Studi di settore: inapplicabili alla seconda attività se la dichiarazione della principale è coerente con i parametri (Cass. n. 15186/2013)

Redazione 18/06/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel ricorso iscritto a R.G. n. 17390/2011 è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

1) L’Agenzia ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 81/05/2010 in data 04.05.2010, depositata il 06 maggio 2010, con cui la Commissione Tributaria Regionale di Milano, Sezione n. 05, ha respinto l’appello dell’Agenzia Entrate, confermando la decisione di primo grado, che aveva annullato l’accertamento, relativo ad IVA, IRPEF ed IRAP  dell’anno 2001, in quanto la dichiarazione risultava coerente agli studi di settore. Affida l’impugnazione a due mezzi.

2) L’intimata non ha svolto difese in questa sede.

3) Le questioni poste con i mezzi, sembra possano definirsi, richiamando, per un verso i principi fissati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 105/2003 ed applicando, quindi, quanto deciso dalle SS.UU. di questa Corte con la Sentenza n. 26635/2009, la quale, nel solco di precedenti pronunce (Cass. n. 23602/2008, n. 26459/2008, n. 27648/2008, n. 4148/2009), dando una lettura costituzionalmente orientata del quadro normativo di riferimento, ha avuto modo di precisare che “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di . presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto i all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.

4) Nel caso, la, decisione di appello, che ha ritenuto infondata la pretesa fiscale, sia per essere stata accertata la coerenza dei valori dichiarati agli studi di settore della prevalente attività, sia pure in quanto basata, esclusivamente, sui parametri, senza che l’accertamento risultasse modulato in relazione alle due attività svolte nonché alle contestazioni ed ai rilievi formulati dai contribuenti in sede di contraddittorio, sembra in linea con il trascritto principio e, quindi non giustifica le formulate censure.

5 – Data la delineata realtà processuale, si propone, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis cpc, di trattare la causa in Camera di Consiglio e di rigettare il ricorso, per manifesta infondatezza.

Il Consigliere relatore *****************.

La Corte,

Vista la relazione, il ricorso e gli altri atti di causa;

Considerato che alla stregua delle considerazioni e dei principi di cui alla trascritta relazione, che il Collegio condivide, il ricorso va rigettato per manifesta infondatezza;

Considerato che nulla va disposto per le spese del giudizio, in assenza dei relativi presupposti;

Visti gli artt. 360 e 380 bis cpc;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso dell’Agenzia Entrate.

Così deciso in Roma l’08 maggio 2013.

Redazione