Transazione, validità (Cass. n. 24164/2013)

Redazione 25/10/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ca.Be. con atto del 16 giugno 1997, conveniva in giudizio i fratelli M.P. , S. e A. nonché P.G. , chiedendo che fosse dichiarata nullo o di nessun effetto ovvero annullato l’atto di transazione in data 25 ottobre 1979 con essi stipulato a chiusura di precedenti controversie, in forza del quale ella aveva consentito loro d’installare nell’atrio di sua proprietà una fossa biologica, deducendo che era stata indotta alla conclusione dell’accordo avendo erroneamente ritenuto che i convenuti fossero stati comproprietari dell’atrio in questione, come del resto risultava dai relativi dati catastali, poi però rettificati dal competente Ufficio del territorio. La transizione era altresì invalida perché non era stata stipulata con tutte le parti interessate in considerazione del suo oggetto e della sua natura e per mancanza di controprestazioni reali in favore di essa attrice. Resisteva il solo S..M. che chiedeva la reiezione della domanda e l’adito tribunale di Massa, sezione distaccata di Pontremoli, con sentenza n.62/02 respingeva le domande attrice che condannava al pagamento delle spese processuali.

La Be. proponeva appello ribadendo di avere stipulato la transazione credendo che l’area in questione fosse comune ai M. , come risultava da un errore contenuto nella documentazione catastale poi emendata. L’adita Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 383/2007, depositata in data 29 marzo 2007, rigettava il gravame, confermando la sentenza appellata. Riteneva la Corte territoriale che detta transazione (della quale non erano stati indicati i presupposti di fatto) non poteva ritenersi invalida per i motivi esposti dall’appellante; considerava irrilevante l’errore catastale, in quanto la Be. all’atto della stipula della transazione ben conosceva in fatto la situazione dei luoghi; comunque mancava la prova che la transazione fosse stata effettuata avendo alla base il suddetto documento che poi fu riconosciuto viziato da errore, situazione questa che non emergeva né dalla dizione letterale dello stesso né era stato oggetto di prove documentali o testimoniali. Sussisteva inoltre l’elemento delle reciproche concessione richieste dalla transazione, che per la sua validità non richiedeva che fosse stata stipulato da tutti gli interessati. B.G. quindi, quale erede della Be. nel frattempo deceduta, ricorreva per la cassazione della suddetta pronunzia sulla base di n. 4 motivi. Questa Corte, con ordinanza pronunciata all’udienza del 22 giugno 2009 disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di S..M. e P..M. che erano deceduti. Espletato tale incombente, la causa perveniva all’odierna pubblica udienza.

 
MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo del ricorso l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. Deduce che la Corte distrettuale non si era pronunciata sulla domanda attrice, contenuta nell’atto introduttivo, diretta all’accertamento ed alla declaratoria per cui i fratelli M. non potevano vantare alcun diritto sull’atrio di sua proprietà.

La doglianza è infondata.

Premesso che il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. è talmente generico da essere di fatto insussistente sotto il profilo giuridico, si osserva che la Corte territoriale ha affrontato peraltro la questione in parola, allorché ha riconosciuta perfettamente valida la transazione, che tra l’altro consentiva ai M. il passaggio nell’atrio in questione.

2 – Con il 2^ motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1965 c.c. ovvero dell’art. 1418 c.c. ; ritiene che il contratto de quo sia nullo per mancanza delle “reciproche concessioni”, ovvero per mancanza (“irrazionalità”) della causa. In realtà i convenuti – che non erano comproprietari dell’atrio – stipulando la transazione di cui alle premesse, non avrebbero fatto alcuna concessione all’altro soggetto della transazione (la sig.ra Be. ): invero “soltanto qualora essi fossero stati comproprietari dell’atrio in cui la sig.ra Be. aveva fatto eseguire i lavori di manutenzione…il loro consenso avrebbe potuto pervenire ovvero far cessare una lite sulla legittimità e la regolarità giuridica e materiale dei lavori medesimi”. Insomma la transazione in questione sarebbe nulla in quanto inidonea a realizzare la causa per la quale essa è stata stipulata, ossia la messa fuori contestazione della legittimità e regolarità giuridica e materiale dei lavori interessanti l’atrio.

La doglianza è priva di fondamento.

Occorre premettere che, secondo questa S.C., ai fini di una valida conclusione di una transazione è necessario, da un lato, che essa abbia ad oggetto una “res dubia”, e, cioè, che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza, e, dall’altro, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano delle concessioni reciproche. “L’oggetto della transazione, peraltro, non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni, che possono consistere anche in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un “quid medium” tra le prospettazioni iniziali. (Cass. n. 7999 del 01/04/2010). Ciò posto, va altresì osservato che in relazione alle doglianze in esame, occorreva necessariamente conoscere il testo della transazione, che l’esponente non ha trascritto nel ricorso, non riportandone neppure i tratti essenziali interessati dalle problematiche giuridiche da lui stesso suscitate.

Si osserva in proposito che la corte territoriale invero ha puntualmente evidenziato in premessa che non erano stati documentati “i motivi per cui le parti, all’epoca della stipulazione dell’atto, erano in lite tra loro, il che non rendeva certo un particolare in questa sede decisivo, cioè se la lite concerneva la proprietà dell’atrio, come provabile, o altri motivi”; ha poi però motivatamente ritenuto esistente la controprestazione e quindi l’esistenza di quelle “reciproche concessioni” che sono proprie del contratto di transazione (…”i M. riconoscono lo stato attuale del fabbricato di proprietà ****** , e quindi tutti i cavi elettrici che sono stati sino ad oggi eseguiti, compresi i cavi elettrici che attualmente esistono nell’atrio di cui sopra”). La doglianza in esame dunque non ha pregio e va disattesa.

3 – Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1966 c.c. e dell’art. 1418 c.c. Deduce la nullità della transazione per carenza di capacità di disporre da parte dei M. , in quanto i medesimi non essendo proprietari del bene non potevano compiere alcun atto di disposizione dei diritti oggetto della lite.

4 – Con il 4^ motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione vefa art. 1429 n. 3 c.c. e 1427 c.c.; rileva che nella fattispecie la Corte ha fatto incongruo riferimento ad un errore della contraente che cadeva sui motivi che l’avevano indotto alla stipula del negozio, mancando la prova del documento che poi fu poi riconosciuto viziato; invero l’errore non cadeva sui motivi ma sulla qualità delle persone stipulanti, non correttamente ritenuti come comproprietari dell’atrio, ciò che integrerebbe un vero e proprio errore sulla loro qualità, ai sensi dell’art. 1429, 3^ co. c.c..

Entrambe tali ultime doglianze – congiuntamente esaminate in quanto strettamente connesse – sono infondate. La titolarità effettiva del diritto oggetto della transazione (tra l’altro nella fattispecie neppure precisato) può incidere sull’efficacia, ma non sulla validità del negozio. Il giudice distrettuale al riguardo ha sottolineato come mancava la prova che la transazione fosse stata effettuata avendo alla base proprio il documento poi riconosciuto viziato da errore, atteso che siffatta situazione non emergeva né dalla dizione letterale del documento stesso, né era stata oggetto di prove documentali o testimoniali. Del resto la Be. – sottolinea sempre la Corte – aveva ben chiara quale era in fatto la situazione dei luoghi e dei beni su cui si transigeva.

Ne consegue conclusivamente il rigetto del ricorso. Nulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Redazione