atto di "Datio in solutum" stipulato in data 6.4.1991 per notar ******* di Brindisi, repertorio n.6601 (cfr. doc.5 di parte attrice) – cedeva al **** il piano interrato (di mq.700) del detto fabbricato, oltre al piano primo (di mq.700), e a parte (300 metri circa) del piano terreno.
Invero, la vicenda all’attenzione dell’odierno giudicante è stata oggetto, seppur ad altri fini, anche di accertamento penale definitivo.
In primis, viene in rilevo la sentenza di primo grado del 15.6.1996, depositata il 25.7.1996 (doc.10), che ha dichiarato il **** colpevole del reato di usura; condannandolo, altresì, al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile Tizia – danno da liquidarsi in separata sede civile – , al contempo, assegnando in favore della parte civile, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, la somma di £.20 milioni.

In tale sede, il giudice penale arrivava alle seguenti conclusioni:
1) a fronte di un accertato valore della porzione immobiliare oggetto della predetta datio in solutum, con riferimento all’epoca della relativa stipulazione, pari a £.672.500.000 e a fronte, altresì, di un credito – così come risultante dalle ricevute acquisite agli atti – pari a £.300.625.209, "il tasso di interesse annuo conseguito dal ****" sarebbe stato del 90,70%. e, quindi, "indiscutibilmente usurario" (cfr. sentenza del pretore di Fasano).
2) sarebbero stati integrati anche gli ulteriori elementi della fattispecie incriminatrice contestata:
a) lo stato di bisogno:"non vi è dubbio circa la sussistenza di un vero e proprio stato di bisogno in capo alla debitrice, già dichiarata fallita ed impegnata in ogni possibile iniziativa nel disperato tentativo di sanare la propria rilevante esposizione debitoria" (cfr. sentenza cit.).
c) la conoscenza dello stato di bisogno: "Né può revocarsi in dubbio che il **** avesse piena conoscenza di tale stato di dissesto finanziario, tenuto conto della ampia risonanza di una simile vicenda nell’ambito alquanto limitato della collettività fasanese"(cfr. sentenza cit.).
Dunque, secondo il giudice penale di primo grado "la condotta del ****……… assumeva i contorni di una clamorosa fattispecie di usura, spingendosi sino alla tipica acquisizione del patrimonio immobiliare della vittima".
Con sentenza del 14.10.1998 (cfr. all.11 del fascicolo di parte attrice), la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Pretore di Brindisi – sezione di Fasano, del 15.6.1996, appellata dal ****, dichiarava "non doversi procedere contro lo stesso in riferimento al reato ascrittogli perché estinto per prescrizione", confermando, al contempo, le statuizioni civili della impugnata sentenza.
Il Giudice d’Appello, infatti, applicava al caso di specie l’articolo 578 c.p., affermando che il reato ascritto al **** doveva essere "dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, stante il decorso del termine massimo di sette anni e mezzo dal tempus commissi delicti, avuto riguardo all’apparato sanzionatorio proprio della norma incriminatrice nel (più favorevole) testo vigente all’epoca dei fatti" (cfr. sentenza della Corte d’Appello).
Nondimeno, la Corte pronunciando sulla proposta impugnazione, "ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili", affermava quanto segue:
1)"il valore dell’immobile, una volta depurato dal conguaglio in contanti corrisposto dal **** per complessive lire 64.400.000=, è risultato di lire 608.100.000";
2) "la differenza fra tale ultimo importo e quello precedentemente indicato consente di fissare in lire 376.580.791 la cifra totale pagata dalla Tizia a titolo di interessi, sulla base di un tasso annuo che, secondo la consueta formula stabilita dalla tecnica commercialistica, è stato pari al 70,46%, dunque indubbiamente di natura usuraria".
Pertanto, la Corte di Appello, con la detta sentenza, riteneva di tenere ferme le statuizioni civili della impugnata sentenza.
Il ricorso per Cassazione, proposto avverso la suddetta pronuncia dal convenuto, veniva respinto dalla Suprema Corte, che, con sentenza depositata in data 8.2.2000 (v. all.12 del fasc. di parte attrice), lo riteneva infondato.
Infatti, il Supremo Consesso non riteneva meritevole di censura la pronuncia adottata dal Giudice di Appello che aveva aderito alle conclusioni del perito d’ufficio, "dando di tale convincimento adeguata e logica motivazione, del tutto aderente alle risultanze acquisite".
D’altra parte, il giudice di secondo grado aveva provveduto ad evidenziare, "con valutazione in punto di fatto, che il tasso praticato permane usurario pur tenendo conto di somme di denaro mutuate al di fuori della scrittura del 7.1.1989.".
Parimenti immune da vizi logici ed aderente alle risultanze processuali,veniva ritenuta "la valutazione del valore del cespite oggetto della datio in solutum, fatta con riferimento ai prezzi correnti all’epoca del contratto rispetto al valore indicato dall’appellante con riferimento all’epoca della procedura fallimentare".
Quanto, poi, alla ricorrenza dello stato di bisogno della parte lesa e dell’approfittamento di tale stato da parte del ****, requisiti entrambi ritenuti ricorrenti da parte dei Giudici di merito, la Corte osservava che "adeguatamente motivate ed immuni da vizi logici" erano da ritenersi "le argomentazioni portate a sostegno del convincimento di colpevolezza, non mancando i Giudici di merito di sottolineare da un lato che lo stato di bisogno della Tizia era coincidente con la necessità di evitare gli effetti pregiudizievoli del fallimento, e dall’altro che al **** era ben noto l’esistenza del detto stato, sia per il fatto stesso che la parte lesa si trovava nella impossibilità di ricorrere a normali forme di credito bancario, tanto che si rivolse all’imputato per ottenere il finanziamento, sia per la risonanza che la procedura fallimentare ebbe nel piccolo centro ove la parte lesa operava, come bene ha evidenziato il primo giudice".
Orbene, al fine di chiarire i rapporti esistenti fra il definito giudizio penale e l’odierno giudizio civile, si rende necessario precisare quanto segue.
Costituisce principio consolidato quello per cui la sentenza del giudice penale che, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato che, pur prosciolto dal reato, non può più contestare la declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma soltanto l’esistenza e l’entità in concreto di un pregiudizio risarcibile (cfr. Cass. 21. 12. 1998, n. 12767).

Nel caso di specie, i danni di cui può dirsi raggiunta la prova sono:

A) danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico
La disposta Ctu è pervenuta alle seguenti conclusioni medico-legali:
1) la Tizia è attualmente affetta da sindrome neuro-psichiatrica consistente in un "Disturbo post- traumatico", riconducibile eziologicamente alla circostanza di essere stata vittima del reato di usura (cfr. consulenza secondo cui "In primo luogo vi è da evidenziare che la vicenda usuraria di cui trattasi ha causato alla signora ***** un danno biologico ed un danno esistenziale di notevole entità")
Il suddetto danno biologico consiste in "turbe del sonno, irritabilità e risentimento grave nei confronti del prossimo, turbe della concentrazione, ipervigilanza e continuo stato di allarme". Infatti, "la stessa rivive, costantemente e ripetutamente, eventi e circostanze affrontati in passato che l’hanno turbata ed hanno alterato il suo stile di vita. Ovviamente, il fatto di rivivere suo malgrado tali eventi, la porta ad un continuo ed insostenibile stato di allarme psicologico che altera il suo normale comportamento, le sue abitudini, la sua fisiologia, la sua affettività, ed annulla le speranze e le prospettive per il futuro".
Secondo il Ctu, il danno biologico totale, complessivamente considerato, sarebbe da quantificarsi nella misura del 20% (venti%).
Invero, il Ctu non esclude l’esistenza di cause concorrenti alla produzione del danno, rinvenibili nei suoi peculiari trascorsi (cfr. relazione secondo cui" circa le cause di un simile degrado, è possibile affermare che tutte le vicende pregresse ne possano essere all’origine", (ovvero le) traversie economiche, (il) lungo ed estenuante iter giudiziario cui è stata sottoposta, (le) molteplici patologie contratte che hanno comportato, anch’esse, trattamenti chirurgici e sofferenze").
Nondimeno – come desumibile dal complesso della relazione peritale – deve escludersene un’efficienza causale, in relazione all’evento dannoso, esclusiva o, anche solo, prevalente rispetto all’essere stata la Tizia, vittima di una fattispecie di usura.
E’ noto come, ai fini dell’accertamento del rapporto di causalità giuridica, è sufficiente che la condotta del danneggiante si ponga quale causa dell’evento dannoso secondo l’id quod plerunque accidit (c.d. teoria della causalità adeguata o regolarità causale), a tal fine, rilevando che tal ultimo possa essere ascritto nel novero delle conseguenze normali ed ordinarie della prima.
Ciò diversamente da quanto richiesto ai fini della responsabilità penale idonea ad incidere, se accertata, sul valore – essenziale e costituzionalmente fondato – della libertà umana.
Né il rapporto causale può, di per sé, considerarsi interrotto dall’esistenza di eventuali cause concorrenti, anteriori o sopravvenute, purchè non abbiano efficienza causale assorbente rispetto alla condotta criminosa.
Si può, dunque, affermare che, qualora la Tizia non fosse stata vittima della usura, l’evento lesivo della sua integrità psichica non si sarebbe realizzato o, comunque, non sarebbe stato connotato dalla stessa gravità.
Seppur inidonee ad interrompere il nesso causale, alle suddette concause non può disconoscersi qualunque rilievo, potendosi, comunque, considerare influenti ai fini dell’esatta determinazione della percentuale d’invalidità effettivamente riconducibile alla vicenda usuraia.
Data la loro (apprezzabilmente) minore incidenza sulla portata del danno, ad esse può ricondursi il 5 per cento della suddetta invalidità, che, per la sua componente residua, e’, invece, riconducibile eziologicamente alla datio in solutum
D’altra parte, risponde ad una regola d’esperienza di difficile smentita che il suddetto reato – per la sua idoneità a privare la vittima della sua abituale capacità di decidere e di organizzare la propria esistenza, relativamente non solo alle scelte della quotidianità; ma anche, come nel caso di specie, all’esercizio della propria attività d’impresa – abbia un’efficacia devastante della psiche della vittima.
La circostanza dell’avvenuta alterazione dell’integrità psichica dell’attrice ha trovato riscontro nelle risultanze della prova testimoniale per mezzo dei testi ******************, ************, *******************, ************** e **************, i quali hanno confermato le circostanze, poste dall’attrice, a fondamento dell’atto introduttivo del giudizio; testi della cui attendibilità e genuinità, sulla base delle altre risultanze istruttorie, non si ha motivo di dubitare (v. deposizioni rese all’udienze del 1.10.2007, del 28.2.2008 e del 29.5.2008).
In particolare, il nipote ha precisato che lo sconvolgimento della vita dell’attrice, descritta come persona naturalmente votata alla relazione umane e imprenditoriali, ha avuto inizio dal giorno in cui la ********** "si recò presso la casa del **** per portargli un assegno circolare di £. 85.000.000. In quella circostanza il **** disse a mia zia che quella somma di £.85.000.000 non avrebbe coperto nemmeno parte degli interessi. Il teste ha affermato di essere presente personalmente al fatto e che, "da quel momento in poi (la) zia si chiuse in se stessa, piangeva e non parlava più con nessuno."
Quanto alla eccezione per cui la patologia psichica di cui è affetta Tizia – secondo il criterio della continuità fenomenica – non potrebbe farsi risalire ai fatti per cui è causa, essendo la prima documentazione medica risalente solo al 2000, sono da condividersi le considerazioni espresse, al riguardo, dall’attrice per cui "l’effetto di rilevanza psicopatologica può emergere clinicamente in tempi differiti rispetto allo stressor, tanto che lo stesso DSM contempla le affezioni ad esordio tardivo".
Di qui l’irrilevanza, ai fini dell’accertamento del nesso causale, dell’esistenza di una siffatta documentazione anteriormente all’anno 2000 (ad esempio, in concomitanza coi ricoveri cui l’attrice si è sottoposta).
D’altra parte, ai fini della comprensione dell’effettivo rapporto di causa ed effetto, nel caso di specie, è utile ricordare come la depressione e la malattia neuro-psichiatrica, come accertato dagli studi medici più recenti, siano spesso esse stesse idonee a determinare l’insorgenza successiva di malattie fisiche del corpo.

B) danno non patrimoniale descrivibile, come danno di tipo esistenziale per lesione dei principi costituzionali della libertà di autodeterminazione e della libertà d’impresa.
Accanto al danno biologico, può dirsi raggiunta la prova anche di un danno di natura non patrimoniale distinto dal danno biologico. Se prima dell’avvento delle Sezioni Unite dell’11 Novembre 2008, era pacifica l’affermazione giurisprudenziale secondo cui:"il soggetto passivo dei reati di usura e di estorsione subisce un’alterazione del modo di essere, che configura una alterazione peggiorativa della qualità della vita, obiettivamente apprezzabile, e deve essere definito in termini di danno esistenziale, distinto sia dal c.d. pretium doloris, sia dal c.d. danno biologico". (Tribunale Milano, del 18.3.02), la permanente validità di tali conclusioni va, attualmente, vagliata attraverso il "filtro" imposto dalla suddetta pronuncia.
A tal riguardo, sovviene proprio l’applicazione dei principi enucleati dalle Sezioni Unite, attente nell’ancorare la risarcibilità del danno non patrimoniale alla configurazione della lesione di un interesse costituzionalmente rilevante.
Orbene, è indubbio che il coinvolgimento in una vicenda di usura sia idoneo a pregiudicare, da una parte, la capacità di autodeterminazione dell’individuo con riguardo alla propria sfera patrimoniale, dall’altra, la libertà d’impresa, ponendo l’imprenditore nell’incapacità di programmare liberamente le proprie scelte d’investimento.
Ciò premesso, le libertà de quibus costituiscono valori costituzionalmente garantiti come dimostra l’univoco dato testuale sia dell’art. 13 Cost, sia dell’art. 41 Cost. secondo cui "L’iniziativa economica privata è libera".
Né é idonea a infirmare la validità del predetto assunto, così come l’assolutezza dei suddetti valori, la circostanza che tali libertà incontrino dei limiti al loro esercizio; non potendosi, ad esempio, la libertà d’impresa svolgere "in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana".
Quanto alla natura del danno risarcibile, i beni de quibus – inerendo la sfera personale e organizzatoria dell’imprenditore e del semplice individuo – non hanno una valenza, almeno, direttamente, patrimoniale, non costituiscono un cespite integrativo del patrimonio dell’impresa.
Dunque, il danno, conseguente alla compressione della libertà d’impresa o libertà di autodeterminazione dell’individuo con riguardo alla propria sfera patrimoniale, avrà natura necessariamente non patrimoniale.
E’ ovvio che l’accoglimento della pretesa risarcitoria presuppone un adeguato assolvimento dell’onere probatorio da parte del danneggiato che potrà dedurre e provare, se imprenditore, l’impossibilità di ampliare il proprio capitale fisso o di dilatare le dimensioni organizzative dell’impresa; se individuo, privo del suddetto status, l’impossibilità di assicurare una diversa destinazione al proprio capitale.
Poichè a rilevare è la compromissione di tali valori in sé, al di la di eventuali ricadute economiche di agevole accertamento, sarà sufficiente dedurre fatti (e atti) idonei a dimostrare la suddetta compromissione, allegando, ad esempio, un progetto di ampliamento della propria impresa, rimasto inattuato.
Orbene, nel caso di specie, in conseguenza dell’indisponibilità del proprio patrimonio immobiliare ed in quanto coinvolta nei giudizi scaturenti dalla stessa vicenda usuraria, l’attrice ha subito un’apprezzabile compromissione della propria libertà d’impresa, pervenendo, in ultimo, alla chiusura della propria attività d’impresa nel 1994.

C) danno non patrimoniale, come danno morale.
Quale ulteriore voce del danno non patrimoniale, nel caso di specie,anche in conseguenza della natura criminosa dell’usura, deve riconoscersi in capo all’attrice anche il danno morale (o pretium doloris), consistente nei patemi d’animo, nelle sofferenze e nei turbamenti patiti dall’attrice, eziologicamente riconducibili alla vicenda usuraia.
Per quanto concerne il quantum di tali danni, si ritiene opportuno applicare, al caso di specie, le tabelle di Milano, in quanto aggiornate rispetto al nuovo inquadramento del danno non patrimoniale cui sono approdate le Sezioni Unite dell’11.11. 2008.
Le nuove Tabelle – approvate il 28 aprile 2009 – presentano profili di innovatività rispetto alle precedenti tabelle quanto alla liquidazione del danno permanente da lesione all’integrità psico-fisica. Infatti, esse individuano il nuovo valore del c.d. "punto" muovendo dal valore del "punto" delle Tabelle precedenti (connesso alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato in riferimento all’inserimento nel valore di liquidazione "medio" anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva"di una percentuale ponderata (dall’1 al 9% di invalidità l’aumento è del 25% fisso, dal 10 al 34 % di invalidità l’aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l’aumento torna ad essere fisso al 50%), e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d. personalizzazione.
Applicando le predette tabelle al caso si specie e assumendo quale momento temporale rilevante l’anno 2000, cui risalgono le prime certificazioni mediche, il danno subito dall’attrice che, fino al dicembre del 2000 aveva 63 anni, deve essere quantificato in euro 48.000 cui si perviene, movendo dal valore del "punto", relativo al danno non patrimoniale (biologico + morale) € 3226.90, moltiplicandolo per il numero dei punti di invalidità (15) e aumentando il suddetto prodotto (ovvero euro € 33 398,41 fino al suddetto importo, per esigenze di personalizzazione del danno.
Esigenze che rinvengono la propria ragion d’essere nella peculiarità del caso di specie, e, in particolare, nell’accertata violazione dei suddetti valori costituzionali.
Essendo stato il danno non patrimoniale liquidato alla stregua di criteri e valori aggiornati al 2009 ed essendo le somme in precedenza indicate già espresse in moneta al valore attuale, non va accordata la rivalutazione alla data attuale, che darebbe luogo ad un’indebita duplicazione del risarcimento.
Nondimeno, sulla medesima somma vanno computati gli interessi, che hanno natura compensativa e decorrono dal giorno in cui si è manifestato, in modo certo, l’evento – dannoso (cfr. Cass. 23 febbraio 2005, n. 3747; Cass. 26 febbraio 2004, n. 3871; Cass. 17 settembre 2003, n. 13666), ovvero dall’anno 2000, cui risale, appunto, la prima documentazione medica della patologia de qua; ciò per quanto la cessazione dell’attività nell’anno 1994 consenta di affermare che l’invalidità psichica, probabilmente in una misura minore, esisteva fin da tale data. D’altra parte, la patologie psichiche, pur potendo rinvenire la loro causa in eventi remoti, in quanto processi morbosi, sono connotate da un periodo di evoluzione in senso progressivamente peggiorativo fino a costituire una menomazione permanente della persona, come nel caso di specie, oppure in melius, fino alla guarigione.
D) danno patrimoniale.
Al danno non patrimoniale, deve essere aggiunto il danno di natura patrimoniale.
L’attrice, infatti, a seguito dei comportamenti illeciti del **** e della vicenda usuraria di cui trattasi (siccome accertata dalle richiamate sentenze penali definitive), risulta aver perso – dal punto di vista economico e patrimoniale – la propria capacità lavorativa specifica (in particolare, di impresa).
Essa, anche perché privata della titolarità del proprio patrimonio immobiliare, (che avrebbe potuto convertire in liquidità o destinare direttamente all’esercizio della propria attività economiche), è stata posta, secondo una massima di comune esperienza di ardua smentita, nelle condizioni di non poter più "alimentare" la propria attività lavorativa ed economica.
D’altra parte, così come, nel caso di danno alla salute di modesta entità, può fondatamente presumersi ex art. 2727 c.c. che i postumi (…) non avranno alcuna conseguenza sull’attività di lavoro e sulla conseguente capacità di produrre reddito, al contrario, nel caso di postumi permanenti i quali superino la soglia delle cosiddette micropermanenti (convenzionalmente stabilita nella misura del 10 % della complessiva validità dell’individuo), sussiste una presunzione opposta: e cioè che l’ invalidità ( …. ) inciderà in modo apprezzabile sulla capacità di guadagno del danneggiato (cfr. Cassazione civile , sez. III, 03 settembre 1998 , n. 8769).
Presunzione, ovviamente, iuris tantum, soggetta ad una prova contraria tanto più ardua, quanto maggiore è l’entità dell’invalidità.
Orbene, tale presunzione, nel caso di specie, non risulta superata dagli esiti dell’attività istruttoria, ma apprezzabilmente rafforzata.
Il suddetto danno patrimoniale, da liquidarsi in via equitativa, può essere quantificato in euro 200.000,00.
Ciò in considerazione, in primis:
1) dell’età della **********, al momento della chiusura della propria attività. Ex actis consta che la Tizia ha lavorato fino al 31.1.1994; mentre, non hanno trovato riscontro nelle altre risultanze istruttorie le dichiarazioni del teste ************, figlio del convenuto, ascoltato all’udienza del 28.2.2008 che rinunziando alla facoltà di astenersi, ha affermato che la Tizia avrebbe continuato a lavorare fino all’anno 2000)
2) della reddività media di attività del tipo di quella da lei esercitata, avuto riguardo alle caratteristiche del tessuto economico-sociale del fasanese.
Peraltro, quali indizi della capacità reddituale dell’attrice, possono invocarsi non solo le dimensioni della sua impresa al momento della dichiarazione di fallimento (cfr. verbale di sommarie informazioni del 2.2. 1994, in atti, da cui emerge che le dipendenti della Tizia erano otto), ma anche il reddito dichiarato dall’attrice in relazione al solo mese del gennaio del 1994, ammontante a lire 2.450.000 (cfr. certificazione dei redditi rilasciata dal competente ufficio), peraltro, in un momento storico in cui l’attrice risultava sprovvista dell’utilità economica che avrebbe potuto trarre dalla disponibilità giuridica del patrimonio immobiliare, già trasferito in sede di datio in solutum,
In ultimo,ai fini di una valutazione equitativa del suddetto danno, è possibile richiamare il rimborso Iva 1994, liquidato alla Tizia, a seguito della cessazione della propria attività d’impresa (cfr. certificazione in atti) pari a lire 40.339.000.
Quanto al danno che sarebbe derivato all’attrice dall’aver concluso, la datio in solutum di cui al summenzionato atto per notar ******* di Brindisi del 6.4.1991 rep. n. 6601 (cfr. doc.5 del fasc. di parte attrice), danno quantificato nell’importo di lire 376.580.791 (ovvero euro 194.487,75) – corrispondente al vantaggio usurario accertato dalla sentenza penale della Corte di Appello di Lecce n.1395 del 14.10.1998 (doc.11 del fasc. di parte attrice), divenuta definitiva – si rende necessario precisare quanto segue.
Ogni questione relativa all’an e al quantum del risarcimento di tale voce di danno, appare condizionata dalla decisione relativa all’eventuale nullità o rescissione della suddetta datio in solutum, decisione oggetto di altro giudizio, peraltro, ancora pendente.
Ciò anche in conseguenza della preminenza che, in presenza di fenomeni di usura, il sistema rimediale accorda alla tutela di tipo reale, ove ammissibile, rispetto alla meno incisiva tutela risarcitoria.
Di qui la necessità di disporre, con separata ordinanza, la sospensione di questo giudizio, relativamente all’accertamento di tale voce di danno, in attesa della definizione del suddetto distinto processo.
Dunque, il convenuto deve essere condannato, complessivamente, al pagamento di euro 200.000,00, a titolo di danno patrimoniale,oltre rivalutazione ed interessi dal 31.1.1994 ed euro 48.000, a titolo di danno non patrimoniale, con interessi dall’1.1.2000.
Infatti, quanto alla prima voce di danno (patrimoniale), trattandosi di debito di valore, vanno riconosciuti non solo la rivalutazione alla data attuale, che ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era prima del fatto illecito generatore del danno e porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento dannoso non si fosse verificato, ma anche gli interessi sulla somma rivalutata, che hanno natura compensativa e decorrono dal giorno in cui si è consumata la perdita della capacità lavorativa specifica (ovvero almeno dal 31.1.1994) (Cass. 23 febbraio 2005, n. 3747; Cass. 26 febbraio 2004, n. 3871; Cass. 17 settembre 2003, n. 13666).
Spese al definitivo

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Tizia, nei confronti di ****, così provvede:
1) accoglie la domanda di parte attrice, e, per l’effetto, condanna il convenuto al risarcimento dei danni, in favore della Tizia, quantificati in euro € 200.000,00, a titolo di danno patrimoniale, oltre rivalutazione ed interessi dal 31.1.1994; ed euro 48.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, con interessi dall’1.1.2000;
2) provvede come da separata ordinanza ai fini della suddetta sospensione;
3) Spese al definitivo

Fasano, 10.2.2010
IL GIUDICE
(*******************)

Redazione