Spaccio di hashish: nessuna aggravante per ingente quantità se il peso del principio attivo è inferiore ai due chili (Cass. pen. n. 49029/2012)

Redazione 19/12/12
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Ritenuto in fatto

1. – Con sentenza resa in data 4.11.2011, la Corte d’appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 10.2.2011, con la quale è stato riconosciuto colpevole del reato previsto e punito dall’art. 73, comma 1, e 80 d.p.r. n. 309/90, poiché, sensa l’autorizzazione di cui all’art. 17 del decreto citato, illecitamente deteneva, al fine di venderla a terzi, sostanza stupefacente del tipo hashish per un peso complessivo di 48 kg. nonchè 157 g. di cocaina,
sostanza detenuto all’interno del box pertinente alla sua abitazione in Milano, via (omissis). Reato commesso in Milano il 12.10 2010.
Con la sentenza richiamata, il Tribunale di Milano ha inflitto all’imputato, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, la pena di otto anni di reclusione ed euro 40.000,00 di multa, oltre alle pene accessorie conseguenti per legge.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, affidato a tre motivi di impugnazione.
2.1. – Con il primo motivo, il ricorrente si duole dell’inosservanza della legge penale in relazione all’art. 448, comma 1, c.p.p. e mancanza di motivazione in ordine al mancato accoglimento dell’istanza di applicazione della pena presentata ai sensi degli artt. 444 e 456, comma 2, c.p.p. e rigettata dal giudice delle indagini preliminari.
Sul punto, il ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia del tutto omesso di rendere una motivazione sulla censura sollevata contro l’ingiustizia del provvedimento del giudice per le indagini preliminari che, in prime cure, aveva disatteso l’istanza di applicazione della pena su richiesta congiuntamente invocata dall’imputato e dal pubblico ministero.
2.2. – Con il secondo motivo di ricorso, l’impugnante si duole dell’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 80, comma 2, d.p.r. n. 309/1990, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la circostanza aggravante ad effetto speciale dell’ingente quantità di sostanze stupefacente.
In particolare, il ricornente lamenta che il giudice d’appello abbia ritenuto la sussistenza della ridetta circostanza aggravante sulla base del mero rilievo dell’elevato numero delle dosi ricavabili dalla sostanza stupefacente sequestrata, senza tener conto dei contenuti del contrasto interpretativo insorto presso le sezioni di queeta stessa Corte in relazione all’ambito dei conñni applicativi della richiamata circostanza aggravante.
2.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della legge penale con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante dell’ingente quantità di stupefacente detenuta e all’applicazione di una pena discostata dal minimo edittale.
In particolare, si duole l’impugnante dell’erronea valutazione, da parte del giudice d’appello, del contributo causale fornito dall’indagato alle indagini in corso e segnatamente al rinvenimento di tutta la sostanza stupefacente custodita dall’imputato nella propria abitazione, con la conseguente sottovalutazione degli aspetti di fatto idonei a giustificare il giudizio di prevalenza delle ridette circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata e l’applicazione di una pena di minore afflittività.

Considerato in diritto

3.1. — Il primo motivo di ricorso è infondato.
Sulla base delle risultanze degli atti del processo (ai quali questo giudice di legirrimità ha accesso, ai fini della decisione del motivo di ricorso in esame, trattandosi, in parte qua, della denuncia di un error in procedendo rispetto al quale la corte suprema è anche ‘giudice del fatto’: Cass., sezioni unite, n. 42792/2001. Rv. 220092), emerge che l’imputato, a seguito dell’originario rigetto della congiunta istanza di applicazione di pena su richiesta ebbe a rinnovare la richiesta di patteggiamento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (ai sensi dell’art. 448 c.p.p.).
In quella sede, a seguito della negazione del consenso da parte del pubblico ministero, il Tribunale, nella motivazione della sentenza, specificò come, effettivamente, la pena richiesta dall’imputato fosse da ritenene incongrua.
Tale specitico punto della motivazione della sentenza di primo grado non è stato fatto oggetto di censura nei motivi di appello dell’imputato, da ciò conseguendo l’inammissibilità dell’odierna riproposizione della doglianza in sede di legittimità.
3.2. – ***** il secondo motivo di ricorso è infondato.
Di là dalla correttezza e congruità logica della motivazione dettata dalla corte territoriale in relazione al giudizio fermato sul carattere ‘ingente’ della quantità di sostanza stupefacente rinvenuta nella disponibilità dell’imputato, converrà rilevare come il giudizio non sia destinato a modificarsi neppure in applicazione dei più stringenti e tasssativi criteri ponderali individuati nel recentissimo arresto delle sezioni unite di questa corte, secondo cui “in terna di produzione, trafficoo e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309/1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferior a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore-soglia), determinaato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata” (Cass., sezioni unite n. 36258/2012. Rv. 253150).
Nel caso di specie, infatti, a fronte dei minimi tabellari (valori-soglia) stabiliti in relazione alla sostanza stupefacente in esame (hashish, pari a 1.000 mg.), il limite ponderale determinabile ai sensi della richiamata sentenza delle sezioni unite si attesterebbe al limite di kg. 2,0 di principio attivo, là dove, nell’ipotesi qui in esame, l’I. è stato sorpreso nella detenzione di una quantità di hashish del peso (riferito al principio attivo riscontrato) pari ad oltre kg. 5.0.
3.3. – Il terzo e ultimo motivo di ricorso è inammiasibile.
La doglianza genericamente presentata dal ricorrente, con riguardo al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e alla ritenuta severità della pena applicata a suo carico, non individua alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a prospettare questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.
Ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, peraltro, anche la sola enunciazione dell’eseguita motivazione delle circostanze concorrenti soddisfa l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalità del giudice che, come tale, non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (Cass., sez. Il, n. 36265/2010. Rv. 2.48535).
Non incorre, pertanto, nel vizio del difetto di motivazione la sentenza che ometta di indicare i motivi per i quali il giudice d’appello abbia confermato il giudizio di equivalenza fra circostanze formulato dal giudice di primo grado, attesa la sufficienza della sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti (cfr. Cass., sez. I, n. 2668/2010. Rv. 249549).
Analoghe considerazioni valgono per quel che riguarda l’entità della pena, avendo la Corte distrettuale valutato come “congrua” la pena determinata dal primo giudice avuto riguardo alle caratteristiche del fatto.
Anche su tale punto è sufficiente il richiamo ai principi enunciati da questa Corte in materia, là dove, in tema di commisurazione della pena, quando questa (come nel caso di specie) non si discosti di molto dai minimi edittali ovvero venga compresa tra il minimo ed il medio edittale, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale richiamandosi alla gravità del reato (cfr. Cass., n. 41702/2004, Rv. 230278); in particolare, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma 3, c.p., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “cong:ruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (v. Cass., n. 33773/2007, Rv. 237402).
Nel caao in esame, la Corte territoriale ha correttamente operato il bilanciamento tra circostanze concorrenti e valutato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio imposto all’imputato dal giudice
di primo grado, correlando tale giudizio alle caratteristiche del fatto (diversità di tipologia delle sostanze in detenzione) e alla personalità dell’imputato (in relazione ai precedenti di cui risulta gravato), così radi-
cando, il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio, al ricorso di specifici presupposti di fatto, sulla base di una motivazione in sé dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.
4. – Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza avanzati dall’imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27.11.2012.

Redazione