Straniero, rifugiato e ragioni alla protezione internazionale (Cass., n. 25873/2013)

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Massima

Lo straniero che invochi il diritto alla protezione internazionale, e segnatamente all’asilo o alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 251/2007, non può limitarsi a richiamare la situazione socio-politica dello Stato di origine, avendo lo specifico onere di provare di essere destinatario di persecuzione diretta e personale per ragioni di nazionalità, politiche, religiose o di appartenenza etnica.

 

1. Questione

Una signora di nazionalità nigeriana adiva il Tribunale avverso il diniego di protezione internazionale deliberato dalla competente commissione territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria. Il Tribunale respinse il ricorso e la Corte d’appello ha respinto il reclamo della soccombente osservando:

– che la reclamante deduceva di essere fuggita dal paese di origine a causa del grave pericolo in cui versava per le violenze subite ad opera del padre e della matrigna, i quali avevano cercato di imporle un matrimonio forzato con un uomo di 72 anni e, al suo rifiuto, le avevano impedito di frequentare la scuola, giungendo poi a farla rapire e a farla portare, insieme al fidanzato, in casa del suo pretendente, il quale aveva cercato di violentarla, mentre il fidanzato — già in precedenza arrestato arbitrariamente dalla polizia — era stato malmenato;

– che la medesima censurava quindi la valutazione di inattendibilità del suo racconto fatta dal Tribunale senza svolgere alcuna istruttoria e senza assumere le dovute informazioni sulla drammatica condizione di insicurezza e instabilità socio-politica in cui versa la Nigeria;

– che altrettanto irrilevante era l’asserito clima d’instabilità socio- politica della Nigeria, comunque privo di alcuna correlazione con le vicende strettamente familiari della reclamante;

– che neppure sussistevano, in base al racconto dell’interessata, i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria, mentre del diritto di asilo, pure invocato dalla reclamante, non ricorrevano i presupposti non sussistendo quelli dello status di rifugiato.

La signora  ha quindi proposto ricorso per cassazione, articolando sei motivi di censura. La Cassazione ha accolto solo il terzo motivo, in quanto ha stabilito che la Corte d’appello non assunto informazioni sulla situazione generale della Nigeria, con riferimento al tipo di problema posto dalla reclamante, attraverso i canali indicati all’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25 del 2008 o mediante altre fonti che fossero in concreto disponibili, e solo all’esito di ciò formulare una pertinente valutazione.

 

2. Status di rifugiato e motivi di persecuzione

La controversia verte sulla pretesa del ricorrente di vedersi riconoscere lo status di rifugiato politico o in subordine la protezione sussidiaria – disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 19/11/2007 – ovvero ancora il diritto di asilo ex art. 10 Cost. o il diritto al rila-scio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007 ha disciplinato, dando attuazione alla dir. 2004/83/CE, il riconoscimento allo straniero della qualifica di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria in base ai principi già contenuti nella Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con l. 24 luglio 1954, n., 722, e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ratificato con L. 14 febbraio 1970, n. 95). L’art. 2 del D.Lgs. 251/2007 definisce “rifugiato” il “cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all’articolo 10” (lett. e dell’art. 2), mentre “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correreb-be un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese” (lett. g dell’art. 2), sempre che non ricorra una delle ragioni di esclusio-ne della protezione sussidiaria previste dall’art. 16. A norma dell’art. 14 del D.Lgs. 251/2007 “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte: b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nei suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, “requisito essenziale per il ricono-scimento dello “status” di rifugiato è il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate; il relativo onere probatorio – che riceve un’attenuazione in funzio-ne dell’intensità della persecuzione – incombe sull’istante, per il quale è tuttavia sufficiente provare anche in via indiziaria la “credibilità” dei fatti da esso segnalati (Cass. 23/8/2006 n. 18353), nel procedimento camerale caratterizzato dall’assenza di preclusioni, da un’istruttoria deformalizzata e dai maggiori poteri istruttori esercitabili d’ufficio dal giudice, chiamato a cooperare nell’accertamento dei fatti che possono condurre al riconoscimento allo straniero del diritto alla protezione internazionale (Cass. Sez. Un. 17/11/2008 n. 27310). La Suprema Corte ha altresì preci-sato al riguardo che “presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato po-litico sono la condizione socio politica normativa del Paese di provenienza e la cor-relazione di questa con la specifica posizione del richiedente, senza che la prima possa fondarsi sul ricorso al notorio e che possa ricavarsi sillogisticamente la seconda dalla prima, rilevando, invece, la situazione persecutoria di chi (per l’appartenenza ad etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle pro-prie tendenze e stili di vita) rischi verosimilmente specifiche misure sanzionatone a carico della sua integrità fisica o libertà personale” (in tal senso Cass. 20/12/2007 n. 26822).

Pertanto, ai fini del riconoscimento del diritto alla protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, è necessario che il richiedente dimostri la sussistenza di quei requisiti fondanti la qualifica di rifugiato o, almeno, di avente diritto alla protezione sussidiaria, in carenza dei quali il diritto “de quo” non trova ragione di esistere. È imprescindibile, in particolare, la prova circa la persecuzione personale e diretta che lo stesso avrebbe subito nel Paese ove è nato e sempre vissuto, persecuzione ca-gionata da ragioni politiche o religiose o altre rilevanti ai sensi dell’art. 2, lett. e), d.lgs. citato, ovvero la dimostrazione circa la fondata possibilità che, l’eventuale ritor-no in patria, sia accompagnato dalle citate persecuzioni esponendo così il richiedente a quel grave danno rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Università di Teramo in Medicina del Lavoro e in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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