Sulla sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari decide il medico nominato dal giudice (Cass. pen. n. 32/2012)

Redazione 04/01/12
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Svolgimento del processo Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Teramo, del 14.10.2010, di condanna di D. S.M., per i reati di furto aggravato dalla destrezza e di rapina, alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 800,00 di multa, ritenute le attenuanti generiche e la continuazione tra i reati, ricorre la difesa del D.S., chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivi:

a) l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui il Tribunale, dopo aver dato atto del racconto confuso dello S., parte offesa del furto, ha ritenuto il furto pienamente provato, proprio sulla base delle predette dichiarazioni;

analoga motivazione la Corte ha reso in merito alla testimonianza di B.R. che, in effetti, è stata imprecisa e affetta da evidenti contraddizioni;

b) la carenza assoluta di motivazione in ordine al 3^ motivo di appello che postulava la derubricazione del reato di rapina in quello di furto con destrezza;

c) la carenza assoluta di motivazione in ordine al 4^ motivo di appello che postulava il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4;

d) la carenza assoluta di motivazione in ordine al 5^ motivo di appello che eccepiva la nullità dell’udienza del 23.9.05 a causa dell’assenza del D.S., che aveva rinunciato a presenziare all’udienza in altro processo “dimenticando” di avere udienza, contemporaneamente anche nel procedimento in esame.
Motivi della decisione

2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2.1 Il primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato nella parte in cui censura la valutazione delle dichiarazioni delle parti lese, S.A. e B.R., che pur connotate da rilevanti dimenticanze ed inverisimiglianze, sono state ritenute credibili dalla Corte territoriale.

Il ricorrente con il dedotto motivo tenta di accreditare una diversa ricostruzione dei fatti sulla base di un diverso apprezzamento degli elementi di prova, senza riuscire a evidenziare i profili di contraddittorietà o di incongruità logica del provvedimento impugnato.

Al giudice di legittimità, tuttavia, resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto.

2.2 Manifestamente infondato è il motivo di ricorso relativo alla richiesta di derubricazione del reato in danno di B.R. in furto con strappo, tenuto conto che, come emerge dalla motivazione della sentenza a pag. 4 la condotta dell’imputato fu “violenta, essendo il B. caduto a terra a seguito della spinta datagli dal D.S.”. 2.3 Manifestamente infondata è la doglianza relativa alla mancata motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4: il motivo di appello relativo alla attenuante è stato, infatti, formulato in modo assolutamente generico, essendosi il ricorrente limitato ad indicare che “il primo episodio si trattava di 155,50 Euro e per la rapina di Euro 50,00. Superfluo ogni ulteriore commento laddove lo stesso giudice monocratico accenna ad una ridotta portata offensiva dei fatti”.

L’assoluta indeterminatezza del motivo secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, esime la Corte di merito dal dover motivare in ordine al mancato accoglimento di istanze.

2.4 Anche l’ultimo motivo è manifestamente infondato perchè si limita a denunciare, genericamente, la mancata partecipazione dell’imputato all’ultima udienza del processo di primo grado senza articolare in forma piana, comprensibile e precisa, le ragioni di tale assenza.

3.Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

Redazione