Tiro a volo: i pallini di piombo delle cartucce e presenti intorno all’area nella quale viene svolta l’attività costituiscono abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (Cons. Stato n. 791/2013)

Redazione 12/03/13
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FATTO e DIRITTO

Il presente giudizio trae origine dall’impugnativa proposta davanti al TAR Toscana dall’Associazione Sportiva Dilettantistica Tiro a Volo di Pisa avverso l’ordinanza comunale con cui l’amministrazione comunale le ha ordinato, ai sensi dell’art. 192 del testo unico ambiente di cui al d.lgs. n. 152/2006, di rimuovere dai terreni limitrofi al campo di tiro al piattello i pallini di piombo fuoriusciti dalle cartucce.

L’impugnativa tende a dimostrare sotto l’insussistenza dei presupposti della citata disposizione sotto vari profili:

– assenza dei presupposti dell’inquinamento e dell’abbandono incontrollato, a causa del numero esiguo di pallini rinvenuti dall’Arpa, organo sul cui accertamento è stato emesso il provvedimento impugnato;

– non riconducibilità dei medesimi pallini all’attività di tiro, visto che il poligono è dotato di adeguate misure di protezione e carenza di prova sul punto nella verbalizzazione degli accertamenti; assenza di responsabilità dell’associazione;

– mancata considerazione delle attività di recupero dei pallini e bonifica dei terreni circostanti precedentemente svolta (l’ultima nel 2009);

– inidoneità del piombo a provocare inquinamento ed erronea esclusione di tale metallo come sottoprodotto ai sensi dell’art. 184-bis d.lgs. n. 152/2006;

– illegittimità del provvedimento a causa dell’errata indicazione delle particelle catastali;

– sproporzione dello stesso.

Essa è stata disattesa dal TAR adito e riproposta in appello.

E’ inoltre censurata la statuizione con cui il Giudice di primo grado ha dichiarato che l’Arpa difetta di legittimazione passiva, in quanto mero accertatore dei fatti poi assunti a base del provvedimento impugnato. Si obietta nel pertinente motivo d’appello che nei confronti di detto organismo è stata comunque proposta domanda risarcitoria consequenziale all’accertamento di illegittimità dell’atto, rispetto alla quale anche esso deve ritenersi sottoposto.

Quest’ultimo motivo è palesemente infondato.

Come di recente precisato da questa Sezione (sentenza 6 luglio 2012, n. 3966), l’art. 41 cod. proc. amm. pone la regola secondo cui il ricorso giurisdizionale deve essere rivolto contro l’amministrazione “che ha emesso l’atto impugnato”, regola sostanzialmente riproduttiva delle precedenti previsioni dell’art. 21 della legge n. 1034/1971 e dell’art. 36, comma 2, del T.U. Cons. Stato.

Pertanto rispetto all’azione impugnatoria, tipica della giurisdizione generale di legittimità, unica legittimata passiva l’amministrazione che ha emanato l’atto impugnato, per tale dovendo intendersi quella che “ha emanato l’atto conclusivo del procedimento, e non anche agli organi o enti che ai più diversi titoli abbiano potuto partecipare alla procedura” (così nella citata sentenza), a meno che a questi non sia imputabile giuridicamente una determinazione di volontà che abbia concorso alla formazione dell’atto conclusivo (ad es. in caso di concerto).

Questo Collegio non ritiene di potersi discostare da tale precedente, riposando esso su consolidati principi ed incontroversi dati normativi.

Del pari, nella pronuncia in commento si è condivisibilmente affermato che questa regola “si riflette inevitabilmente sulla problematica della legittimazione riguardante l’azione risarcitoria”, quando con essa si fa valere il danno da illegittimità provvedimentale, e cioè di un danno meramente consequenziale all’accertamento di illegittimità insito nell’accoglimento dell’azione impugnatoria.

Venendo ai motivi di impugnazione del provvedimento, può innanzitutto rilevarsi che l’errata indicazione delle particelle catastali non è idoneo ad inficiarne la validità quante volte non sussistano dubbi sul relativo oggetto. Il che è proprio il caso dell’ordinanza impugnata nel presente giudizio, non essendovi alcuna incertezza circa i terreni interessati dal provvedimento, tanto è vero che la stessa associazione odierna appellante ha potuto prendere specifica posizione sul punto, deducendo, tra l’altro, che i propri rappresentanti li hanno acquistati al fine di prevenire contestazioni con altri soggetti per fatti analoghi e che sugli stessi sono state fatte nel recente passato operazioni di bonifica.

Per quanto concerne la censura con la quale si contesta che i pallini rilevati dagli incaricati dell’Arpa siano riconducibili all’attività di tiro svolta nel poligono, è sufficiente notare, in contrario: che essa è in manifesta contraddizione con il fatto, riferito dalla stessa appellante, delle operazioni di recupero dei pallini e bonifica svolte nel recente passato; che la stessa adduce a confutazione un’evenienza alternativa del tutto ipotetica e cioè che si tratti di residui dell’attività venatoria svolta in quei luoghi, inidonea ad infirmare la plausibilità dell’inferenza posta a base dell’ordinanza, la quale è quella indubbiamente più probabile e dunque idonea a supportare il ragionamento probatorio contenuto nel provvedimento.

Dalle risultanze dell’istruttoria procedimentale non è infatti contestato che gli incaricati dell’ARPAT abbiano accertato, dandone atto nel verbale di sopralluogo, che nei terreni circostanti al campo di tiro erano presenti dei pallini di piombo.

Gli stessi hanno anche riferito di avere udito alcuni pallini cadere al di là delle reti.

Vi è dunque un fatto noto: la presenza di pallini di piombo, intorno ad un’area nella quale viene svolta attività di tiro a volo.

Il fatto è poi sufficientemente circostanziato, essendo forniti precisi ragguagli sull’area interessata dalla presenza dei pallini: “nella zona esterna al campo […] per una fascia di alcune decine di metri oltre il terrapieno e la recinzione laterale”, con relativa documentazione fotografica.

Tale notazione è sufficiente a ritenere che tali residuati dello sparo delle armi provengano dal campo di tiro dell’associazione odierna appellante. Né la stessa può ritenersi smentita dalla consulenza tecnica di parte ricorrente in primo grado, perché questa si fonda su ipotesi e ricostruzioni balistiche, la cui attendibilità è tuttavia inficiata dal solo fatto storico accertato dall’ARPAT.

Anche le deduzioni in cui si sostanzia il presente appello non vanno al di là di una mero dubbio che gli accertatori abbiano errato a ricondurre la presenza dei pallini all’attività di tiro nonostante la presenza di barriere protettive.

Con riguardo alla circostanza della caduta dei pallini rappresentata nel verbale di sopralluogo, l’appellante assume si tratti di accertamento influenzato dalla percezione sensoriale degli operanti, come tale suscettibile di errore.

Questa difesa riposa tuttavia su una mera congettura, che oltretutto non tiene conto del fatto che la caduta di pallini di piombo non richiede spiccate doti sensoriali, per cui la circostanza in questione può dirsi provata.

Si può dunque concludere sul punto nel senso che la contestazione giurisdizionale dell’attività istruttoria alla base del provvedimento impugnato non coglie nel segno.

Esaminando poi la doglianza relativa alla suddetta attività di bonifica, non è possibile annettere ad essa alcun rilievo in grado di superare le risultanze dell’istruttoria dell’ARPAT, visto che per stessa ammissione dell’associazione appellante questa è stata fatta nel 2009, a distanza dunque di due anni dagli accertamenti alla base del provvedimento impugnato.

Deve poi essere disatteso l’assunto secondo cui non sussistono i presupposti di legge per l’emissione dell’ordine di rimozione a causa dell’assenza di pericoli di inquinamento.

L’ordine in questione è infatti legittimamente emanabile sulla base di una situazione di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti.

Esso, più precisamente costituisce una misura di tipo reintegratorio, volta cioè a ripristinare lo status quo e cioè ad eliminare la presenza di rifiuti, con funzione preventiva e dunque a prescindere dall’esistenza di una situazione di inquinamento ambientale, la quale – come puntualmente ricordato dal TAR – legittima il diverso ordine di bonifica.

Ebbene, che si tratti di situazione abbandono risulta ancora una volta comprovato sulla base delle risultanze del sopralluogo effettuato dall’ARPAT, in correlazione al fatto che l’ultimo intervento di pulizia dei luoghi è stato fatto, per ammissione della stessa associazione appellante, due anni prima dei fatti di causa.

Va poi rimarcato sul punto che la suddetta funzione preventiva, cui si informa la complessiva architettura del sistema di vigilanza in materia ambientale, è idoneo a ricondurre alla nozione prevista dall’art. 192 anche un abbandono occasionale ed in misura limitata (cfr. Cass. pen, sez. III, 15 aprile 2004, n. 25463).

Non è positivamente apprezzabile nemmeno il motivo tendente a censurare la sproporzione dell’ordine di rimozione contestato, essendo questo vincolato una volta accertato il presupposto fattuale dell’esistenza di un abbandono o di un deposito incontrollato di rifiuti, coerentemente con la funzione ripristinatoria dello stesso.

Né tale sproporzione può essere ricavata in ragione dei costi che l’associazione dovrebbe sostenere per la rimozione (79 mila euro oltre ***, sulla base del preventivo prodotto in primo grado), trattandosi di circostanza del tutto irrilevante ed estranea al sindacato di legittimità, sotto questo profilo, dell’atto impugnato.

Peraltro, il numero e la complessità delle lavorazioni necessarie all’esecuzione dei lavori, quali indicate nel citato preventivo, fornisce conferma della legittimità dell’ordine di rimozione ed in particolare dell’esistenza di una situazione di abbandono di rifiuti cui far fronte nel rispetto della vigente normativa.

In ragione di tutto quanto sopra osservato l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della decisione di primo grado, ma le spese di causa possono essere integralmente compensate tra tutte le parti in considerazione della complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012

Redazione