Tar Lazio: la natura pubblica delle Casse di previdenza è stata riconosciuta da una fonte primaria e non provvedimentale (TAR Lazio, n. 5938/2013)

Redazione 12/06/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10353 del 2012, proposto da:

Adepp Associazione degli Enti Previdenziali Privati ed Altri, *************** di Previdenza ed Assistenza Forense, ************** di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, *************** del Notariato, *************** di Previdenza ed Assistenza A Favore dei Ragionieri e ******************, Enpab Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza A Favore dei Biologi, Enpacl Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Per i Consulenti del Lavoro, Enpav Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Veterinari, Eppi Ente di Previdenza dei Periti Industriali, Fondazione Fasc-Fondo Naz. Previdenza per ********** delle Imprese di Spedizione, Corrieri e delle Agenzie Marittime Raccomandatarie e *******************, Inarcassa Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Per Gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani Inpgi “Giovanni Amendola”, **********************************************************, Enpap Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Per Gli Psicologi, Enpapi Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza della Professione Infermieristica, *************** di Previdenza e Assistenza dei Farmacisti, Ente di Previdenza ed Assistenza Pluricategoriale Epap, Fondazione Enpaia Ente Nazionale di Previdenza Per Gli Addetti e Per Gli Impiegati in Agricoltura, Fondazione Enpam Ente di Previdenza dei Medici e degli Odontoiatri, *************** di Previdenza e Assistenza A Favore dei Dottori Commercialisti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. *************** e *************, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Lungotevere ****************, 9;

contro

Istat – Istituto Nazionale di Statistica, in persona del legale rappresentante p.t., Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona dei rispettivi Ministri p.t., rappresentati e difesi per legge dall’ Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dagli avv.ti, ***************, ********************, *************** e ********************, presso i quali domicilia in Roma, via della Frezza, 17;

sul ricorso numero di registro generale 10354 del 2012, proposto da:

Adepp Associazione degli Enti Previdenziali Privati ed Altri, *************** di Previdenza ed Assistenza Forense, ************** di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, *************** del Notariato, *************** di Previdenza ed Assistenza A Favore dei Ragionieri e ******************, Enpab Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza A Favore dei Biologi, Enpacl Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Per i Consulenti del Lavoro, Enpav Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Veterinari, Eppi Ente di Previdenza dei Periti Industriali, Fondazione Fasc-Fondo Naz. Previdenza per ********** delle Imprese di Spedizione, Corrieri e delle Agenzie Marittime Raccomandatarie e *******************, Inarcassa Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Per Gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani Inpgi “Giovanni Amendola”, **********************************************************, Enpap Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Per Gli Psicologi, Enpapi Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza della Professione Infermieristica, *************** di Previdenza e Assistenza A Favore dei Dottori Commercialisti, *************** di Previdenza e Assistenza dei Farmacisti, Ente di Previdenza ed Assistenza Pluricategoriale Epap, Fondazione Enpaia Ente Nazionale di Previdenza Per Gli Addetti e Per Gli Impiegati in Agricoltura, Fondazione Enpam Ente di Previdenza dei Medici e degli Odontoiatri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. *************** e *************, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Lungotevere ****************, 9;

contro

Istat – Istituto Nazionale di Statistica, in persona del legale rappresentante p.t., Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona dei rispettivi Ministri p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dagli avv.ti, ***************, ********************, *************** e ********************, presso i quali domicilia in Roma, via della Frezza, 17;

per l’annullamento, previa sospensione,

1) quanto al ricorso n. 10353 del 2012:

della nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, prot. n. 13406 del 21 settembre 2012, a firma del Direttore Generale e di tutti gli atti presupposti, consequenziali e comunque connessi, ed in particolare: a) della Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale di Finanza, Ufficio II, prot. n. 0076151, n. 28, del 7 settembre 2012; b) del Comunicato dell’ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica recante “Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della L. 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica) (1112797), pubblicato in G.U. n. 228 del 30 settembre 2011.

2) quanto al ricorso n. 10354 del 2012:

del comunicato dell’Istat, recante “Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuale ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della L. 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e di finanza pubblica). (12A10257)”, pubblicato in G.U. n. 227 del 28 settembre 2012 e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, ancorchè non conosciuti dalle ricorrenti.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione nei giudizi dell’Istat – Istituto Nazionale di Statistica, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nonchè di Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con i relativi allegati;

Visto l’atto di rinuncia depositato dall’Enpaf nel ricorso n. 10353/12;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. ************ e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo

Gli enti in epigrafe, con due distinti ricorsi a questo Tribunale notificati rispettivamente il 20 novembre 2012 (ric. n. 10353/12) e il 27 novembre 2012 (ric. n. 10354/12) e depositati entrambi il successivo 5 dicembre, chiedevano l’annullamento, previa sospensione, dei provvedimenti pure indicati in epigrafe, quali essenzialmente una nota del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 21 settembre 2012 adottata in attuazione dell’art. 8, comma 3, D.L. n. 95 del 2012, e i relativi atti presupposti, tra cui l’”elenco” delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della L. 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica) (11A12797), pubblicato in G.U. n. 228 del 30 settembre 2011 (ric. n. 10353/12) nonché il successivo “elenco”, pubblicato in G.U. n. 227 del 28 settembre 2012 (ric. n. 10354/12).

Ricordando le vicende, anche con i relativi sviluppi giudiziari all’epoca non definiti, che avevano visto l’inserimento ancora da ultimo delle Casse previdenziali private nell’”elenco Istat” di cui all’art. 1, L. n. 196 del 2009, sia in relazione a quello pubblicato in G.U. nell’anno 2011 – che aveva dato luogo all’adozione della su richiamata nota ministeriale impugnata – sia in relazione a quello pubblicato in G.U. nel 2012, i ricorrenti, in sintesi, lamentavano quanto segue.

Quanto al ric. n. 10353/12:

“1. Illegittimità derivata per illegittimità del Comunicato dell’Istat – Istituto Nazionale di Statistica recante “Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della L. 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica) (1112797), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie ********, n. 228 del 30 settembre 2011”.

L’elenco del 2011, che costituiva l’unico presupposto della nota ministeriale impugnata, era stato dichiarato illegittimo, nella parte in cui contemplava anche le Casse previdenziali private, con sentenza di questo Tribunale, Sez. III quater n. 224/12, sia pur sospesa in sede cautelare d’appello dal Consiglio di Stato, e in tal senso i ricorrenti riproponevano le medesime censure già indicate nel giudizio concluso con la medesima sentenza n. 224/12, quali: “1.1. Violazione del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e del D.Lgs. n. 103 del 1996″; ” 1.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. 31 dicembre 2009, n. 196. Eccesso di potere per sviamento”; “1.3. Incompetenza. Eccesso di potere per sviamento”; “1.4. Violazione e falsa applicazione, per altro profilo, del Regolamento UE n. 2223/96 (SEC 95), recante ‘Regolamento del Consiglio relativo al Sistema Europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità’. Inosservanza del manuale del SEC sul disavanzo e sul debito pubblico”: “1.5. In subordine. Illegittimità derivata per l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della L. n. 196 del 2009, per violazione degli artt. 3, 23 e 38 Cost.”.

“2. Difetto assoluto di motivazione. Difetto di istruttoria”

L’elenco Istat 2011 non era in alcun modo motivato e non era quindi possibile ricostruire l’”iter” logico che aveva nuovamente portato all’inclusione nello stesso delle Casse ricorrenti.

“3. In subordine. Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del D.L. n. 95 del 2012 in riferimento agli artt. 3, 23, 33, 36 e 38 della Costituzione”.

La nota impugnata era applicativa dell’art. 8, comma 3, D.L. n. 95 del 2012 ma tale norma violava le disposizioni costituzionali in rubrica, perché non considerava la peculiare posizione delle Casse rispetto alle altre amministrazioni pubbliche nonché quella dei professionisti iscritti rispetto agli altri cittadini (art. 3 Cost.), depauperava il monte delle contribuzioni degli iscritti vanificando il fine solidaristico alla base della contribuzione privata (artt. 33, 36 e 38 Cost.), imponeva criteri gravosi di prelievo senza indicazioni legislative sufficienti (art. 23 Cost.).

2) Quanto al ric. n. 10354/12:

“1. Violazione del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e del D.Lgs. n. 103 del 1996”

Non erano state correttamente considerate la “privatizzazione” delle Casse di cui al D.Lgs. n. 509 del 1994 e la loro piena autonomia, la mancata usufruizione di finanziamenti pubblici, l’assenza di poteri di ordine o direttiva, tutti elementi che escludevano la qualificazione di “soggetto pubblico” nei confronti dei ricorrenti.

“2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. 31 dicembre 2009, n. 196. Eccesso di potere per sviamento”.

L’art. 1, comma 3, L. n. 196 del 2009 non indicava limiti e criteri di esercizio del potere dell’Istat ai fini della redazione dell’elenco in questione e delle modalità con cui individuare i soggetti che concorrono alla spesa pubblica (in tal senso intendendosi la locuzione “finanza pubblica” di cui alla norma), tra cui non rientravano comunque le Casse ricorrenti; inoltre, il potere di identificazione delle amministrazioni pubbliche a tale fine era stato usato in modo sviato.

“3. Incompetenza. Eccesso di potere per sviamento”.

L’Istat aveva effettuato l’inserimento nell’elenco ricorrendo all’identificazione di caratteristiche giuridiche dei soggetti ma ciò esulava dai suoi poteri, perché l’Istituto può utilizzare solo mere regole tecnico-statistiche, come desumibile anche dall’audizione del Presidente dell’Istat pro tempore presso la competente Commissione parlamentare in data 20.1.2011.

“4. Violazione e falsa applicazione del Regolamento UE n. 2223/96 (SEC 95), recante ‘Regolamento del Consiglio relativo al Sistema Europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità”. Inosservanza del manuale del SEC sul disavanzo e sul debito pubblico”.

L’Istat aveva erroneamente ritenuto che le Casse ricorrenti dovessero rientrare nella categoria S.13 delle Amministrazioni pubbliche di cui al Regolamento in rubrica, come già rilevato da questo Tribunale con la sentenza n. 224/12, di cui erano riportati alcuni incisi, e stante la loro autonomia organizzativa e gestionale collegata alla loro autonomia finanziaria.

“1.5. In subordine. Illegittimità derivata per l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della L. n. 196 del 2009, per violazione degli artt. 3, 23 e 38 Cost.”.

Per le ricorrenti, la norma di cui all’art. 1, comma 2, L. n. 196 del 2009 violava comunque diversi parametri costituzionali, in riferimento agli artt. 3, 33, 36 e 38 Cost., per i motivi già sostanzialmente evidenziati nell’analoga doglianza di cui al ric. n. 10353/12.

“6. Difetto assoluto di motivazione. Difetto di istruttoria.”

L’Istat non aveva in alcun modo motivato l’inserimento nel “nuovo” elenco del 2012 omettendo anche ogni approfondimento in sede istruttoria.

Si costituivano nei due giudizi l’Istat e le Amministrazioni centrali indicate in epigrafe, chiedendo la reiezione dei ricorsi. In particolare, l’Istat eccepiva, in merito al ricorso n. 10353/12, la tardività dell’impugnazione dell’elenco Istat del 2011, pubblicato sulla G.U. del 30.9.2011, e la sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere, in virtù della successiva inclusione delle ricorrenti anche nell’elenco del 2012 (peraltro oggetto di impugnazione con il ric. n. 10354/12).

Si costituiva formalmente anche l’Inps, rimettendosi sostanzialmente alla decisione di questo Tribunale.

Alla camera di consiglio per la trattazione delle domande cautelari, in prossimità della quale i ricorrenti depositavano memorie nei due giudizi, era disposto rinvio, su istanza di parte, alla trattazione del merito.

Con atto sottoscritto dal difensore, e depositato nel ric. n. 10353/12, l’Enpaf, Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Farmacisti, dichiarava di rinunciare al ricorso.

In prossimità della pubblica udienza i ricorrenti depositavano memorie ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 22 maggio 2013 le cause erano trattenute in decisione.

Motivi della decisione

Il Collegio, preliminarmente, ritiene di disporre la riunione dei ricorsi al fine di deciderli con un’unica sentenza, attesa la connessione soggettiva e parzialmente oggettiva degli stessi.

Sempre preliminarmente, il Collegio prende atto della rinuncia al ricorso n. 10353/12 con atto sottoscritto dal legale dell’Enpaf e ritualmente notificato.

Passando all’esame dei ricorsi, in relazione a quello n. 10353/12, il Collegio non può esimersi dal richiamare la sentenza della Sezione Sesta del Consiglio di Stato, 28.11.2012, n. 6014 che, nelle more, ha riformato la sentenza n. 224/12 di questo Tribunale più volte richiamata dai ricorrenti, nell’ambito di un giudizio in cui era costituita proprio anche l’Adepp unitamente ad altre Casse di previdenza.

Tale sentenza di secondo grado ha definitivamente sancito la legittimità dell’elenco Istat pubblicato nel 2011, contenente l’inserimento delle ricorrenti, e oggetto di impugnazione – sia pure quale atto presupposto – con il ricorso n. 10353/12, per cui il Collegio ritiene che non possa trovare ingresso nel relativo contenzioso oggi in esame alcun ulteriore argomentazione avverso quel particolare elenco – ferma restando la tardività dell’impugnazione se considerata autonomamente – pena la violazione del principio del “ne bis in idem”.

Le ricorrenti, per la verità, hanno sufficientemente chiarito di non aver inteso impugnare (nuovamente e) autonomamente tale elenco ma di averlo evidenziato solo in quanto l’impugnata (in via principale) nota ministeriale del 21.9.2012 faceva ad esso riferimento ed era stata adottata solo in ragione della loro inclusione nell’elenco Istat in questione, tanto da lamentare con il primo motivo di ricorso unicamente vizi di “illegittimità derivata”, riportando le sei doglianze con le quali avevano già censurato il suddetto elenco del 2011.

Sotto tale profilo, quindi, non rileva l’eccezione di tardività del ricorso n. 10353/12, in quanto oggetto di impugnazione risulta in via principale la nota ministeriale del 21.9.12 per la quale il gravame è in termini, fermo restando e salvo quanto sarà in prosieguo evidenziato.

Così pure non si rileva la sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere in seguito alla nuova inclusione nell’elenco del 2012, dato che i ricorrenti comunque, nell’impugnare autonomamente la nota ministeriale suddetta, prospettano con il terzo motivo, sia pure in via subordinata, profili autonomi di incostituzionalità della norma di cui all’art. 8, comma 3, D.L. n. 95 del 2012, di cui la nota in questione costituisce applicazione.

In ordine, quindi, al merito del ricorso n. 10353/12, come anticipato, il Collegio non può però che richiamare la suddetta sentenza del Consiglio di Stato, che, nel riformare quella di primo grado di questo TAR, in relazione alle censure dell’Adepp e degli altri ricorrenti, ha precisato che “…l’attrazione degli enti previdenziali – originari ricorrenti – nella sfera privatistica operata dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalità giuridica, ma lascia ferma l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione (art. 1 d.lgs. cit.); la natura di pubblico servizio, in coerenza con l’art. 38 Cost., dell’attività da essi svolte (art. 2); il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale (art. 3, per il cui comma 2 tutte le deliberazioni in materia di contributi e di prestazioni, per essere efficaci, devono ottenere l’approvazione dei Ministeri vigilanti), e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l’efficacia (art. 3). Inoltre, il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme alla obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli Enti previdenziali privatizzati dall’art. 1 comma 3 del predetto decreto legislativo, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali. Tale conclusione è resa ancor più evidente dalla attrazione del settore della previdenza privata nella normativa dettata in tema di controllo del disavanzo del settore (si veda la L. 23 dicembre 1996, n. 662, relativa a misure di razionalizzazione della finanza pubblica, e la L. 8 agosto 1995, n. 335. che, nel riformare il sistema pensionistico obbligatorio e complementare per l’esigenza di stabilizzazione della spesa nel settore, ha specifica attinenza anche alle forme garantite dagli Enti privatizzati). La trasformazione operata dal D.Lgs. n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo.”.

Inoltre, aggiungeva il Consiglio di Stato, in relazione ad appello incidentale degli “enti previdenziali” che “…la qualificazione delle Casse private di assistenza e previdenza, e la conseguente loro inclusione nell’elenco di cui si tratta, non è frutto di illogicità, ma corrisponde ai principi, sopra esaminati, correttamente applicati dall’Istat: è quindi infondato il primo motivo dell’appello, con il quale si ripropone il secondo motivo di ricorso, già respinto dal Tar. Parimenti infondato è il secondo mezzo, relativo alla reiezione del sesto motivo del ricorso di primo grado, poiché l’elenco predisposto dall’Istat trova nella conformità al parametro normativo la propria giustificazione, senza necessità di ulteriore motivazione, né di specifica istruttoria.

Come ha ritenuto il Tar nel respingere il settimo motivo del ricorso, la natura certificativa dell’elenco in questione esimeva l’Istituto dal seguire gli oneri procedimentali mediante la comunicazione dell’avvio del procedimento, proprio perché, come si è detto, l’inclusione degli Enti previdenziali privatizzati corrisponde, sia nella ratio, che nella portata letterale, a quanto stabiliva già la L. 30 dicembre 2004, n. 311, che, come si è sopra rilevato, includeva dall’origine gli “Enti di previdenza e assistenza” tra quelli tenuti agli oneri di contenimento della spesa: anche il terzo motivo d’appello è quindi infondato. La legittimità della qualificazione degli Enti ricorrenti in primo grado nel novero delle amministrazioni pubbliche, secondo quanto si sopra detto, rende poi evidente la palese infondatezza dell’eccezione di costituzionalità riproposta in via subordinata con il quarto mezzo d’appello avverso l’art. 1, comma 5, della L. n. 311 del 2004, che consentirebbe, in tesi, la modifica dell’elenco contestato al di fuori di ogni ragionevole limite di discrezionalità amministrativa e l’imposizione di prestazioni patrimoniali al di fuori del parametro normativo: l’applicabilità di prestazioni a carico degli Enti privatizzati non è, infatti, frutto di una valutazione arbitraria dell’Amministrazione, ma, al contrario, corrisponde alla qualificazione pubblica degli stessi e ai criteri stabiliti dalla legge in coerenza con i principi desumibili dall’art. 81 della Costituzione e con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.”

Alla luce di tali statuizioni, quindi, e del loro passaggio in giudicato (sostanziale), non risulta la fondatezza della censura di illegittimità derivata di cui al primo motivo del ric. n. 10353/12.

Per quel che riguarda il secondo motivo, il Collegio ne rileva la tardività e inammissibilità perché rivolto unicamente avverso l’elenco Istat del 2011, di cui lamenta difetto di motivazione (fermo restando comunque quanto evidenziato sul punto già nella sentenza del Consiglio di Stato ora riportata), e non avverso la nota impugnata del 21.9.2012 (unico atto tempestivamente oggetto di gravame, per il quale però è assente una prospettazione di vizi propri di legittimità), che per ammissione degli stessi ricorrenti è stata adottata solo in ragione della loro inclusione nell’elenco Istat in questione,.

Per quel che riguarda il terzo motivo, subordinato, di ricorso e la prospettata illegittimità costituzionale, sia in riferimento all’art. 1 L. n. 196 del 2009 che all’art. 8, comma 3, D.L. n. 95 del 2012, il Collegio ritiene di rimandare a quanto sarà unitariamente trattato sul punto in merito al ricorso n. 10354/12, ove pure sono prospettate questioni di costituzionalità delle medesime norme.

Passando all’esame di tale ricorso, quindi, si precisa quanto segue.

Il Collegio ritiene che i motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente al fine di un loro esame unitario che rileva sull’impostazione sostanziale dei medesimi.

Dirimente appare al Collegio osservare che il gravame ha come oggetto la domanda di annullamento dell’”elenco Istat” nella parte in cui contiene il riferimento alle ricorrenti, evidentemente sul presupposto che tale elenco consista (nuovamente) in un provvedimento o comunque in un atto amministrativo adottato all’esito di un’istruttoria procedimentale, sindacabile quindi dal giudice amministrativo nell’ambito della tipica valutazione di legittimità ad esso demandata dalla normativa vigente, ma tale prospettazione, ad avviso del Collegio, non appare condivisibile ora, alla luce della normativa da ultimo entrata in vigore.

In primo luogo si rileva che le Casse previdenziali private – come confermato anche dai ricorrenti – risultano inserite già nell’elenco del 2011 per cui l’inserimento nell’ultimo del 28 settembre 2012, su cui si fonda la presente impugnativa, non è operazione nuova (tanto da essere stata oggetto già di vaglio da parte del giudice amministrativo).

Il Collegio osserva però che, a differenza delle precedente pubblicazione, con l’art. 5, comma 7, D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, in L. 26 aprile 2012, n. 44) che ha modificato l’art. 1, comma 2, della L. n. 196 del 2009, i due elenchi ISTAT del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011 sono stati “cristallizzati” in legge, con ciò perdendo la loro connotazione provvedimentale ed assurgendo a norma di rango primario.

La norma da ultimo citata, invero, dopo la modifica intervenuta ad opera del richiamato D.L. n. 16 del 2012, prevede: “Ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l’anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell’elenco oggetto del comunicato dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall’anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell’elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228, e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo, effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell’Unione Europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.

Al Collegio appare evidente l’intenzione del legislatore nazionale di prendere come riferimento gli elenchi del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011, in cui erano già inserite le Casse previdenziali private, per individuare le amministrazioni pubbliche da assoggettare alle disposizioni in materia di finanza pubblica che sono contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (c.d. “spending review”), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 135 (entrate in vigore – si sottolinea – prima dell’adozione del comunicato ISTAT del 28 settembre 2012).

Ebbene, non trattandosi nella presente fattispecie di inserimenti di nuove “amministrazioni” nell’aggiornamento di cui al predetto comunicato ISTAT del 28 settembre 2012 e non rilevando quindi eventuali dubbi sulla natura normativa o amministrativa del nuovo inserimento, perché adottato successivamente alla modifica del citato art. 1, comma 2, della L. n. 196 del 2009 da parte del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, nessun dubbio può invero esservi sulla sopravvenuta natura normativa degli elenchi del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011 sia perché individuati espressamente nella norma di legge sia perché il legislatore ha individuato anche il periodo temporale di decorrenza con effetti anche retroattivi (per il 2011, vale invero l’elenco di cui al comunicato ISTAT del 24 luglio 2010).

Per quanto riguarda invece l’anno 2012, il riferimento è agli enti contenuti nel comunicato del 30 settembre 2011 ed, invero, è a tale elenco che bisogna avere riguardo per individuare l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni del D.L. n. 95 del 2012 che hanno reso concreta ed attuale per i ricorrenti la lesione proveniente dalla loro (già disposta) inclusione nell’elenco di che trattasi.

Al riguardo, va tuttavia precisato che l’aggiornamento di cui al comunicato ISTAT del 28 settembre 2012, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, della L. n. 196 del 2009, non sostituisce gli elenchi del luglio 2010 e di settembre 2011 bensì integra l’elenco delle amministrazioni pubbliche già inserite nei due elenchi precedenti, dal che deriva che la verifica sulla natura amministrativa o normativa dell’ultimo comunicato del 28 settembre 2012 deve essere limitata alla parte relativa agli aggiornamenti ovvero a quelle integrazioni che hanno incluso enti ulteriori e diversi rispetto a quelli già indicati nel 2011, sancendone la loro connotazione pubblicistica ai fini dell’applicazione delle misure di finanza pubblica.

Né a tale ricostruzione osta l’art. 1, comma 169, della L. 24 dicembre 2012, n. 228 (secondo cui “Avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della L. 31 dicembre 2009, n. 196, è ammesso ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti, in speciale composizione, ai sensi dell’articolo 103, secondo comma, della Costituzione”, di cui potrà, se del caso, essere valutata avanti al Giudice dotato di giurisdizione l’eventuale conformità con gli artt. 3, 97, 103, 111 e 113 Cost., in quanto la norma in questione deve essere interpretata compatibilmente con il più volte citato art. 1, comma 2, della L. n. 196 del 2009 nel senso che il ricorso sarà ammesso solo contro gli aggiornamenti dell’ISTAT intervenuti successivamente alla data di entrata in vigore della norma processuale ovvero al 1 gennaio 2013, aggiornamenti da intendersi come relativi ad inserimento di nuovi enti o organismi di qualunque tipo ritenuto, diversi da quelli già considerati negli elenchi precedenti, come i ricorrenti.

Il Collegio ritiene che una diversa interpretazione non sarebbe accettabile sia perché svuoterebbe di contenuto l’art. 1, comma 2, della L. n. 196 del 2009 – e si scontrerebbe con il principio secondo cui una norma, se non abrogata, deve comunque essere interpretata nel senso che possa avere un margine di applicazione nell’ordinamento giuridico – sia perché una norma di carattere meramente processuale non può svuotare il precetto contenuto in una previsione di natura sostanziale come quella all’esame del Collegio.

Il Collegio osserva anche che appare corollario del sopravvenuto riconoscimento “legislativo” degli elenchi del 2010 e del 2011 (che già includevano le Casse ricorrenti) che l’eventuale esclusione di alcuni enti inseriti in tali elenchi (del 2010 e del 2011) dall’applicazione delle misure di finanza pubblica introdotte a regime nell’anno 2012 potrà avvenire unicamente mediante una espressa esclusione contenuta in una nuova norma di rango legislativo ovvero, tutt’al più, attraverso la tecnica della “delegificazione” ai sensi dell’art. 17 della L. n. 400 del 1988.

La tecnica legislativa di fare riferimento ad “elenchi”, comunque, risulta già sperimentata e non affatto diversa dalla elencazione analitica delle amministrazioni pubbliche contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001 ovvero da quella in uso al legislatore nazionale negli ultimi anni consistente nel rimandare ad una tabella allegata l’elenco dei soggetti ai quali applicare una determinata previsione legislativa, come a titolo di esempio, gli allegati A e B richiamati nell’art. 1 del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111. Nella fattispecie in esame, quindi, l’art. 1, comma 2, della L. n. 196 del 2009, siccome modificato dal D.L. n. 16 del 2012, si è invero limitato a richiamare gli elenchi ISTAT del 2010 e del 2011, sancendo che le misure di finanza pubblica adottate successivamente al mese di marzo 2012, di adozione del citato D.L. n. 16 del 2012, sarebbero state applicate a tutti gli enti contemplati nei comunicati di luglio 2010 e di settembre 2011 e ribaditi in quello di settembre 2012, al netto degli aggiornamenti ivi contenuti.

Chiarito ciò in riferimento alla natura legislativa ( o “legificata”) dei predetti elenchi ISTAT, diventa invero irrilevante esaminare le osservazioni proposte dai ricorrenti con riferimento al mancato rispetto dei parametri comunitari di cui al Regolamento UE n. 2223/1996 – SEC 95 che avrebbe dovuto invece guidare l’ISTAT nell’individuazione degli organismi pubblici nel senso ivi inteso, perchè, in disparte il fatto che il SEC 95 (sistema Europeo dei conti nazionali e regionali) ha il fine di uniformare a livello Europeo i sistemi contabili nazionali in modo da poter disporre di un insieme coerente ed omogeneo di conti e dati statistici rilevanti ai fini del calcolo dei disavanzi e dei debiti pubblici nazionali, il legislatore interno si è limitato a prendere come riferimento l’indagine già effettuata dall’ISTAT e risultante dai predetti elenchi, qualificando autonomamente in via legislativa tutti gli enti ivi contemplati come “amministrazioni pubbliche”, ai fini dell’applicazione delle misure di finanza pubblica nel senso introdotto nel corso del 2012.

Il legislatore ha quindi ritenuto di attribuire “con legge” la natura pubblica agli enti indicati nei predetti elenchi e l’interprete, di fronte ad una qualificazione espressa in tal senso mediante uno strumento primario di legificazione, non può che limitarsi a prendere atto di tale scelta legislativa, a sua volta sindacabile solo nei limiti dell’irragionevolezza sotto eventuali vari profili, accertabile come noto però solo dal “giudice delle leggi”.

Il Collegio rammenta a tale proposito che, solo laddove non sia esplicitamente indicata la natura pubblica dell’organismo, la dottrina e la giurisprudenza insegnano che deve farsi riferimento ai c.d. “indici rivelatori della pubblicità” attraverso un’analisi in concreto della struttura, delle modalità di funzionamento e di finanziamento, dei controlli, il cui esito può portare o meno ad una qualificazione pubblicistica dell’ente, con conseguente applicazione della normativa (pubblicistica) di riferimento. Così come è noto, peraltro, che, anche a fronte di una qualificazione privatistica di un ente, non si esclude che questo possa comunque essere assoggettato a singole previsioni di carattere pubblicistico, come spesso avviene per quelle di derivazione comunitaria. Ciò perché la legislazione comunitaria non conosce, invero, una classificazione “statica” degli enti pubblici bensì “dinamica” in ragione della funzione o degli obiettivi che l’Unione Europea stessa intende perseguire.

Premesso quanto sopra in ordine ai motivi sostanziali di ricorso, rimane solo la verifica ai parametri costituzionali della normativa evidenziata dai ricorrenti, sotto i profili della rilevanza e della non manifesta infondatezza, al fine di sollevare eventualmente la questione incidentale di costituzionalità dinanzi alla Corte Sovrana.

Il Collegio in merito, ritiene che tale giudizio di conformità costituzionale delle norme citate nei due ricorsi dai ricorrenti non può essere condotto prendendo come riferimento il rispetto dei parametri di cui al Regolamento UE n. 2223/1996 – SEC 95, perché, come detto, il SEC 95 ha il fine di uniformare a livello Europeo i sistemi contabili nazionali per un corretto ed omogeneo calcolo del disavanzo e del debito pubblico, laddove le normative indicate rilevano solo ai fini dell’applicazione delle misure nazionali di finanza pubblica, bensì unicamente la conformità ai principi costituzionali richiamati dai ricorrenti.

Per le stesse ragioni, pertanto, non sussistono i presupposti per una disapplicazione delle norme nazionali (art. 1, comma 2, della L. n. 196 del 2009 e art. 8, comma 3, D.L. n. 95 del 2012) per contrasto con la normativa comunitaria (SEC 95) in quanto le finalità delle due previsioni non sono affatto omogenee in quanto, come sopra esposto, la prima si limita ad individuare le amministrazioni pubbliche da assoggettare alle misure di finanza pubblica nazionale, a prescindere dal fatto che l’applicazione di tali misure abbia poi effetti sul disavanzo e sul debito pubblico nazionale, mentre la seconda mira ad uniformare a livello Europeo le contabilità nazionali in modo da rendere agevole il calcolo del disavanzo e del debito pubblico.

Dopo tale ulteriore ma doverosa precisazione, il Collegio ritiene però che non sussistano neanche i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale di tali norme richiamate dai ricorrenti, con riferimento alla fattispecie in esame, sotto il profilo della non manifesta infondatezza.

Per quel che riguarda la ritenuta irragionevolezza per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Cost., al Collegio appare sufficiente richiamare quanto già affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza Sez. VI, n. 6014/2012, pronunciata proprio in argomento relativamente a precedente impugnativa di “elenchi Istat” ex art. 1 cit. contente anche i ricorrenti, in quanto, una volta specificata e riconosciuta la natura delle Casse in questione quali “amministrazioni pubbliche” sotto i profili sopra specificati, non si rileva illogicità nella scelta che accomuna soggetti aventi condizioni coincidenti al fine di tutela della finanza pubblica, in coerenza proprio con gli artt. 3 e 97 Cost. nonché con l’art. 81 Cost., perché “non è, infatti, frutto di una valutazione arbitraria dell’Amministrazione, ma, al contrario, corrisponde alla qualificazione pubblica degli stessi e ai criteri stabiliti dalla legge in coerenza con i principi desumibili dall’art. 81 della Costituzione e con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione”. (in tal senso, Cons. Stato, n. 6014/12 cit.).

Non vi è, poi, alcuna violazione dell’art. 23 Cost., in quanto non risulta imposta alcuna prestazione patrimoniale con il “meccanismo” di cui alle richiamate norme della L. n. 196 del 2009 e del D.L. n. 95 del 2012, come convertito in legge, ma solo una redistribuzione delle risorse di finanza pubblica.

Ugualmente non si determina alcun “vulnus” ai principi di cui ai richiamati artt. 33, comma 5, 36 e 38 Cost. – sia in considerazione della non manifesta infondatezza sia sotto il profilo delle “rilevanza”, non avendo proposto ricorso alcun professionista quale singolo iscritto – in quanto non si riscontra un’incidenza diretta sulle prestazioni a favore dei liberi professionisti iscritti alle Casse, per i quali non risulta dimostrata una diretta decurtazione delle prestazioni previdenziali loro assicurate in base alle norme vigenti e per effetto diretto di quelle sospettate dai ricorrenti di incostituzionalità al momento in cui ne avranno diritto, tant’è che gli stessi ricorrenti affermano nella memoria per l’udienza pubblica soltanto che il monte delle contribuzioni dei professionisti iscritti alle rispettive Casse “potrebbe” essere depauperato.

Anche nel richiamare le disposizioni del D.L. n. 95 del 2012 ed, in particolare, gli artt. 1, comma 7, art. 3, commi 1, 10 e 11-bis, art. 5, commi 2, 7 e 8, e art. 8, comma 3, non è affatto dimostrato che il contenuto di tali previsioni sia tale da impedire e incidere in modo dirimente e negativo sull’attività istituzionale degli enti ricorrenti.

Ed invero, le previsioni contemplate negli artt. 1, comma 7, art. 3, commi 1, 10 e 11-bis, e art. 5, commi 2, 7 e 8, del D.L. n. 95 del 2012 (che prevedono, in sintesi: l’obbligo di approvvigionamento da parte di CONSIP spa; l’obbligo di comunicare all’Agenzia del Demanio gli immobili di proprietà ai fini delle locazioni passive in favore degli enti statali; la riduzione del 50% delle spese sostenute nel 2011 per le autovetture e l’acquisto di buoni taxi; il limite di Euro 7 per i buoni pasto da erogare ai dipendenti) non possono ritenersi capaci di incidere ovvero di limitare il perseguimento delle finalità costituzionalmente garantite di cui agli artt. 33, 36 e 38 Cost.

L’art. 8, comma 3, del D.L. n. 95 del 2012 (riguardante la riduzione del 10% – a regime – delle spese sostenute nel 2010 per consumi intermedi, risparmio poi da versare alle casse dello Stato), inoltre, deve essere valutato sui parametri costituzionali di riferimento anche secondo quanto di recente affermato da questo Tribunale, il quale, con sentenza n. 3048/2012 della Sez. III quater, seppure in fattispecie diversa ma idonea a configurare un comune sentire, ha chiarito che “anche alla luce del solo comune buon senso, non può dubitarsi della conformità a principi costituzionali della norma che, in un periodo di crisi economica che ha colpito il Paese, introduce restrizioni, in particolare a soggetti che beneficiano di contributi e finanziamenti pubblici, id est della collettività”.

Ciò anche – aggiunge il Collegio – in relazione alla pari necessità di rispetto dell’art. 81 Cost. ed alla luce della necessità di individuare un punto di equilibrio dinamico e non prefissato in anticipo tra tutti i vari diritti tutelati dalla Carta costituzionale che deve essere valutato secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, secondo anche quanto richiamato di recente dalla stessa Corte costituzionale (sent. 9.5.2013, n. 85).

Per quanto dedotto, quindi, i ricorsi, previa riunione, devono essere rigettati.

Le spese di lite possono comunque eccezionalmente compensarsi, attesa la novità e complessità della questione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:

1) riunisce i ricorsi;

2) da atto della rinuncia dell’ENPAF, Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Farmacisti nel ricorso n. 10353/12;

3) rigetta i ricorsi.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 22 e 27 maggio 2013

Redazione