Svuotacarceri: il condannato pericoloso non può usufruire della doppia sospensione della pena (Cass. pen. n. 47859/2012)

Redazione 10/12/12
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Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 21.12.2011 la Corte d’appello di Torino dichiarava che l’ordine di esecuzione emesso il 26.10.2011 dal Procuratore generale della Repubblica di Torino nei confronti di F.A. doveva essere sospeso a norma dell’art. 1 della legge 199/2010, e per l’effetto ordinava la scarcerazione del predetto F..

Il F., condannato alla pena di mesi 2 di reclusione, dopo la sospensione della pena disposta ex art. 656 c.p.p., dalla Procura generale di Torino, aveva chiesto al Tribunale di sorveglianza di detta città di essere ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere, ma il Tribunale di sorveglianza aveva respinto la suddetta richiesta.

Aveva allora inoltrato istanza di sospensione dell’esecuzione ai sensi della L. n. 199 del 2010, al Procuratore generale, il quale gliela aveva respinta.

Aveva quindi sollevato incidente di esecuzione davanti alla Corte d’appello che aveva ritenuto ammissibile la seconda istanza, in quanto l’art. 656 c.p.p., comma 7, (la sospensione dell’esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta) non sembrava ostativo all’accoglimento della richiesta del condannato, essendo l’esecuzione della pena “presso il domicilio” ex L. n. 199 del 2010, una misura alternativa, oltre che con diversi presupposti dalla detenzione domiciliare ex art. 47 ter O.P., applicabile solo quando difettano i presupposti per le altre previste dalla legge, e che quindi non poteva essere anteriormente richiesta dal F..

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazioni il Procuratore generale, chiedendone l’annullamento, sostenendo che non sia possibile sospendere due volte l’ordine di esecuzione e che la procedura di cui alla L. n. 199 del 2010, sia alternativa a quella di cui all’art. 656 c.p.p., e rivolta quindi solo a coloro che non possono fruire della più benevola e più ampia possibilità di accedere alle misure alternative secondo la procedura di cui all’art. 656 c.p.p..

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

La L. 26 novembre 2010, n. 199, (disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno) non può essere intesa come una seconda possibilità, oltre quella prevista dall’art. 656 c.p.p., di ottenere la sospensione dell’esecuzione al fine di scontare la pena con la speciale misura alternativa prevista dalla suddetta legge.

La legge sopra menzionata è stata emanata al fine di ovviare, con una misura temporanea ed emergenziale, al problema del sovraffollamento delle carceri, estendendo il beneficio della detenzione domiciliare a categorie di condannati che, per il disposto dell’art. 656 c.p.p., comma 9, non avrebbero potuto goderne, e in particolare ai condannati ai quali è stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 c.p.p., comma 4.

L’art. 656 c.p.p., per quanto qui d’interesse, prevede che, se la pena detentiva non è superiore a tre anni, il Pubblico Ministero ne sospende l’esecuzione; l’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative prevista dall’Ordinamento Penitenziario; sull’istanza decide il Tribunale di sorveglianza; la sospensione dell’esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta; qualora l’istanza sia stata respinta, il Pubblico Ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell’esecuzione.

Pertanto, è fatto obbligo al Pubblico Ministero, nel caso in cui il Tribunale di Sorveglianza abbia respinto la richiesta di una misura alternativa alla detenzione in carcere, di revocare immediatamente il decreto di sospensione e dar corso all’esecuzione della pena in carcere. La L. n. 199 del 2010, art. 1, prevede la sospensione delle pene detentive non superiori a dodici mesi (ora diciotto mesi) solo nel caso in cui il condannato non possa beneficiare di una delle misure alternative alla detenzione in carcere concedibili attraverso l’indicata procedura prevista dall’art. 656 c.p.p., in quanto il comma 3, del detto articolo stabilisce espressamente che la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione deve essere emesso dal P.M. nei casi previsti dalla stessa legge “salvo che debba emettere il decreto di sospensione di cui all’art. 656 c.p.p., comma 5”.

Quindi, è evidente che se il condannato è nelle condizioni per essere ammesso alle misure alternative alla detenzione in carcere prevista dall’Ordinamento Penitenziario, ha diritto solo alla sospensione prevista dall’art. 656 c.p.p., ed è altresì evidente che, se il beneficio richiesto gli è stato negato dal Tribunale di Sorveglianza in ragione della pericolosità o per altra causa, non potrà usufruire di una seconda sospensione, in attesa che questa volta il Magistrato di sorveglianza valuti se si tratti di un soggetto pericoloso o che comunque se sussistano le condizione per l’esecuzione della pena presso il domicilio (la L. n. 199 del 2010, art. 1, comma 2, lett. d, stabilisce che la detenzione presso il domicilio non è applicabile quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti ovvero quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato).

Avendo il ricorrente già beneficiato della sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 656 c.p.p., ed essendogli stata respinta la richiesta di una misura alternativa dal Tribunale di sorveglianza, non può usufruire di una seconda sospensione della pena, e pertanto l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

La presente sentenza deve essere comunicata al Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Torino per quanto di competenza.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Si comunichi al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino.

Redazione