Sul cittadino leso da un provvedimento illegittimo della P.A. non ricade un particolare onere probatorio: l’illegittimità dell’atto costituisce un indice presuntivo della colpa della P.A. (Cons. Stato n. 3444/2012)

Redazione 12/06/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Comune di Spoleto indiceva una gara per l’appalto a licitazione privata del “servizio derrate, assistenza tecnica e controllo di qualità per il confezionamento dei pasti per gli asili nido, le scuole materne, le scuole medie, le case di riposo e altri servizi sociali”. La durata stabilita del servizio era dal gennaio 1998 al 31 agosto 1999, e la fornitura delle derrate doveva corrispondere, per l’intero periodo, ad un quantitativo globale di circa 450.000 pasti.

Il Consiglio comunale aveva approvato il bando ed il capitolato speciale dell’appalto, riservando ad altra delibera l’approvazione dell’elenco delle ditte da invitare e la formulazione della lettera d’invito. In seguito, peraltro, l’elenco delle ditte e lo schema della lettera d’invito erano stati approvati con una delibera della Giunta, anziché del Consiglio comunale.

Per partecipare alla gara veniva costituita una associazione temporanea tra le ditte cittadine G.C., L.R., M. carni di M.B., Iperfrut di F.F. e C. s.n.c., e ******** di M.R. e C., associazione cui aderiva anche la società Incontro B Coop Soc. a.r.l..

Partecipavano alla gara solo l’A.T.I. appena detta e la Sodexho Italia s.p.a..

L’offerta della prima veniva però esclusa, perché talune delle ditte associate avevano presentato in modo incompleto la documentazione prevista dalla lettera d’invito, e comunque non avevano dimostrato esaustivamente il possesso dei requisiti di capacità tecnica ed economica stabiliti nella medesima lettera.

L’appalto veniva di conseguenza aggiudicato alla società Sodexho.

Le imprese associate impugnavano a quel punto la propria esclusione e l’esito della gara davanti al T.A.R. per l’Umbria, deducendo vari motivi di legittimità.

Il T.A.R. accoglieva il loro ricorso con la sentenza n. 1156 del 23 dicembre 1998, giudicando fondato ed assorbente il motivo di gravame imperniato sulla circostanza che l’esclusione dell’A.T.I. era stata determinata dall’applicazione di clausole provenienti da una lettera d’invito viziata da incompetenza, in quanto deliberata dalla Giunta comunale anziché dal Consiglio.

L’appello dell’Amministrazione comunale avverso tale sentenza veniva respinto da questa Sezione con decisione n. 4878 del 2008. Sull’illegittimità dell’esclusione dell’A.T.I. dalla gara si formava quindi il giudicato.

Nelle more del giudizio d’appello, le ditte ricorrenti (esclusa perciò la società cooperativa Incontro B) intraprendevano anche un’azione risarcitoria, proposta dapprima davanti al Tribunale Civile di Spoleto, e indi, dopo che questo aveva declinato la propria giurisdizione, davanti al Giudice amministrativo.

La domanda di risarcimento veniva esperita sia contro il Comune di Spoleto, sia personalmente contro il suo funzionario dr. V.D.S..

Entrambi resistevano alla domanda.

Il T.A.R. adìto, con la sentenza n. 478 del 2010 in epigrafe, mentre rigettava il ricorso nella parte in cui proposto nei confronti del dott. ****, lo accoglieva invece, sia pure parzialmente, nei confronti del Comune, condannando l’Ente al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, da liquidare col procedimento di cui all’art. 35 comma 2, D.Lgs. n. 80 del 1998.

Il Tribunale, dopo avere osservato che il risarcimento doveva essere proporzionato al grado di probabilità che l’avente diritto si aggiudicasse la gara, riteneva, in mancanza di elementi più precisi, che tale probabilità dovesse essere considerata pari per i due concorrenti, ******* e l’A.T.I., e perciò commisurata al cinquanta per cento.

Posta questa premessa, il danno per ciascuna ditta dell’A.T.I. veniva identificato in primo luogo nel mancato utile (lucro cessante), da determinare tenendo conto, da un lato, dei ricavi lordi prevedibili in base all’offerta fatta ai fini della gara e del numero dei pasti da fornire; dall’altro, dell’insieme dei costi ed oneri di produzione.

Veniva inoltre equitativamente liquidato quale danno ulteriore il venti per cento del suddetto mancato utile, a fronte del mancato sviluppo commerciale della singola azienda e della perdita della chance di ulteriori commesse.

Il danno complessivo, risultante dalla somma delle due componenti indicate (mancato utile e danno ulteriore), avrebbe dovuto essere ridotto del cinquanta per cento per il motivo già indicato (riflettente il grado di probabilità dell’aggiudicazione), ed infine maggiorato con gli interessi e la rivalutazione monetaria “secondo i criteri vigenti”.

Avverso tale pronuncia il Comune di Spoleto formulava infine il presente appello, riproponendo sostanzialmente le proprie eccezioni ed argomentazioni già sottoposte al primo Giudice, e contestando la decisione appellata per averle disattese.

Resistevano all’appello le originarie ricorrenti, che argomentavano nel senso dell’infondatezza delle doglianze dell’Amministrazione e concludevano per la reiezione del gravame.

Le rispettive tesi di parte trovavano ulteriore illustrazione e sviluppo in successive memorie.

Alla pubblica udienza del 15 maggio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Rileva preliminarmente la Sezione, in rito, l’inconsistenza del motivo d’appello con cui il Comune di Spoleto torna a dolersi dell’avere l’avversaria esperito la propria azione risarcitoria prima della formazione del giudicato di annullamento sulla propria esclusione dalla gara (ossia, quando ancora pendeva l’appello comunale avverso la sentenza annullatoria n. 1156/1998 emessa dal TAR per l’Umbria).

Il primo Giudice, al riguardo, ha fatto giustamente notare come, allorché una domanda risarcitoria non sia stata formulata congiuntamente alla presupposta domanda impugnatoria, nulla osta a che la prima venga introdotta in un momento successivo, senza che occorra all’uopo necessariamente attendere la previa formazione del giudicato sull’impugnativa.

In questo senso è del resto esplicito, oggi, l’art. 30, comma 5, CPA, che ammette espressamente che la domanda risarcitoria possa essere introdotta anche “nel corso del giudizio” di annullamento. Ma per questa parte la norma codicistica non può essere reputata innovativa, dal momento che anteriormente non esisteva alcuna regola che precludesse una simile iniziativa (v. infatti, proprio nel senso di siffatta possibilità, C.d.S., VI, 29 novembre 2002, n. 6575; 15 febbraio 2001, n. 805).

Si poteva solo ipotizzare, in ragione delle istanze logiche sottese alla c.d. pregiudiziale amministrativa, l’esistenza di una temporanea improcedibilità della domanda risarcitoria fino alla definizione del giudizio impugnatorio. Nella specie, tuttavia, il primo Giudice si è pronunziato sulla domanda risarcitoria solo dopo che la decisione sull’impugnativa era diventata definitiva.

Questo primo motivo si conferma perciò infondato.

3. Tanto premesso, il presente appello nel merito può ottenere un parziale accoglimento, con il risultato di far conseguire al Comune una revisione in senso restrittivo dei criteri dettati dal primo Giudice ai sensi dell’art. 35 comma 2, D.Lgs. n. 80 del 1998 per la liquidazione del danno.

4. Non merita invece di essere condiviso il primo (e principale) motivo di appello di diritto sostanziale dedotto dall’Amministrazione.

Con tale mezzo il Comune di Spoleto assume che il giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. n. 1156 del 1998 avrebbe investito unicamente la (il)legittimità della lettera di invito, e non anche quella dell’esclusione dell’appellata dalla gara, in quanto i motivi attinenti a questo secondo aspetto della controversia sarebbero finiti assorbiti.

La predetta sentenza è, però, sufficientemente chiara nel pronunziare, a conclusione del relativo sindacato di legittimità, l’annullamento dei soli atti che in quella sede figuravano essere stati impugnati, vale a dire l’esclusione dalla procedura dell’attuale appellata e l’aggiudicazione della commessa alla Sodexho. A riprova di ciò, vale notare che la decisione d’appello che ha confermato tale pronuncia ne ha individuato inequivocabilmente l’effetto nell’annullamento dell’esclusione.

Il giudicato intervenuto, dunque, ha sancito proprio l’illegittimità dell’esclusione.

Occorre tuttavia aggiungere (stavolta a favore della posizione dell’appellante, con le conseguenze che si vedranno) che il relativo accertamento ha acclarato l’invalidità dell’esclusione solo da un punto di vista formale, senza spingersi a riconoscere in alcun modo la fondatezza sostanziale della pretesa dell’ATI di partecipare alla gara.

Il Tribunale, infatti, si è limitato ad osservare che l’estromissione impugnata era stata disposta facendo applicazione di una lettera di invito approvata da organo incompetente (la Giunta, in luogo del Consiglio comunale), ed ha censurato solo il relativo “vizio di motivazione” dell’esclusione (pag. 4 della sentenza).

Ogni questione attinente alla effettiva sussistenza o meno dei requisiti di ammissione in capo all’ATI è stata lasciata pertanto impregiudicata. E questo aspetto non può non dispiegare una rilevanza sul terreno risarcitorio (v. infra i paragrr. 4 e 9).

5. L’appellante non può essere però seguita allorché torna a dedurre che l’ATI avrebbe dovuto essere in ogni caso esclusa per la mancanza dei requisiti di capacità tecnica ed economica da parte di talune delle ditte associate.

La difesa avversaria ha esattamente opposto che, una volta contestati con successo, da parte sua, i limiti illegittimamente stabiliti dalla lettera di invito siccome inficiata da incompetenza, nessun elemento in atti permetterebbe di desumere che l’ATI non avrebbe potuto partecipare alla gara.

Come ha già bene osservato il primo Giudice, infatti, le deficienze che si vorrebbero ascrivere alle ditte dell’ATI non risultano essere mai state loro contestate a tempo debito dagli organi di gara, ai quali quindi non si può certo ora sostituire né il Comune, che ha veste ormai solo di parte convenuta in una causa risarcitoria, né il Giudice amministrativo da questo adìto.

Tanto più in una situazione in cui la stessa disciplina di gara andrebbe, in astratto, ridefinita. Avendo il precedente giudizio sancito, invero, l’inapplicabilità della lettera di invito, in quanto approvata da un organo diverso da quello competente, le previsioni di tale atto non potrebbero essere più opposte all’ATI. La gara nei suoi riguardi dovrebbe essere perciò in teoria ripresa, quanto alla verifica dei requisiti, a partire dalla rinnovazione, a monte, dei contenuti della stessa lettera, previo annullamento in autotutela della precedente.

E’ però chiaro come un’operazione del genere non possa essere compiuta, vent’anni dopo, da un’Amministrazione convenuta in sede risarcitoria, e quindi per definizione non più in condizione di operare nella vicenda con il necessario metro di imparzialità.

Il possesso dei requisiti di capacità da parte dell’ATI è dunque a questo punto irreversibilmente incerto. E tale carattere non può non riverberarsi sull’operazione di stima delle sue chances di aggiudicazione (v. infra il paragr. 10).

6. Il Comune riprende in questa sede anche il rilievo per cui l’avversaria non avrebbe fornito alcuna prova (dedotta la “tara” delle illegittimità già riscontrate) del proprio diritto all’aggiudicazione.

Tale spunto, peraltro, è stato già recepito nei limiti del possibile dal Tribunale, che ha osservato al riguardo quanto segue :

“… risponde al vero quanto dedotto dal Comune, e cioè che i ricorrenti non dimostrano che la loro offerta, qualora ammessa, sarebbe risultata vincitrice.

Questo rilievo non è secondario, perché i ricorrenti costruiscono la loro domanda risarcitoria proprio basandosi sull’assunto (non dimostrato) che avrebbero certamente vinto la gara se non fossero stati legittimamente esclusi.

In effetti, come non si può dare per certo (come vorrebbe il Comune) che il confronto sarebbe stato vinto da *******, così non si può dare per certo il contrario. E questo stato d’incertezza sull’esito della gara non può non avere rilievo ai fini della domanda risarcitoria.

Ma questo non conduce a ritenere inammissibile detta domanda, bensì solo a calcolare in modo appropriato il quantum del risarcimento.

E’ opinione comune, invero, che in casi del genere il risarcimento debba essere proporzionato al grado di probabilità che l’avente diritto si aggiudicasse la gara; ed in mancanza di elementi più precisi, si ritiene che la probabilità debba essere considerata alla pari per tutti i concorrenti.

Ciò posto, nel caso in esame, essendovi solo due concorrenti (Sodexho e l’A.T.I. cui aderivano i ricorrenti) la probabilità deve essere stimata al cinquanta per cento. Pertanto il risarcimento dovrà corrispondere al cinquanta per cento di quello che si sarebbe potuto liquidare se la vittoria dell’A.T.I. fosse stata pronosticabile con certezza. “

Né può addebitarsi al Tribunale di non aver tenuto conto dei margini di successo dell’offerta tecnica dell’ATI a paragone con quella della concorrente *******. Se, difatti, si fosse avuto considerazione per la sola offerta economica delle due contendenti, non pare dubbio che, poiché quella dell’ATI era risultata la migliore (pag. 11 della sentenza in epigrafe), il Tribunale avrebbe dovuto necessariamente valutare le sue chances di aggiudicazione come superiori a quelle dell’avversaria. Da ciò la dimostrazione che la prospettiva di analisi del primo Giudice su questo piano è stata completa.

7. Del pari infondato è il rilievo comunale (pag. 14 dell’appello) per cui il Tribunale, nello stimare le chances di aggiudicazione attribuibili all’ATI, avrebbe dovuto considerare la presenza non di due sole concorrenti (ossia le offerenti ATI e Sodexho), bensì di sette.

Il rilievo poggia sull’assunto che il procedimento avrebbe dovuto essere rinnovato a tutti gli effetti ed erga omnes a partire dal rifacimento della lettera di invito. In numero di sette, viene ricordato, erano le ditte che erano state ammesse a partecipare alla gara ed avevano ricevuto la lettera di invito: e uno stesso numero di ditte avrebbe perciò dovuto ricevere anche la lettera rinnovata.

La Sezione deve rimarcare, però, che l’annullamento giurisdizionale pregresso non ha investito la lettera di invito (mai impugnata da alcun soggetto), ma solo l’esclusione dell’ATI.

Quanto alle sette ditte precedentemente ammesse, cinque di esse avevano in seguito liberamente scelto di non prendere parte alla gara, e fatto acquiescenza alla lettera d’invito a suo tempo ricevuta. Sicché l’annullamento pronunciato dal Tribunale, riguardando la sola esclusione dell’ATI, ed essendo stato pronunciato nell’esclusivo suo interesse, non avrebbe potuto rimettere le cinque ditte non offerenti in gioco, ma era andato a profitto della sola ricorrente vittoriosa in giudizio.

Da qui la non computabilità ai fini indicati di altre concorrenti, al di là di quelle prese in considerazione dal primo Giudice.

8. All’appellante non giova nemmeno insistere sull’avvenuto recesso dall’ATI della Coop. Incontro B. Come il Tribunale non ha mancato di rimarcare anche in questo caso con chiarezza, infatti, il recesso si è verificato quando ormai l’ATI era stata esclusa dalla gara, la commessa era stata aggiudicata alla Sodexho ed il relativo contratto già stipulato. Da qui la ininfluenza del recesso ai fini della disamina della pretesa risarcitoria subjudice.

Sempre a proposito della detta Cooperativa, tuttavia, va da sé che la quota di risarcimento che sarebbe potenzialmente stata di sua pertinenza dovrà essere detratta dall’ammontare dovuto dal Comune, dal momento che tale soggetto non ha ritenuto di agire in giudizio (una simile statuizione era peraltro già presente nella sentenza in epigrafe, al paragr. 9, dove il Tribunale ha osservato che ciascuna delle ditte ricorrenti era legittimata a reclamare il risarcimento di propria spettanza, ma non anche quello di pertinenza delle ditte rimaste estranee al giudizio).

9. Il Comune addebita alla sentenza in esame, infine, di avere ritenuto fondata l’azione avversaria pur in carenza del requisito della colpa dell’Amministrazione, estremo sulla cui esistenza il primo Giudice non avrebbe motivato.

Osserva la Sezione che la pronuncia in scrutinio correla il sorgere della responsabilità dell’Amministrazione direttamente all’illegittimità provvedimentale emersa, senza svolgere particolari argomentazioni circa l’elemento della colpa.

Una simile impostazione, peraltro, si inserisce nell’alveo di un preciso ordine concettuale più volte condiviso anche da questa Sezione, la quale ha avuto modo di osservare che ai fini della configurazione del diritto al risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi l’illegittimità dell’atto amministrativo costituisce un indice presuntivo della colpa della P.A., sulla quale semmai incombe l’onere di provare la sussistenza di un proprio errore scusabile (C.d.S., V, 31 ottobre 2008, n. 5453).

Più ampiamente, la giurisprudenza ha sottolineato (cfr. ad es. C.d.S., VI, 9 marzo 2007 n. 1114 e 9 giugno 2008 n. 2751) che al privato danneggiato da un provvedimento illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione. Il privato può limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, potendosi ben fare applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 del codice civile. E spetta a quel punto all’Amministrazione dimostrare, se del caso, che si è verificato un errore scusabile, il quale è configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 12 febbraio 2010, n. 785; V, 20 luglio 2009, n. 4527).

Nel caso di specie, però, nessuno dei predetti fattori giustificativi è stato fatto riscontrare, non avendo la parte onerata addotto alcuna precisa e significativa incertezza interpretativa che potesse giustificare il suo operato dannoso.

Senza dire che la Corte di Giustizia dell’U.E. ha recentemente chiarito che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici, da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione. E questo anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un ipotetico difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (Corte giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, proc. C-314/09).

10. La disamina che precede conduce la Sezione, in definitiva, a confermare il riconoscimento della fondatezza della pretesa risarcitoria azionata dalla parte appellata, e tuttavia a riformulare più restrittivamente i criteri dettati dal primo Giudice ai sensi dell’art. 35 comma 2, D.Lgs. n. 80 del 1998 per la liquidazione del danno.

Si è visto sopra, infatti, che il giudicato di annullamento già formatosi aveva lasciato impregiudicata ogni questione attinente alla effettiva sussistenza (o meno) dei requisiti di ammissione alla gara in capo all’ATI ; e che il carattere ineluttabilmente incerto del possesso degli stessi requisiti da parte della medesima ATI non può non riflettersi sulla stima delle sue chances di aggiudicazione.

La Sezione, pertanto, in dipendenza dell’aspetto dubbio appena detto, non considerato in primo grado, ritiene di ridurre equitativamente l’apprezzamento delle probabilità di aggiudicazione da parte dell’ATI dal 50 % fissato dal primo Giudice alla misura del 25 % .

Sotto i rimanenti profili si intendono invece confermati i criteri recati dalla sentenza oggetto di appello.

L’esito del giudizio suggerisce di compensare le spese processuali del presente grado tra le parti.

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie per quanto di ragione, e per l’effetto riforma la sentenza appellata, con riferimento ai criteri da seguire per la determinazione del danno da risarcire alla originaria ricorrente, nei termini precisati in motivazione.

Compensa tra le parti le spese processuali del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione