Terreni edificabili: il fisco ha tre anni di tempo per contestare la perdita dei requisiti per il bonus riconosciuto dall’art. 33 della l. 388/2000 (Cass. n. 27484/2013)

Redazione 09/12/13
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La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. *******************,
letti gli atti depositati
Osserva:
La CTR di Venezia ha accolto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro la sentenza n.89/03/2009 della CTP di Venezia che aveva accolto il ricorso della parte contribuente “L. srl”- ed ha così confermato l’avviso di liquidazione ed irrogazione sanzioni afferente ad imposta registro, ipotecaria e catastale su atto di compravendita di data 28.3.2002, avviso fondato sulla revoca dell’agevolazione ex art. 33 legge l. 388/2000 (per l’acquisto di immobili in aree soggette a piani particolareggiati) a causa dell’intervenuta rivendita dell’immobile prima del decorso del quinquennio e senza che l’acquirente ne avesse fatto utilizzo a fini edificatori.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che l’eccezione della parte contribuente (relativa alla decadenza dal potere impositivo per il decorso di anni tre dal momento della rivendita del terreno) non fosse condivisibile, atteso che la parte contribuente (a termini dell’art. 19 del DPR n. 131/1986) al momento di rivendere il terreno avrebbe dovuto comunicare il mancato avveramento della condizione e l’Ufficio avrebbe così potuto liquidare le maggiori imposte dovute; in difetto di siffatta comunicazione, la liquidazione della maggiore imposta restava soggetta al termine di anni cinque decorrenti dal giorno in cui avrebbe dovuto essere presentata la denuncia di mancato avveramento della condizione, termine che era stato prorogato dall’art. 11 della legge 289/2002 e che perciò sarebbe scaduto il 6.12.2009 (data posteriore a quella di notifica dell’avviso di liquidazione).
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art.76 del DPR n. 13/1986 e dell’art.17 D.Lgs. n.347/1990) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice dell’appello non abbia ritenuto maturato il termine di decadenza dal potere impositivo di anni tre, decorrenti dalla successiva rivendita del terreno, siccome previsto dalle norme dianzi menzionate.
Il motivo appare fondato e da accogliersi.
Ed invero, secondo ************* ormai costante di questa Corte, applicabile anche alla presente fattispecie, per quanto pronunciato fin qui esclusivamente in materia di revoca del beneticio relativo all’acquisto della prima casa di abitazione: “in tema di decadenza dalle agevolazioni <prima casa>, di cui all’art. 1, comma sesto, legge 22 aprile 1982, n. 168 (e di altre analoghe previsioni legislative), per tatti sopravvenuti, non trovano applicazione gli artt. 18 d.P.R. n. 634 del 1972 e 19 d.P.R. n. 131 del 1986 che stabiliscono l’obbligo, per i contraenti o per i loro aventi causa, di denunciare all’Ufficio (entro venti giorni) il verificarsi di eventi che danno luogo ad ulteriore liquidazione d’imposta. Ne consegue che anche in caso di mancata utilizzazione del bene, inizialmente utilizzabile, il contribuente non ha l’obbligo di denunciare i fatti causativi della sopravvenuta sua decadenza dai benefici fiscali e la decadenza triennale dell’azione della finanza non decorre, dalla tempestiva presentazione di tale denuncia (o, addirittura, nell’ipotesi dell’omessa o della tardiva presentazione della denuncia, nel termine di cinque anni, dalla data in cui la stessa si sarebbe dovuta presentare), ma dal giomo in cui il proposito del contribuente sia rimasto ineseguito o sia divenuto ineseguibile” (all’origine dell’indirizzo Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12988 del 05/09/2003, cui hanno fatto seguito Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13491 del 26/05/2008 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16369 del 17/06/2008).
Ed invero, in tema di fatti sopravvenuti comportanti decadenza dalle agevolazioni previste dalla legge, non trovano applicazione l’art. 18 del d.P.R. n. 634 del 1972 e l’art. 19 del d.P.R. n. 131 del 1986 (che si riferiscono ad ipotesi diverse, stabilendo l’obbligo, per i contraenti o per i loro aventi causa, di denunciare all’ufficio -entro venti giorni- il verificarsi di eventi che danno luogo ad ulteriore liquidazione d’imposta -come nel caso di avveramento della condizione sospensiva e simili evenienze- e non già a perdita di benefici): non può, quindi accedersi alla tesi per la quale vi sarebbe l’obb|igo di denunciare i fatti di sopravvenuta decadenza dai benefici, con correlativa decadenza dell’azione dell`Amministrazione nel termine di tre anni dalla (tempestiva) presentazione della denuncia, ovvero di cinque anni dalla data in cui la denuncia si sarebbe dovuta presentare (ove non presentata o presentata tardivamente).
Non resta che concludere che la pronuncia del giudice d’appello -che non ha fa applicazione dei predetti principi- merita cassazione (con assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione), sicchè la Corte potrà provvedere anche nel merito(annullando il provvedimento impositivo), atteso che non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consigiio per ragione di manifesta fondatezza.
Roma, 30 marzo 20l3.
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notiticata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio (e dato atto che per mero errore nella relazione si dice che la parte contribuente si è difesa, mentre invece quest’ultima ha omesso di costituirsi in giudizio), condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite possono essere regolate secondo il criterio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla il provvedimento impositivo qui oggetto di esame. Condanna l’Agenzia a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 3.700,00 oltre € l00,00 per esborsi ed oltre accessori di legge, compensando tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2013.

Redazione