Spese processuali: la decisione del giudice è censurabile soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa (Cons. Stato n. 921/2013)

Redazione 15/02/13
Scarica PDF Stampa

FATTO

Con il ricorso di primo grado n. 573 del 2005 era stato chiesto dalla società *************, l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale in data 7/2/2005 n. 14 di adozione della revisione del P.R.G., oltre ad ogni altro atto presupposto e consequenziale, nonché la condanna al risarcimento del danno prodotto dalla diminuzione di potenzialità edificatoria del lotto di proprietà, conseguente alla trasformazione delle aree da “verde privato” a “parcheggio” e alla dislocazione di quest’ultimo a ridosso dell’edificio di propria pertinenza.

Erano state dedotte quattro articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere tre delle quali (lett. a, b, d, nella elencazione del primo giudice) erano state analiticamente prese in esame – e respinte- dall’adito Tar della Lombardia –Sede di Brescia- con la sentenza non definitiva n. 604 del 22/5/2006.

Con la detta decisione n. 604 del 22/5/2006, tuttavia, il primo giudice, ha altresì rammentato che con la censura indicata alla lett.c la originaria ricorrente aveva lamentato l’eccesso di potere per sviamento della causa tipica ed illogicità manifesta, in quanto le possibilità edificatorie della zona sarebbero state notevolmente compresse (essendo stato previsto contemporaneamente un parcheggio di ampie dimensioni che non avrebbe trovato alcuna giustificazione, anche perché verso il lago l’area non era praticabile essendo presente un canneto di valore naturalistico ed ambientale).

Risultava dalla relazione del Comune che la ******à originaria ricorrente aveva presentato – nell’ambito del procedimento di revisione del P.R.G. – due osservazioni: con la prima aveva chiesto l’eliminazione della previsione del parcheggio o, in subordine, la ridelimitazione dello stesso verso la ex statale 11 accorpando il precedente verde privato con l’area di pertinenza dell’edificio; con la seconda aveva chiesto la modifica delle N.T.A. relative alle zone per le attività alberghiere.

Posto che il Comune aveva precisato che le osservazioni redatte dalla originaria ricorrente erano in fase di esame istruttorio, in attesa di essere sottoposte all’esame del Consiglio comunale – il cui esito non era dato conoscere, allo stato – il primo giudice ha rinviato la causa a nuovo ruolo con esclusivo riferimento al vaglio di tale ultima censura.

Ciò perché, secondo l’argomentare del Tribunale amministrativo, l’eventuale accoglimento avrebbe potuto privare la società originaria ricorrente dell’interesse ad ottenere una pronuncia favorevole sul provvedimento di adozione, (mentre la reiezione totale o parziale poteva essere accompagnata dall’indicazione di elementi utili a sostegno delle esigenze sottese alla nuova previsione urbanistica che comportava un ulteriore sacrificio per la ******à).

Successivamente, il Tribunale amministrativo, nuovamente adito, con la decisione n. 279/2008 oggetto della odierna impugnazione ha dato atto della evoluzione procedimentale medio tempore verificatasi: in particolare, è stato dato atto della circostanza che il Comune aveva nelle more vagliato la prima osservazione e l’aveva accolta parzialmente in sede di approvazione definitiva, riducendo l’ampiezza del parcheggio a 2450 mq. ed evidenziando che “le previsioni di destinazioni pubbliche sull’area in questione sono già state oggetto di ridelimitazione (eliminazione strade di previsione) in occasione di precedenti varianti ordinarie … Il nuovo azzonamento erroneamente non ne ha tenuto conto”.

Il P.R.G. approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 4/762 del 23/9/1985 prevedeva la realizzazione di un parcheggio pubblico di circa 2000 mq. – peraltro già contemplato dal previgente Piano di Fabbricazione del 1973 – sull’area posta tra Viale Verona (oggi Viale Agello) ed il fabbricato di proprietà, delimitata da una contro-strada verso il lago di Garda e, sul lato est, dal prolungamento di Via Aureliano; che la successiva variante ab origine avversata con il mezzo introduttivo del giudizio di primo grado aveva raddoppiato l’estensione dell’area a parcheggio, portandola a 3900 mq. circa e collocandola ad una distanza di soli 3 metri dal fabbricato ad uso alberghiero.

A seguito dell’accoglimento della osservazione proposta dalla società originaria ricorrente, l’Amministrazione aveva introdotto alcune modifiche che recuperavano una striscia di area da accorpare alla ZTA1, ridimensionando il parcheggio schiacciandolo contro Viale Agello e comunque confermando l’interesse pubblico a mantenere il parcheggio come ridelimitato.

La originaria ricorrente aveva ribadito la perdurante natura lesiva della previsione definitiva e l’attualità della censura di eccesso di potere per sviamento, evidenziando che l’area destinata a parcheggio risultava comunque più ampia rispetto a quanto previsto negli atti di pianificazione previgenti (ben 450 mq in più) e che la sua porzione di proprietà coinvolta era di circa 1000 mq., (misura doppia rispetto a quella stabilita in precedenza pari a 560 mq. su 2002 mq.).

Aveva ribadito altresì la richiesta di risarcimento del danno, adducendo che l’ampliamento abnorme del parcheggio le aveva impedito di utilizzare i terreni edificabili e le zone inizialmente classificate a semplice verde privato, mentre i limiti di distanza contestualmente introdotti avevano ridotto la cubatura disponibile.

Il primo giudice, quindi, con la decisione definitiva n. 279/2008 ha vagliato tale ultimo segmento impugnatorio e l’ha accolto, alla stregua della seguente articolata motivazione.

Ha in primo luogo escluso che la omessa impugnazione del provvedimento di definitiva approvazione della variante, a fronte della rituale impugnazione della delibera di adozione della variante predetta, potesse determinare la improcedibilità del mezzo, richiamando il consolidato orientamento per cui la (facoltativa) impugnazione della delibera di adozione rendeva superflua la successiva impugnazione della delibera di approvazione definitiva del Piano, a cagione dell’effetto automaticamente caducante dell’eventuale annullamento della delibera di adozione (peraltro la delibera di approvazione definitiva aveva confermato, seppure riducendola sotto il profilo dell’estensione, la prescrizione lesiva contenuta nella delibera di semplice adozione e tempestivamente avversata).

Esaminando il merito, poi, il primo giudice ha accolto il petitum demolitorio, avendo ritenuto che la scelta dell’amministrazione appariva illogica, in assenza di obiezioni ai puntuali rilievi opposti dalla originaria ricorrente in ordine alla minore importanza della zona con riferimento alla notevole riduzione del traffico sulla strada statale 11 dopo la realizzazione della tangenziale, alla mancanza di nuovi insediamenti abitativi ed in relazione alla circostanza che la sponda circostante non era destinata né ad attrezzature balneari né a verde pubblico, per la presenza di un canneto di importanza ambientale e paesaggistica.

Né il vago e generico richiamo ad un supposto pubblico interesse a mantenere il parcheggio come ridelimitato poteva considerarsi valida obiezione ai puntuali rilievi opposti, anche in considerazione della circostanza che in nessuna fase del complesso iter di approvazione del P.R.G., e neppure nella relazione resa in ottemperanza all’ordinanza istruttoria del Tribunale, il Comune aveva interloquito utilmente sul punto contestato per dare conto delle ragioni a sostegno della scelta di ampliare il predetto parcheggio (previsto sin dal 1973 e mai da allora realizzato, rispetto al quale si rinvenivano elementi idonei ad evidenziarne la scarsa utilità già con riguardo alle dimensioni di cui al previgente P.R.G).

E’ stata pertanto annullata la deliberazione impugnata, ed il Tar ha dichiarato la non refluenza con la causa della vicenda attinente al permesso di costruire ed all’obbligo di cessione dell’area a standard ( la caducazione in sede giurisdizionale di una previsione contenuta in una variante al P.R.G. implicava, in virtù del suo effetto retroattivo, la reviviscenza del precedente assetto urbanistico in parte qua).

Quanto al petitum risarcitorio, esso è stato parimenti accolto, seppur parzialmente: alla acclarata illegittimità per illogicità della previsione modificativa, si accompagnava infatti il positivo riscontro dell’elemento colposo, ravvisabile nella completa assenza del benchè minimo supporto motivazionale alla scelta censurata e la contemporanea allegazione di precisi dati di fatto – sia in sede procedimentale che giurisdizionale – che ne avevano evidenziato l’illogicità

In ordine alla quantificazione del danno risarcibile, il Tar ha individuato i criteri individuativi delle “voci” di danno, stabilendo che lo stesso, armonicamente ai detti criteri fosse determinato dall’amministrazione in contraddittorio con la società originaria ricorrente ex art. 35, comma 2, del D. Lgs. 80/98.

Ricorso n. 5223/2008;

L’ amministrazione comunale di Desenzano del Garda rimasta soccombente nel giudizio di primo grado ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha in particolare ripercorso la cronologia degli accadimenti, ed ha fatto presente che la sentenza di primo grado non si era correttamente pronunciata sulla eccezione di inammissibilità/improcedibilità del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado, riproponendo la relativa doglianza

L’appellante Comune ha quindi,in primo luogo, ribadito la eccezione di inammissibilità della impugnazione a cagione della circostanza che la società originaria ricorrente si era limitata a gravare il provvedimento di adozione della variante, ma non anche la delibera di definitiva approvazione della medesima,criticandola statuizione del Tar che aveva considerato ammissibile il gravame.

Nel merito, ha sostenuto che il primo giudice si era intromesso in una sfera valutativa demandata alla più ampia discrezionalità amministrativa, e che comunque sussistevano le ragioni di interesse pubblico sottese alla necessità di realizzare l’avversato parcheggio.

In ultimo,ha criticato il capo della sentenza che aveva accordato –seppur non per tutte le”voci” di danno ipotizzate nel mezzo di primo grado- la tutela risarcitoria in favore della originaria ricorrente sostenendo che quest’ultima non aveva provato alcuno degli asseriti danni subiti.

La società originaria ricorrente ************* ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato e facendo presente che il Comune non aveva dimostrato alcuna ragione logica per la realizzazione dell’imponente parcheggio e che lo stesso si sarebbe risolto nell’inutile esborso di una somma di denaro pubblico assai cospicua a fronte di nessun beneficio discendente alla comunità.

 
Alla camera di consiglio del 22 luglio 2008 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata proposta dall’amministrazione comunale la Sezione con la ordinanza n. 3882/2008 ha dato atto della rinuncia alla istanza cautelare.

Tutte le parti processuali hanno poi depositato memorie di replica volte a confutare le difese delle controparti.

Alla odierna pubblica udienza del 22 gennaio 2013 la causa è stata posta in decisione.

 
Ricorso n. 5493/2008;

La società originaria ricorrente ************* ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe con riferimento al capo con il quale era stata soltanto parzialmente accolta la domanda risarcitoria chiedendone la riforma.

Ha in particolare ripercorso la cronologia degli accadimenti, ed ha censurato la impugnata decisione nella parte in cui aveva in parte disatteso il petitum risarcitorio proposto.

In particolare, ad avviso dell’appellante, il primo giudice aveva errato allorchè aveva preso in considerazione la data iniziale del torno di tempo a partire dal quale era ravvisabile un evento lesivo individuandole nella approvazione della variante.

Ciò era certamente errato in quanto,proprio il ritardo da parte del comune nell’approvazione della variante costituiva evento che aveva contribuito ad aggravare il quadro lesivo: la circostanza che, secondo la sentenza gravata, detto ritardo finisse per agevolare il comune (che altrimenti avrebbe dovuto corrispondere i danni per un torno di tempo più lungo, decorrente dal momento di “tempestiva” approvazione della variante) costituiva un paradosso.

La data iniziale della lesione doveva farsi decorrere a partire dal 2005 e non già farsi coincidere con la data del permesso di costruire n. 12893 alla stessa rilasciato il 30 luglio 2007.

Per altro verso,è stato criticato il capo della impugnata decisione che del tutto immotivatamente aveva escluso la risarcibilità del danni da omesso tempestivo inizio dell’attività e delle spese sostenute per la manutenzione le varie progettazioni etc.

Dette voci di danno erano state adeguatamente dimostrate ed erano causalmente riconducibili alla condotta dell’amministrazione comunale dilatoria e contraria a buona fede.

Tutte le parti processuali hanno poi depositato memorie di replica volte a confutare le difese delle controparti, e la difesa del comune di Desenzano ha chiesto la riunitone dei suindicati ricorsi tra loro (in quanto intesi a gravare le medesima sentenza) e degli stessi con quello rubricato al n. 5419/2010 proposto dalla società ********* s.r.l. avverso la sentenza n. 859/2009 e del pari chiamato in decisione alla odierna pubblica udienza.

Alla odierna pubblica udienza del 22 gennaio 2013 la causa è stata posta in decisione.

 

DIRITTO

1.I suindicati ricorsi (ricorso n. 5223/2008 e ricorso n. 5493/2008)devono essere riuniti in quanto diretti a gravare la medesima sentenza.

Non può essere accolta invece la richiesta – avanzata dall’amministrazione comunale- di riunione dei suddetti due gravami con quello rubricato al n. 5419/2010 proposto dalla società ********* s.r.l. avverso la sentenza n. 859/2009 e del pari chiamato in decisione alla odierna pubblica udienza trattandosi di fattispecie connesse unicamente sotto il profilo “storico” che presentano problematiche giuridiche e fattuali distinte e che, pertanto, è opportuno esaminare separatamente.

2.I riuniti appelli sono infondati e meritano di essere respinti nei termini di cui alla motivazione che segue.

2.1. In via preliminare ritiene opportuno il Collegio evidenziare l’ordine logico cui si atterrà nell’esame delle doglianze contenute nei riuniti gravami: verranno in primo luogo esaminate le censure proposte in via principale dall’amministrazione comunale, in quanto volte a sostenere la inammissibilità del ricorso di primo grado e comunque la assenza di alcuna illegittimità nell’operato dell’amministrazione stessa, in guisa da escludere la legittimità dell’an della statuizione risarcitoria (esse, laddove accolte, precluderebbero l’ulteriore verifica giudiziale in ordine al quantum del risarcimento accordato).

Successivamente verranno congiuntamente delibate le contrapposte censure investenti la misura dell’accordato risarcimento e le “voci” di danno che il primo giudice ha ritenuto meritevoli di riparazione.

3. Muovendo secondo il detto ordine, rileva il Collegio che deve essere senz’altro disattesa – con le precisazioni che seguono- la doglianza proposta dall’appellante amministrazione comunale di inammissibilità del mezzo di primo grado e la connessa doglianza riproposta nel primo motivo dell’ appello, volta a riaffermare la originaria inammissibilità del mezzo di primo grado in quanto non era stato gravato il provvedimento di approvazione della “variante” (ma soltanto quello di adozione della medesima).

Ritiene in proposito il Collegio di doversi limitare a richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Sezione del Consiglio di Stato – dal quale non si ravvisa alcuna ragione per discostarsi- a tenore del quale, da un canto, “Poiché la mera adozione del piano, non ancora approvato, determina la facoltà, ma non anche l’onere di impugnazione, si deve ritenere che la delibera, avente ad oggetto prescrizioni urbanistiche, soltanto adottata, non determini, in pendenza del procedimento di approvazione, la “novazione” della fonte procedimentale del rapporto, non rendendo, pertanto, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso contro la variante al pendente piano regolatore. “(Cons. Stato Sez. IV, 09-09-2009, n. 5402 ).

In coerenza con detto orientamento, e con più stretta aderenza alla odierna materia del contendere, è stato rilevato da pacifica giurisprudenza (Cons. St., sez. IV, 8 marzo 2010, n. 1361, e 23 luglio 2009, n. 4662) che “la mancata impugnazione della delibera di approvazione della variante al piano regolatore non determina improcedibilità del ricorso proposto avverso la delibera di adozione del medesimo, poiché l’annullamento di quest’ultima esplica effetti caducanti e non meramente vizianti sul successivo provvedimento di approvazione nella parte in cui conferma le previsioni contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa.” (si veda anche, per quanto riguarda la giurisprudenza di merito, ex multis: T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 25-07-2012, n. 493, ma anche T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, 11-01-2011, n. 22, T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 30-01-2007, n. 119).

La censura di inammissibilità originaria del mezzo di primo grado va pertanto certamente disattesa.

3.1. Ed analogamente non merita accoglimento la ulteriore specificazione della doglianza, secondo la quale posto che era stata accolta la osservazione proposta dalla società ********* s.r.l. in via subordinata, in carenza di impugnazione di detto ultimo atto il gravame avverso l’atto di adozione era diventato inammissibile od improcedibile.

Oblia in proposito l’amministrazione comunale che l’interesse prioritario coltivato con la impugnazione era quello di ottenere la integrale soppressione della destinazione dell’area a parcheggio e che esso non fu soddisfatto: la circostanza che fosse stata accolta in parte una osservazione proposta in via subordinata dalla società (lo spostamento del parcheggio a ridosso della via Agnello e la riconduzione del medesimo alle dimensioni di mq 2002 di cui al PRG illo tempore vigente) non implica pertanto alcun effetto estintivo del gravame da quest’ultima articolato (in disparte la circostanza che invece l’area di originaria titolarità dell’appellante società destinata a parcheggio risulta comunque incrementata rispetto alle previsioni originarie).

3.2. Eguale sorte merita la censura principale dell’appello volta a stigmatizzare l’operato del primo giudice (laddove questi ha affermato la illogicità della prescrizione contenuta nell’avversata deliberazione) e nella quale si ipotizza una sorta di “straripamento di potere” il cui sarebbe incorso il Tar effettuando un indebito sindacato sulle scelte di merito operate dall’amministrazione comunale.

3.2.1. Ritiene il Collegio di rimarcare sul punto che per pacifica giurisprudenza della Sezione, -la cui perdurante con divisibilità si intende ribadire in questa sede – “le scelte effettuate dall’amministrazione per la destinazione delle singole aree, al momento dell’adozione del piano regolatore generale o di variante al medesimo, costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato giurisdizionale, salvo che non siano affette da errori di fatto o da abnormi illogicità.”(Cons. Stato Sez. IV, 03-08-2010, n. 5157). Ciò implica, quale necessario corollario, la conseguenza per cui “trattandosi di scelte discrezionali, in merito alla destinazione di singole aree, queste non necessitano di apposita motivazione, oltre quelle che si possono evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nella impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale.”(Cons. Stato Sez. IV Sent., 03-11-2008, n. 5478)

3.2.2. La fattispecie della abnorme illogicità (rara sotto il profilo statistico), è stata ravvisata dal primo giudice nel caso di specie, ed il Collegio concorda con tale approdo.

Il Tar, infatti, ha puntualmente evidenziato che era riscontrabile una assoluta assenza di obiezioni da parte dell’amministrazione comunale in ordine ai puntuali rilievi opposti relativi “alla minore importanza della zona con riferimento alla notevole riduzione del traffico sulla strada statale 11 dopo la realizzazione della tangenziale, alla mancanza di nuovi insediamenti abitativi e al fatto che la sponda circostante non sia destinata né ad attrezzature balneari né a verde pubblico, per la presenza di un canneto di importanza ambientale e paesaggistica.”.

Di tutte queste circostanze l’amministrazione non aveva tenuto in alcun modo conto né in sede di previsione originaria, né in sede di controdeduzioni, sfociate nel parziale accoglimento dell’osservazione presentata, salvo il vago e generico richiamo ad un supposto pubblico interesse a mantenere il parcheggio come ridelimitato. In nessuna fase del complesso iter di approvazione del P.R.G., il Comune era intervenuto sul punto contestato per dare conto delle ragioni a sostegno della scelta di ampliare il parcheggio – previsto dal 1973 e mai da allora realizzato – rispetto al quale erano stati forniti seri elementi che ne evidenziavano la scarsa utilità già con riguardo alle dimensioni di cui al previgente P.R.G.”.

3.2.3. Rileva il Collegio che la seria ed attendibile verifica giudiziale svolta in primo grado ha condotto ad un esito non seriamente contestabile: nessuna ragione sottesa al pubblico interesse, né riguardante la specifica area, né rapportata alla restante pianificazione del territorio comunale (con riguardo alle ulteriori previsioni di parcheggi ivi riscontrabili, alle aree di interesse presenti nel territorio, più frequentate, e di maggiore fruibilità,etc) ha consentito di ravvisare una ragione logica sottesa alla detta previsione, che consentisse – sia pure nei ristretti limiti del sindacato giudiziale prima illustrati- di escluderne la eccentricità ed abnormità.

Né le affermazioni contenute nell’appello hanno fornito alcuna specifica risposta che potesse “superare” detto approdo.

In particolare non risulta contestato:

a) che il parcheggio era previsto dal 1985 (e, per il vero, sin da epoca ancora antecedente a quest’ultima) e sino a quel momento non fosse mai stato realizzato;

b) che dal 1985 in poi la situazione complessiva dell’area –anche e soprattutto in punto di circolazione viabilistica- si fosse evoluta nel senso di poter fare riscontrare un deciso decremento del traffico e delle presenze turistiche specificamente insistenti sulla detta area;

c) che – fermo restando la presenza di un canneto nell’area, e del vincolo sullo stesso insistente- la zona non era (più) balneabile e che pertanto l’incremento dell’ampiezza del parcheggio poteva (unicamente) fare fronte ad esigenze di soggetti che si fossero recati a contemplare il predetto canneto, ma non anche di chi intendeva trascorrere lungo tempo in detta area;

d) che nel territorio comunale erano disseminati svariati punti di interesse turistico/paesaggistico ben più apprezzabile di quello insistente sulla detta area, ma che l’amministrazione comunale, con riferimento a questi ultimi, non avesse previsto la erezione di alcun parcheggio.

L’appellante amministrazione comunale, pur a lungo diffondendosi sulla supposta carenza di alcun affidamento in capo alla società, non è stato in grado di chiarire in alcun modo le ragioni sottese all’ampliamento del parcheggio limitandosi a ribadire che la realizzazione dello stesso era prevista sin dal PRG del 1985 che l’area ove doveva sorgere non era edificabile, e che si sarebbe al cospetto di uno “straripamento di potere” del primo giudice.

Soprattutto, non è stata in grado di alcunché controdedurre alla duplice affermazione che costituisce il proprium della affermazione di contraddittorietà/irragionevolezza e che, comunque, rende del tutto carente di motivazione la scelta avversata: a fronte di una previsione già risalente, e rimasta inattuata per lungo tempo, è fuor di luogo affermare che la realizzazione del parcheggio, già nella originaria consistenza prevista, potesse rivestire importanza nodale, per il Comune, né che la stessa avesse carattere di urgenza.

Tale dato, si salda a quello, altamente rappresentativo, secondo il quale, a fronte di una “contrazione” della frequentazione turistica dell’area, dovuta ad incontestate modifiche della situazione viabilistica, l’amministrazione non soltanto non ebbe ad interrogarsi sulla necessità di mantenere la previsione della adibizione dell’area a parcheggio ma, al contrario, in controtendenza rispetto allo sviluppo della situazione, ne previde addirittura un (oneroso per le proprie finanze) incremento.

L’area è rimasta adibita a “verde pubblico”: ma se il piano di fabbricazione prevedeva in origine che si trattasse di “verde pubblico pubblico ed attrezzature balneari” l’evoluzione successiva lo limitava alla “fruizione visiva del canneto”.

Sostenere che una tale modifica non sia rilevante, in punto di previsione di immutata destinazione dell’ area destinata a parcheggio strumentale a tale utilizzo sarebbe già ben arduo: spingersi al punto di affermare che addirittura si potesse per tal via “giustificare” un ampliamento del parcheggio predetto appare arbitrario ed irragionevole.

E’ carente di logica la detta previsione specifica, sia se la si valuti unicamente sotto il profilo intrinseco ed isolato che se la si rapporti, sotto un profilo valutativo più ampio, con la constatazione che in altre aree di maggiore importanza turistica (anche specifica: è rimasta incontestata l’affermazione dell’appellante società secondo la quale insistono nel territorio del comune canneti di ben maggiori proporzioni e godibilità)non vennero previste analoghe realizzazioni.

La censura va pertanto disattesa, e la sentenza merita senz’altro conferma nella parte in cui è pervenuta all’adozione della statuizione demolitoria affermando la illegittimità dell’attività di amministrazione attiva programmatoria riferibile all’amministrazione comunale (ciò ovviamente, con riguardo al contestato ampliamento, neppure cogliendo nel segno le argomentazioni del comune secondo le quali la sentenza sembrava rendere un giudizio di illegittimità sulla intera previsione del parcheggio: ovviamente le affermazioni della sentenza vanno rapportate al contenuto dell’ impugnazione di primo grado ed agli atti ivi avversati).

4. Alla intangibilità della statuizione in ordine alla illegittimità dell’azione spiegata dall’amministrazione consegue l’onere per il Collegio di esaminare le contrapposte doglianze in punto di ravvisabilità di un danno patrimoniale risarcibile (ad avviso del primo giudice era configurabile un danno ingiusto per lesione di un interesse legittimo oppositivo, in quanto la previsione viziata aveva determinato la riduzione della potenzialità edificatoria del lotto di proprietà della originaria ricorrente) ed alla quantificazione del medesimo.

4.1.Secondo l’appellante società la statuizione del Tar è errata sia laddove ha individuato un limite temporale facendolo coincidere con il provvedimento del 2007 con il quale era stata accolta la osservazione (sia pure proposta in via subordinata) della stessa, sia laddove ha indebitamente ristretto il perimetro del danno risarcibile.

Secondo il Comune di Desenzano, invece, il petitum risarcitorio avrebbe dovuto essere respinto per assoluta carenza di prova in ordine ai danni asseritamente subiti ed alla culpa dell’amministrazione. Inoltre aveva errato il Tar allorchè non si era avveduto che la ragione della richiesta risarcitoria riposava nella asserita diminuizione della potenzialità edificatoria conseguente alla eliminazione delle aree a verde privato – in quanto trasformate in area destinata a parcheggio – ed ai limiti imposti dalla vicinanza dell’area medesima (tre metri) all’edificio di propria pertinenza: senonchè posto che la destinazione a verde privato non avrebbe consentito alcuna capacità edificatoria ulteriore, la pretesa era inconsistente e peraltro non erano previsti limiti, nelle NTA, in tema di distanze dai parcheggi pubblici.

Né alla detta società era stata inibita la intrapresa dell’attività edificatoria nel lasso intercorrente tra la gravata adozione del PRG e l’inimpugnata approvazione definitiva dello stesso, posto che la destinazione a verde privato impediva l’edificabilità delle dette aree (e, comunque, neppure poteva affermarsi sussistere un ritardo imputabile al comune nella circostanza che il permesso di costruire n. 12893 venne alla stessa rilasciato il 30 luglio 2007 perché il complesso progetto aveva necessitato di numerosi adeguamenti).

4.2. Le contrapposte censure, da vagliarsi congiuntamente in quanto all’evidenza connesse, meritano partita risposta: anticipa il Collegio che le stesse non appaiono fondate.

4.2.1. Premesso che la affermata arbitrarietà ed abnormità della riscontrata previsione ampliativa costituisce ex se, per la carente istruttoria alla stessa sottesa, elemento dimostrativo della culpa dell’amministrazione comunale ritiene anzitutto il Collegio che non meriti accoglimento la censura afferente il limite temporale di individuazione del danno risarcibile (nella quale sono anche in parte confusamente cumulati due concetti: decorrenza giuridica delle modifiche ed asserita carente diligenza nell’approvare la variante -presentata già nel dicembre 2005- con ritardo “colpevole” e soltanto nel luglio 2007).

Come è agevole rilevare, infatti, fermo restando (lo si è già in precedenza esaurientemente chiarito) che la delibera di adozione costituisce atto lesivo e pertanto (facoltativamente) impugnabile il procedimento di approvazione del PRG o di una sua variante segue uno sviluppo “ordinato” la cui sequenza è scandita da una serie di passaggi -adozione, pubblicazione, presentazione delle osservazioni, controdeduzioni, approvazione-.

Come riscontra l’andamento del procedimento, la facoltà del privato di presentare osservazioni si inserisce in un dialogo propositivo appositamente previsto dalla legge e il danno per la posizione del privato si concreta con la reiezione delle stesse (nel caso di specie, vi fu un accoglimento parziale soltanto della osservazione subordinata).

Appare del tutto logico, pertanto, che il comune possa esserne chiamato a rispondere a partire dal momento in cui (luglio 2007) pervenne alla definitiva approvazione di quello che – a suo avviso- doveva essere l’assetto urbanistico dell’area, e non da quello in cui aveva soltanto adottato una previsione (seppur lesiva) suscettibile di modifiche a seguito della presentazione da parte del privato delle osservazioni.

Né dicasi che “il ritardo” nella definizione della fase in esame (conclusasi il 30 luglio 2007) finisca per ridondare a vantaggio del comune.

Premesso che sullo specifico aspetto del danno da ritardo la società appellante ha svolto compiute difese nell’ambito del procedimento rubricato al n. 5419/2010 proposto dalla società ********* s.r.l. avverso la sentenza n. 859/2009 e del pari chiamato in decisione alla odierna pubblica udienza, per cui la prospettazione costituisce una duplicazione di quanto specificamente sostenuto in detto gravame (e che nella sentenza con il quale quest’ultimo verrà deciso verrà più approfonditamente esaminato) non può imputarsi alcun difetto di diligenza infatti, all’amministrazione comunale, con riguardo al lamentato ritardo nel licenziare la detta pratica (è sufficiente a tale proposito fare riferimento alla compiuta ricostruzione dei passaggi procedimentali sottesi al rilascio del permesso di costruire contenuta ai punti 3-10 della decisione del Tar Brescia n. 859/2009, da intendersi in parte qua integralmente trascritti in questa sede ed il cui materiale richiamo si omette al solo fine di non appesantire il presente elaborato per rendersi conto della circostanza ch la pluralità di modifiche presentate, i successivi esami che si resero necessari, le integrazioni documentali predisposte dalla società richiedente escludono alcun atteggiamento dilatorio in capo al comune).

Né dicasi che il Comune avrebbe tratto un “vantaggio dal ritardo” con cui ebbe ad approvare la variante: se le osservazioni e la delibazione su queste ultime costituiscono – come pare avere adeguatamente dimostrato- un “passaggio” fondamentale della fase approvativa dei piani è del tutto logico che la lesione “finale” (intesa come individuazione del momento produttivo di danno) si individui al momento della definitiva approvazione e che da tale data decorra, eventualmente, il momento perfezionativo dell’illecito.

Detta articolazione della censura va quindi disattesa.

4.2.2. Al contempo, (ed in disparte ogni considerazione sulla disposizione di cui al punto 9.03.02 delle NTA richiamata dalla società in punto di limiti da rispettare rispetto all’area destinata a parcheggio) la tesi del comune incentrata sulla insussistenza di diminuizione di potenzialità edificatoria in quanto l’area era adibita a verde privato appare non cogliere la elementare circostanza (troncante) che ben diverso nello sviluppo di un progetto ricostruttivo concernente un insediamento a vocazione turistica qual quello alberghiero è rapportarsi ad una viciniore area destinata a verde, rispetto ad una avente la destinazione di parcheggio. In ogni caso non hanno trovato puntuale smentita le asserzioni relative al precluso sviluppo del fabbricato verso il lago (prima sussistente e consentito: si vedano le pagg. 25-27 della memoria datata 15 luglio 2008) di guisa che la doglianza dell’amministrazione comunale va respinta.

4.2.3. In ultimo, e per concludere tale profilo della esposizione, non sembra al Collegio che la equilibrata decisione di prime cure meriti censura da parte della società ********* s.r.l. neppure con riferimento alle “voci” di danno risarcibile ivi contemplate.

La società ********* s.r.l. si duole della statuizione del primo giudice secondo cui “- i dedotti maggiori costi di costruzione e i mancati ricavi nella gestione della struttura possono essere riconosciuti esclusivamente con riguardo alla quota parte di opere che in base al P.R.G. adottato non potevano essere assentite e che invece risultano realizzabili alla luce dello strumento urbanistico in vigore dopo il deposito della presente pronuncia (dunque confrontando il progetto presentato nel dicembre 2005 con il nuovo progetto da elaborare alla luce della normativa urbanistica ora applicabile), naturalmente nell’arco temporale intercorrente tra la data di rilascio del titolo abilitativo in variante” e di quella secondo la quale “il mancato avviamento non può essere riconosciuto in assenza di prova che l’attività non potesse essere comunque intrapresa; in senso contrario depone proprio la presentazione, nel dicembre 2005, del progetto di sistemazione; analogo ragionamento va sviluppato con riguardo alle licenze di ristorazione mai utilizzate, le quali ben avrebbero potuto essere comunque attivate sia pure in un fabbricato ridimensionato”.

Anche altre affermazioni più dettagliate e di contorno, sviluppano l’analogo ragionamento per cui non avrebbe avuto senso iniziare la edificazione di una struttura soggetta a possibile cambiamento/modifica né un adeguamento parcellizzato: muovendo da tale punto di partenza sarebbe stato imputabile al comune l’omesso integrale avvio dell’attività (anche comprensiva di quella di ristorazione) a far data dal 2005.

Sulla decorrenza temporale del momento perfezionativo dell’illecito si è già chiarita l’opinione reiettiva del Collegio: parimenti si ritiene che sia inaccoglibile la pretesa volta ad imputare al comune il danno integrale discendente dall’omesso inizio dell’attività.

Su un punto è bene essere chiari: l’appellante società avrebbe potuto completare la propria ristrutturazione ed avviare l’attività alberghiera e quelle (di ristorazione, etc) connesse durante tutto il periodo di durata del detto contenzioso; ove risultata vincente avrebbe potuto legittimamente richiedere che al comune fossero addossati i costi discendenti dall’adeguamento delle opere alle statuizioni accoglitive rese dal Tar legittimanti l’esecuzione di ulteriori opere (ad esempio il porticato) prima illegittimamente non consentite.

La scelta cautelativa di restare inerte e non iniziare l’attività (e le attività di ristorazione e servizio/bar connesse) eseguendo le opere sino a quel momento consentite in attesa della definitiva risoluzione del contenzioso, seppur manifestazione di prudenza, resta ascrivibile ad una opzione valutativa della predetta società.

Essa – e le conseguenze in punto di mancati guadagni – non può essere addossata all’amministrazione comunale per una elementare considerazione: è carente il nesso eziologico tra dimostrata illegittimità dell’operato dell’amministrazione stessa e danni subiti non essendo alla prima imputabile (sia secondo un criterio oggettivo, ma men che meno sotto il profilo dell’elemento psicologico dell’illecito) l’omesso avvio integrale dell’attività, ma, semmai quella deminutio imputabile agli incrementi dalla stessa discendenti e consentiti dopo la decisione del Tar, mentre il “mancato avviamento” in ipotesi di rivendita dell’albergo (voce “b” a pag.19 dell’appello) a breve scadenza resta confinato nell’ambito dell’ipotetico, non essendo provato né che la società abbia posto in vendita l’albergo e l’attività né quantizzabile il decremento discendente alla voce “avviamento” dal non avere iniziato l’attività nel 2006.

Quanto al degrado della struttura (lett. f. pag 21 dell’atto di appello) ed alla onerosità delle opere necessarie per contrastarla coglie nel segno l’affermazione del primo giudice secondo la quale trattavasi peraltro di interventi che la proprietaria era comunque tenuta a compiere.

Analoghe considerazioni riguardano le ulteriori “voci” di danno (talune delle quali, quale quella alla lett. c di pag. 20 dell’appello della società riguardante la questione delle provvidenze per l’impianto fotovoltaico in parte costituiscono anche duplicazione del petitum richiesto nell’ambito dell’appello n. 5419/2010 proposto dalla società ********* s.r.l. avverso la sentenza n. 859/2009 e del pari chiamato in decisione alla odierna pubblica udienza ) prospettate a pag. 21 dell’appello: l’immobilizzazione del capitale (integrale) appare ascriversi infatti alla scelta prudenziale di non iniziare immediatamente i lavori sulla base del progetto assentibile.

La sentenza di primo grado è quindi immune dai lamentati vizi anche con riguardo ai capi che hanno dettato i criteri per la quantizzazione del danno risarcibile, potendo per completezza rilevarsi che neppure colgono nel segno le ironiche affermazioni che le memorie dell’amministrazione comunale riservano al “passaggio motivazionale” in cui al fine di quantizzare i dedotti maggiori costi di costruzione e i mancati ricavi nella gestione della struttura, nonché arredi ed attrezzature nello stabilirsi che essi potevano essere riconosciuti esclusivamente con riguardo alla quota parte di opere che in base al P.R.G. adottato non potevano essere assentite e che invece risultavano realizzabili alla luce dello strumento urbanistico in vigore dopo il deposito della sentenza si è imposto alla società proprietaria la presentazione di una bozza di progetto “sulla quale l’amministrazione dovrà esprimersi in termini di assentibilità”.

E’ ben vero che così operando si introduce una prognosi di natura ipotetica: una volta però che, condivisibilmente, i parametri di danno sono stati ancorati al “di più” che era precluso realizzare alla luce della prescrizione di raddoppio del parcheggio annullata, appare ovvio che il parametro liquidatorio non possa che far riferimento a tali “maggiori opere” prima precluse e successivamente divenute assentibili non apparendo individuabile alcun altro parametro oggettivo alternativo (né l’amministrazione comunale ha “suggerito” alcunché di diverso che l’assoluta negazione di qualsivoglia risarcimento): né può essere “imputato” alla società di non avere – incorrendo in ulteriori oneri economici- commissionato un progetto “inassentibile” alla stregua della avversata prescrizione contenuta nell’atto gravato, al solo fine di farselo respingere e precostituirsi così la prova certa dell’eventuale futuro danno risarcibile.

5.In ultimo, resta da vagliare la censura articolata dalla società ********* s.r.l. concernente la statuizione di compensazione delle spese sostenute dalle parti in primo grado. Essa è palesemente infondata alla stregua del condivisibile orientamento secondo cui “la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull’opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato. (Cassazione civile , sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576)

Detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l’ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate.” (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).

Ciò non si è verificato nella fattispecie per cui è causa.

L’appellante società omette di rammentare infatti che il ricorso di primo grado dalla stessa proposto constava di numerose ed articolate censure, gran parte delle quali venne respinta dal Tar mercè la sentenza non definitiva n. 604 del 22/5/2006resa nell’ambito del medesimo procedimento e rimasta in impugnata.

Ci si trova al cospetto pertanto di una soccombenza dell’amministrazione comunale soltanto parziale, a fronte di una vicenda assai complessa: dal che discende la reiezione anche di questa censura e la integrale conferma dell’appellata decisione.

6. Quanto alle spese del giudizio di appello, ritiene il Collegio che anche con riferimento all’odierno grado di giudizio le stesse debbano essere compensate stante la reciproca soccombenza e la complessità della causa.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sui riuniti ricorsi in appello, come in epigrafe proposti, li respinge nei termini della motivazione che precede.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2013

Redazione