Stranieri: respingimento alla frontiera (Cons. Stato, n. 4543/2013)

Redazione 13/09/13
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FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, cittadino italiano imprenditore agricolo, espone di avere seguito il procedimento prescritto per ottenere l’autorizzazione ad impiegare due lavoratori extracomunitari (Bangla Desh) e, conseguentemente, il visto d’ingresso per i due interessati.
Espone, altresì, che l’autorizzazione è stata data ed i due lavoratori hanno a loro volta ricevuto il visto d’ingresso dalla rappresentanza italiana nel paese di provenienza.
Nondimeno, quando i due lavoratori stranieri si sono presentati alla frontiera aerea di Fiumicino, dai controlli d’uso la polizia ha tratto il convincimento che entrambi fossero in possesso di documenti contraffatti e di altri documenti non contraffatti ma conseguiti – con frode – grazie alla spendita di quelli contraffatti. Conseguentemente i due stranieri sono stati oggetto di un “respingimento alla frontiera” in dichiarata applicazione dell’art. 10 del t.u. n. 286/1998.
2. Il datore di lavoro ha impugnato davanti al T.A.R. del Lazio gli atti di respingimento e quelli presupposti.
Il T.A.R. ha definito il giudizio con la sentenza ora appellata (n. 5078/2013), sinteticamente motivata, con la quale è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sussistendo quella del giudice civile.
Incidentalmente, il T.A.R. ha aggiunto che «il ricorso sarebbe, comunque, inammissibile per difetto di legittimazione attiva del ricorrente … che ha solo un interesse indiretto nella vicenda in quanto, in qualità di titolare di un’azienda agricola, aveva chiesto ed ottenuto il rilascio di nulla osta per lavoro subordinato».
3. Il ricorrente propone ora appello a questo Consiglio, sostenendo che erroneamente il T.A.R. abbia dichiarato il difetto di giurisdizione e il difetto di legittimazione attiva.
L’amministrazione si è costituita per resistere.
In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, il Collegio ravvisa le condizioni per una definizione immediata della controversia.
4. E’ sostanzialmente incontroverso che i due lavoratori stranieri sono stati destinatari di tipici atti di “respingimento alla frontiera” ai sensi dell’art. 10 del t.u. n. 286/1998.
L’appellante pone in discussione, semmai, il problema se nella fattispecie ricorra l’ipotesi di cui al comma 1 ovvero una di quelle di cui al comma 2, asserendo che la giurisdizione del giudice civile sussiste solo in relazione a queste ultime e non a quella di cui al comma 1.
L’appellante sostiene, ancora, che la giurisdizione del giudice amministrativo sussisterebbe comunque in relazione agli altri atti impugnati ed in relazione alla sua posizione giuridica soggettiva, che è quella di interesse legittimo.
Le sue prospettazioni tuttavia sono infondate e, come si vedrà, inconferenti.
5. Va precisato, innanzi tutto, che l’ipotesi di respingimento, messa in atto nella fattispecie, è quella di cui al comma 1 dell’art. 10 (respingimento “immediato” e “diretto”) e non quella di cui al comma 2 (respingimento “differito”). Infatti i due stranieri non si sono introdotti clandestinamente sottraendosi ai controlli, né hanno goduto di un’ammissione temporanea a fini umanitari. Sono stati respinti, invece, perché, nella fase del controllo in limine, i loro passaporti e gli altri documenti del caso sono stati riconosciuti in parte contraffatti e in parte conseguiti fraudolentemente.
6. Ciò premesso, è manifestamente infondata la tesi dell’appellante secondo cui nelle ipotesi di cui al comma 2 (respingimento “differito”) lo straniero sarebbe titolare di diritti soggettivi, mentre nell’ipotesi di cui al comma 1 (respingimento “diretto”) sarebbe titolare di un interesse legittimo; con ciò che ne deriva ai fini della giurisdizione.
Ed invero, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (S.U. n. 14502/2013 e n. 15115/2013) che afferma la giurisdizione del giudice ordinario in materia di respingimento, non distingue a seconda delle diverse ipotesi di respingimento; né, comunque, le argomentazioni delle due decisioni citate giustificherebbero una simile distinzione.
Il potere di respingimento è infatti lo stesso, e identica è la posizione dello straniero che ne è destinatario. La differenza fra le fattispecie considerate dei due commi dell’art. 10 consiste in ciò: che il caso ordinario e normale è quello del respingimento in limine, ossia immediato; e dal sistema si deduce che, di norma, se tale potere non viene esercitato esso si estingue, subentrando il diverso potere di espulsione o comunque di diniego del permesso di soggiorno. Tuttavia nelle ipotesi considerate nel comma 2 la norma consente – a titolo di eccezione – che il potere di respingimento sopravviva e venga ancora esercitato benché lo straniero abbia fisicamente varcato la linea di frontiera.
In altre parole, le ipotesi derogatorie ed eccezionali del comma 2 si risolvono in una fictio iuris per cui lo straniero materialmente entrato nel territorio nazionale si considera invece ancora in limine e quindi soggetto a quel potere di respingimento che invece senza la fictio iuris non potrebbe essere più esercitato. Ma come si vede il potere dell’autorità è sempre lo stesso e identica è la condizione giuridica dello straniero.
7. Si pone poi il problema della posizione personale dell’appellante quale datore di lavoro richiedente il nulla-osta per l’impiego dei due lavoratori.
L’appellante sostiene che, supposto che sia di diritto soggettivo la posizione dei due stranieri, la sua posizione non può essere che di interesse legittimo e che pertanto deve trovare tutela davanti al giudice amministrativo.
Anche questa tesi è infondata, perché, come correttamente rilevato dal T.A.R., i provvedimenti di respingimento alla frontiera incidono in modo diretto solo sulle posizioni personali dei due stranieri, e solo indirettamente e de facto sugli interessi dell’appellante.
Ed invero, gli atti amministrativi favorevoli chiesti e ottenuti dall’appellante (nulla-osta all’impiego, etc.) non sono stati revocati né annullati. E’ accaduto invece che quegli atti, allo stato, non producono più gli effetti desiderati, ma solo perché i due stranieri non sono stati ammessi in Italia per ragioni estranee al procedimento amministrativo di cui è parte il datore di lavoro ed attinenti esclusivamente alla loro sfera personale (possesso di passaporti contraffatti o conseguiti fraudolentemente).
In altre parole, la vicenda del respingimento dei due stranieri è, per l’appellante, res inter alios acta, ancorché, di fatto, le conseguenze ricadano (anche) su di lui.
In conclusione l’appello va respinto.
Le spese del giudizio possono essere compensate

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2013

Redazione