Studi di settore: applicabili anche al commerciante che esercita in zona periferica (Cass. n. 24364/2013)

Redazione 29/10/13
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Ordinanza

Svolgimento del processo

1. M.B. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia n. 44/06/10, depositata il 26 marzo 2010, con la quale, accolto l’appello dell’agenzia delle entrate contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione del medesimo, relativa a due avvisi di accertamento concernenti Irpef, Irap ed *** per gli anni 2001 e 2002, veniva respinta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che gli atti impositivi si basavano sugli studi di settore, che costituivano prova presuntiva, senza che il contribuente, che si era discostato parecchio da essi, avesse fornito elementi di prova sul suo assunto, se non in modo generico, ed inoltre aveva omesso di instaurare il preventivo contraddittorio, nonostante l’invito trasmessogli. Tuttavia il moltiplicatore gli veniva applicato nel minimo previsto, tenuto conto delle deduzioni ed osservazioni addotte in sede contenziosa.
L’agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

2. Col motivo addotto a sostegno del ricorso il ric rr nte deduce violazione di norme di legge e vizi di motivazione, in guanto la CTR non considerava che i parametri applicati dall’ufficio sono astratti, e dovevano essere contemperati dalle effettive condizioni in cui l’attività di commerciante di orologi, gioielli ed articoli di argenteria veniva svolta, e precisamente in un quartiere periferico e di persone non abbienti, trattandosi solo di presunzioni semplici, per le quali invece l’agenzia doveva fornire la prova della sua pretesa.
Il motivo è infondato, in quanto, com’è noto, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può ai sensi dell’art. 39 del d.P,R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili <<dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta>>, sia sugli studi di settore, come nella specie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale del comparto merceologico, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricgstruzione del reddito del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 21/07/2011). Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, aggiunto dalla legge di conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, comma 1, della legge B maggio 1998, n. 146, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame, in cui comunque il divario con quanto indicate in dichiarazione era abbastanza rilevante (V. pure Sez. UU, sentenza n. 26635 del 18/12/2009).
Dunque sul punto la sentenza impugnata ulta a in modo giuridicamente corretto ed adeguato.
3. Ne deriva che il ricorso va rigettato.
4. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente 4 rimborso delle spese a favore delle controricorrente, e che liquida in € 4.000,00(quattromila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Redazione