L’informativa interdittiva antimafia

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T.A.R. Sicilia, sede di Catania, Ordinanza cautelare n° 296 del 10.04.2020.

 

Informativa interdittiva antimafia: sospensione cautelare del provvedimento per inattualità del pericolo di infiltrazione mafiosa, da valutarsi anche in relazione all’incidenza dei c.d. “reati spia”.

L’informativa interdittiva antimafia.

L’informativa interdittiva antimafia costituisce uno strumento disciplinato ex artt. 90 e ss del Codice Antimafia[1], finalizzato al contrasto di fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’ambito dei rapporti economici con la pubblica amministrazione.

L’art. 91 del Codice stabilisce infatti che – prima di stipulare contratti e subcontratti di valore superiore alle soglie economiche ivi elencate – i soggetti indicati nel precedente art. 83[2] debbano acquisire la c.d. “informazione antimafia”, consistente:

– nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 e scaturenti da una delle misure di prevenzione personale previste dallo stesso Codice;

– nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.

Tale informazione è rilasciata dal Prefetto territorialmente competente, eseguiti gli approfondimenti istruttori previsti dal Codice.

Una volta adottata, l’interdittiva è tempestivamente comunicata ai soggetti elencati dall’art. 91, comma 7bis, tra cui quello che ha richiesto l’informazione e che – a norma del successivo art. 94 – non può stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni nei confronti dell’impresa destinataria dell’atto.

L’adozione di informazione interdittiva antimafia, pertanto, mira ad estromettere le imprese ritenute soggette a rischio di infiltrazione mafiosa da qualsivoglia rapporto di natura economica con l’amministrazione pubblica.

I c.d. “reati spia”.

Preliminarmente osservati i tratti costitutivi dell’istituto in esame, l’art. 84, comma 4, lett. a) del Codice Antimafia stabilisce che il pericolo di infiltrazione mafiosa sotteso all’adozione di informazione antimafia interdittiva è desunto “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356” .

Trattasi dei c.d. “reati spia”, ovverosia di condotte che riflettono in sé il pericolo di infiltrazione mafiosa, in quanto si tratta di fattispecie che destano maggiore allarme sociale, intorno alle quali con maggiore regolarità statistica gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso […]”[3]

Pertanto, la lettera dell’art. 84, comma 4, lett. a) parrebbe concernere un’ipotesi di interdittiva antimafia imposta dalla mera sussistenza di uno dei provvedimenti penali indicati dalla stessa: “Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte […]”.

L’espressione utilizzata dal Legislatore (“sono desunte”), difatti, sembrerebbe escludere la necessità di qualsiasi altra valutazione in capo all’organo prefettizio: in tal senso, militano alcuni orientamenti del Consiglio di Stato[4], tra cui la poc’anzi citata Sentenza n° 6707/2018, nella quale si legge che “ove il Prefetto abbia contezza della commissione di taluni dei delitti menzionati nell’art. 84, comma 4, lett a), e sino quando non intervenga una sentenza assolutoria, deve limitarsi ad ‘attestare’ la sussistenza del rischio infiltrativo […]”.

In giurisprudenza amministrativa, comunque, tale orientamento non è pacifico: in altre occasioni, difatti, lo stesso Consiglio di Stato ha affermato che – anche in presenza di reati spia – l’emissione di interdittiva antimafia non costituisce un atto vincolato ed il prefetto è comunque tenuto ad un autonomo apprezzamento, nel suo contenuto intrinseco, delle risultanze penali, senza istituire un automatismo tra l’emissione del provvedimento cautelare in sede penale e l’emissione dell’informativa ad effetto interdittivo.”[5]

La discrezionalità amministrativa sottesa al rilascio di informazione interdittiva antimafia: le ipotesi previste dall’art. 84, comma 4, lett. d) ed e) e dall’art. 91, comma 6 del Codice.

Come osservato nel paragrafo che precede, parte della giurisprudenza ritiene che la ricorrenza dei c.d. “reati spia” sia da sola sufficiente ad integrare il rilascio di informativa interdittiva antimafia, senza necessità di approfondimenti ulteriori.

Per altro verso, il combinato disposto tra le lettere d) ed e) dell’art. 84, comma 4 e l’art. 91, comma 6 del Codice Antimafia istituiscono un vero e proprio meccanismo di chiusura, che consente al prefetto di valutare qualsiasi elemento da egli ritenuto sintomatico del rischio di infiltrazione mafiosa.

L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), difatti, stabilisce che tale rischio può essere desunto da accertamenti ritenuti opportuni e posti in essere dal prefetto competente, con possibilità di delega alle prefetture di altre province (in caso di indagini da effettuarsi nel territorio di relativa competenza).

L’art. 91, comma 6, inoltre, consente al Prefetto di “desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.

In altre parole, attraverso le poc’anzi menzionate disposizioni, il pericolo di infiltrazione mafiosa può essere desunto da qualunque elemento ritenuto sintomatico secondo la valutazione discrezionale del prefetto, oltre che da provvedimenti di condanna per reati ugualmente strumentali all’attività delle organizzazioni criminali (ma non elencati tra quelli “spia”), da valutarsi unitamente ad ulteriori fattori che rendano concreto detto pericolo.

La discrezionalità amministrativa conferita dalle norme in esame ha indotto la giurisprudenza ad elaborare criteri per stabilire la legittimità delle valutazioni compiute dagli organi di governo in sede di interdittiva: così come pacificamente sostenuto dal Consiglio di Stato, difatti, la valutazione compiuta dal prefetto è “sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti”[6], mentre al giudice amministrativo è precluso l’accertamento dei fatti posti a fondamento dell’atto.

Il sindacato giurisdizionale dell’ultimo decennio risulta così imperniato sulla regola causale del “più probabile che non”, in base alla quale il pericolo di infiltrazione mafiosa può esser desunto da elementi indizianti gravi, precisi ed attuali, dai quali è presuntivamente possibile pervenire alla ragionevole conclusione della sussistenza di tale rischio.[7]

Nell’ambito della discrezionalità valutativa attribuita al prefetto, pertanto, l’attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce un presupposto indefettibile dell’informativa interdittiva, legittima soltanto laddove il rischio di inquinamento mafioso risulti concreto ed attuale in base alla regola del “più probabile che non”.

La statuizione del T.A.R. Catania.

Nei paragrafi che precedono, è stata analizzata la rilevanza dei reati spia del pericolo di infiltrazione mafiosa ai fini dell’interdittiva prevista all’art. 84, comma 4, lett. a)), oltre alla discrezionalità amministrativa che caratterizza l’intera materia.

La fattispecie al vaglio del Giudice catanese verte sull’emanazione di un provvedimento interdittivo emesso nei confronti di un’impresa amministrata dalla moglie di un soggetto condannato per uno dei reati spia, ma in epoca risalente.

Sul punto, si rammenta che l’art. 85, comma 3 del Codice stabilisce che l’informazione antimafia debba riguardare anche i familiari conviventi dei soggetti indicati nei commi precedenti (tra cui, naturalmente, il legale rappresentante dell’impresa soggetta a verifiche), mentre l’art. 91, comma 5 attiribuisce al prefetto la facoltà di estendere le proprie indagini a chiunque risulti poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa.

Il caso in esame rientrerebbe così nel campo di applicazione dell’art. 84, comma 4, lett. a), attesa la sussistenza di un precedente penale per reato spia a carico di un familiare convivente del legale rappresentate dell’impresa verificata.

Ciononostante, il T.A.R. Catania ha ritenuto di sospendere il provvedimento gravato, sulla scorta della considerazione del fatto “che i rilievi mossi al coniuge di parte ricorrente, seppur riferiti anche a reati spia, non sembrano attuali, ma sono riferibili a eventi datati nel tempo”.

Così statuendo, pertanto, il T.A.R. ha fatto applicazione della regola del “più probabile che non” e della necessaria attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa anche per una fattispecie rientrante nell’alveo di applicazione dell’art. 84, comma 4, lett. a), il quale – secondo parte della giurisprudenza – imporrebbe l’attestazione del rischio di inquinamento in virtù della mera ricorrenza di uno dei reati elencati dalla norma.

Trattasi dunque di un pronunciamento assolutamente degno di nota, che si innesta nel solco di quella giurisprudenza che postula la valutazione dell’attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa in ogni fattispecie concreta, anche in presenza di precedenti penali per reati spia.

 

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Note

[1] Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n° 159.

[2] Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici.

[3]     Cons. Stato, sez. III, Sent. 6707/2018.

[4]     Ex multis, Cons. Stato, sez. III, Sent. 4555/2016, ove si legge che “la valenza astrattamente sintomatica delle vicende penali contemplate dall’art. 84, comma 4, lett. a), non necessita, a differenza di quanto può dirsi per la fattispecie di cui all’art. 91, comma 6, di ulteriori e concreti elementi che dimostrino l’effettività del rischio infiltrativo”.

[5] ex multis, Cons. Stato, sez. III, sentt. n. 758/2019, n. 1743/2016; n. 204/2013

Sentenza collegata

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Francesco Poliselli

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