Trattamento Sanitario Obbligatorio: l’ultima parola spetta al Tribunale (Cass. n. 13916/2012)

Redazione 02/08/12
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Svolgimento del processo

 

Con ordinanza del 2.3.2007 il Sindaco di (omissis), decidendo sulla proposta del Dott. Gi.Pe., convalidata dapprima dal ********** e quindi dal Giudice Tutelare presso il Tribunale di Udine, disponeva il ricovero di P.R. in Ospedale per motivi psichiatrici, provvedimento cui poi facevano seguito altre quattro ordinanze, con le quali veniva stabilita la proroga del disposto trattamento sanitario obbligatorio.
Il Tribunale di Udine, successivamente adito dal P. in sede di reclamo, rigettava la proposta impugnazione, rilevando in particolare: che le doglianze prospettate erano di natura formale e di natura sostanziale; che quanto a quest’ultimo aspetto, la sussistenza delle condizioni legittimanti il ricovero sarebbero risultate dall’esito della disposta consulenza tecnica; che più precisamente il CTU aveva evidenziato come estremamente significativo della gravità delle condizioni in cui si sarebbe trovato il reclamante dovesse essere considerato l’episodio di spaccio di denaro falso verificatosi due giorni prima del ricovero; che il detto episodio non appariva isolato, ma al contrario doveva essere interpretato come “l’apice di deliri di grandezza e persecuzione sviluppati dal periziando”, deliri che avevano dato corso a sentimenti di rabbia e di vendetta, ulteriormente aggravati dal suo rifiuto di sottoporsi a cure di sorta; che le prove di cui il P. aveva sollecitato l’ammissione, finalizzate a dare dimostrazione delle sue buone condizioni di salute, apparivano irrilevanti, poiché attinenti a circostanze marginali e comunque poiché contrastate dal giudizio del consulente tecnico, che nel settembre 2007 aveva riscontrato un peggioramento delle dette condizioni rispetto al giugno dello stesso anno, verosimilmente per il progressivo abbandono della terapia farmacologica; che analogamente irrilevante risultava la circostanza relativa alla mancata effettuazione di visita da parte dei sanitari intervenuti, e ciò per essere note le condizioni del paziente; che quanto al profilo formale, l’illegittimità denunciata in relazione ad un preteso vizio di motivazione appariva in realtà insussistente, sia per il fatto che gli eventuali limiti di motivazione avrebbero ben potuto essere superati con la motivazione del provvedimento emesso in sede di impugnazione – e ciò in ragione del carattere interamente devolutivo del giudizio di reclamo -, sia per il fatto che comunque i provvedimenti contestati sarebbero stati sufficientemente motivati; che ugualmente infondati risultavano gli altri due vizi di carattere formale denunciati, consistenti nell’omessa notifica all’interessato dei provvedimenti adottati nei suoi confronti e nella mancata convalida da parte del giudice tutelare dell’ordinanza di prosecuzione del trattamento emessa dal sindaco, in quanto non prevista la notifica alla parte (primo aspetto) e per essere stata seguita la mancata convalida, determinata peraltro da ragioni di incompetenza territoriale, da un ordinanza di convalida di un provvedimento di identico contenuto emesso dal sindaco competente (secondo aspetto).
Avverso la detta ordinanza il P. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva l’intimato con controricorso, con il quale eccepiva pregiudizialmente l’inammissibilità dell’atto di impugnazione.
La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 2.7.2012.

 

Motivi della decisione

 

Con i tre motivi di impugnazione P. ha rispettivamente denunciato: 1) violazione degli artt. 34 – 35 l. 833/1978, per aver il Tribunale ritenuto sufficientemente motivato il giudizio circa la ricorrenza dei presupposti per l’emissione dei provvedimenti con i quali era stato disposto il trattamento sanitario obbligatorio.
Il giudizio sarebbe infatti errato sotto un duplice aspetto, e cioè sia perché la motivazione sarebbe stata insufficiente, sia perché a torto era stato affermato che nel corso del giudizio di impugnazione sarebbe stata comunque accertata l’esistenza dei richiesti presupposti di legge.
Più precisamente, sul primo punto, tutti gli atti prodromici al ricovero (certificato medico con richiesta di trattamento obbligatorio, successiva convalida del medico USL, ordinanza del sindaco, decreto del giudice tutelare), nonché quelli successivi di proroga, sarebbero stati redatti su moduli prestampati meramente dichiarativi dell’esistenza dei prescritti requisiti di legge.
Tale circostanza avrebbe dunque escluso ogni correlazione fra le condizioni richieste e la specificità del caso concreto e avrebbe conseguentemente comprovato l’inadeguatezza della motivazione adottata, fra l’altro non necessitata da specifiche ragioni di urgenza;
2) violazione del medesimo art. 34 in relazione al secondo aspetto sopra delineato, avente ad oggetto l’affermata sussistenza dei presupposti normativi richiesti per l’adozione del trattamento sanitario obbligatorio.
In particolare dalle risultanze di giudizio sarebbe emerso che non sarebbe stato proposto alcun mezzo alternativo di cura e la mancata effettuazione di visita medica, oltre a costituire un’omissione già di per sé rilevante, non avrebbe consentito di verificare la disponibilità del paziente ad accettare di sottoporsi a valide misure extraospedaliere;
3) violazione dell’art. 35, comma 8, l. 833/1978, con riferimento all’affermata idoneità del provvedimento adottato in sede di reclamo a sostituire quello reclamato ed a sanare quindi anche la totale carenza di motivazione.
La detta conclusione era stata formulata sulla base del ravvisato parallelismo fra i provvedimenti di trattamento sanitario obbligatorio e quelli restrittivi della libertà personale, provvedimenti per i quali la richiamata giurisprudenza di questa Corte aveva stabilito i principi applicati dal Tribunale di Udine.
Pur essendo condivisibile – secondo il ricorrente – il prospettato parallelismo fra i due procedimenti, il tribunale avrebbe comunque errato nel decidere nel senso ora contestato, per non aver colto la specificità dei provvedimenti di trattamento sanitario obbligatorio (diversi in particolare sarebbero i tempi di definizione e l’oggetto del giudizio), che avrebbe escluso l’automatica applicabilità di principi espressamente stabiliti per il giudizio di riesame.
Devono essere esaminate innanzitutto le eccezioni di inammissibilità del ricorso, dedotte sotto un duplice aspetto, e cioè: a) sotto il profilo della mancata allegazione dei documenti specificamente censurati o comunque dell’omessa indicazione del loro contenuto); b) sotto il profilo della tardività del reclamo per tutte le ordinanze impugnate emesse prima del 29.3.07 (l’unica ordinanza tempestivamente impugnata sarebbe dunque quella del 29.3.07).
Entrambi i rilievi sono privi di pregio. Quanto al primo (sub a), risulta infatti che i documenti oggetto di contestazione sono stati puntualmente indicati e allegati al ricorso depositato presso la cancelleria della Corte, in ossequio al disposto dell’art. 369 c.p.c..
Quanto al secondo (sub b), è sufficiente considerare che la tardività dell’impugnazione non risulta essere stata dedotta in precedenza, e in ogni modo la deduzione risulta errata, poiché l’invocata applicazione per il reclamo del termine di 10 giorni previsto dall’art. 739 c.p.c. (richiamato dall’art. 742 bis c.p.c.) appare erroneamente sollecitata, atteso che nella specie deve trovare applicazione la disciplina speciale dettata dall’art. 35, ottavo comma l. ‘78/833.
Venendo quindi alle doglianze prospettate dal ricorrente, appare pregiudiziale l’esame del terzo motivo di impugnazione, considerato che in tale sede è stato denunciato che a torto il Tribunale aveva affermato che la motivazione dallo stesso adottata con il provvedimento di reclamo sarebbe stata idonea a sostituire quella del provvedimento reclamato, la cui inadeguatezza era stata peraltro rappresentata con il primo motivo di censura. Ritiene il Collegio che sia corretta, e quindi condivisibile, la statuizione adottata dal Tribunale sul punto.
Ed infatti il giudice del merito, dopo aver evidenziato l’incidenza del provvedimento in oggetto sulla libertà personale del soggetto sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio, ha poi puntualmente richiamato i principi elaborati da questa Corte in tema di ordinanze impositive di misure cautelari, e ciò in ragione dello stretto collegamento intercorrente fra il provvedimento inflittivo della misura e quello emesso in sede di riesame, nonché dell’effetto interamente devolutivo che si determina in tale sede (C. 06/8590, C. 06/6322, C. 06/3255, C. 06/1102).
Per di più giova considerare che il penultimo comma dell’art. 35 della citata legge n. 833 (”il Tribunale provvede in Camera di Consiglio, sentito il pubblico ministero, dopo aver assunto le informazioni e raccolto le prove disposte di ufficio o richieste dalle parti”) conferisce ampio potere di indagine al tribunale, circostanza da cui ulteriormente discende che correttamente il giudice dell’impugnazione può sopperire con la propria motivazione – come si sarebbe verificato nella specie ove ritenuta inadeguata la motivazione posta a sostegno del decreto con il quale era stato disposto il ricovero del P. – alle eventuali carenze riscontrate nel provvedimento impugnato.
Né la conclusione ora rappresentata può fondatamente essere messa in discussione dagli argomenti svolti in senso contrario dal ricorrente.
Questi si è invero limitato ad evidenziare il profilo di diversità che emergerebbe fra i provvedimenti in esame e quelli restrittivi della libertà personale, diversità essenzialmente ravvisabile nei brevissimi tempi di trattazione che caratterizzerebbero detti ultimi provvedimenti. La detta diversità risulta tuttavia del tutto irrilevante, tenuto conto degli assorbenti rilievi cui si è sopra fatto cenno, consistenti nell’effetto interamente devolutivo dell’impugnazione e negli ampi poteri istruttori riconosciuti al tribunale. Per di più va ancora osservato che il Tribunale ha comunque ritenuto che i provvedimento contestati fossero adeguatamente motivati e la relativa statuizione è stata contestata in modo inadeguato, per la mancata specifica indicazione dei dati da cui poter desumere la pretesa insufficienza della motivazione.
Alla luce delle argomentazioni sinora svolte, dunque, il primo motivo di impugnazione risulta assorbito dal terzo ma, anche a voler ipoteticamente ritenere diversamente, lo stesso non sarebbe in ogni modo meritevole di accoglimento per le ragioni appena indicate.
Resta infine il secondo motivo di ricorso, con il quale il P. ha segnatamente denunciato l’insussistenza dei presupposti necessari per disporre il trattamento sanitario obbligatorio.
Anche tale doglianza risulta infondata.
L’art. 34 l. 78/833 stabilisce infatti che il trattamento in questione viene disposto quando vi sia necessità di ricorrere ad urgenti trattamenti terapeutici non accettati dal paziente, e non sussistano le condizioni per l’adozione di tempestive misure extraospedaliere.
Il giudice del merito ha quindi accertato l’esistenza dei detti presupposti avendo ritenuto, sulla base in particolare delle indicazioni del consulente tecnico a tal fine designato, che la condizione del paziente fosse grave e che la conseguente necessità del ricovero derivasse dal fatto che, al momento in cui questo era stato effettuato, il paziente si trovava in uno stato “autodistruttivo ed autolesivo sul piano personale, in quanto affetto da deliri lucidi sistematizzati in personalità paranoicale” (p. 6).
Quanto alla inevitabilità della misura adottata (sia per la mancata accettazione da parte del paziente di diversi interventi terapeutici, sia per non essere stata individuata alcuna idonea misura extraospedaliera alternativa), il tribunale ha implicitamente formulato un giudizio in tal senso, avendo specificamente precisato che il P. era andato a vivere da solo nel 2003 e da tempo aveva rifiutato di sottoporsi alle cure prescritte (p. 6, nn. 2 e 3), circostanze tutte oggettivamente idonee a far escludere che il ricorrente, pur avendone assoluta e urgente necessità, si potesse sottoporre alle misure terapeutiche prescritte dal personale sanitario intervenuto.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Redazione