Sinistro stradale: nessuna riduzione del risarcimento se non viene richiesto dall’appellante (Cass. n. 18160/2012)

Redazione 23/10/12
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IN FATTO E IN DIRITTO

1. A. R. quale proprietario dell’auto Opel Corsa tg. (omissis) guidata da G. R., conveniva in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Acquaviva delle Fonti l’assicurazione F., quale responsabile civile per la RCA, e A. A. quale proprietario e conducente dell’autovettura Renault Clio tg (omissis) per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patiti dall’attore in occasione del sinistro occorso il 3.4.2000 tra i predetti veicoli in agro di Santeramo in Colle. Si costituivano ritualmente in giudizio entrambi i convenuti chiedendo il rigetto della domanda. Il giudice adito accoglieva la domanda e condannava i convenuti in solido al pagamento in favore dell’attore della somma di euro 6.455,71 oltre interessi legali.
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il 17 luglio 2007, notificata il 27 ottobre 2007, il Tribunale di Bari, mantenendo ferma la decisione di primo grado quanto all’affermazione dell’esclusiva responsabilità dell’A., riduceva l’entità del risarcimento a Euro 4.028,36 e compensava le spese del doppio grado. Al riguardo, il giudice di appello rilevava che quello di primo grado aveva fissato l’entità del risarcimento in lire 12.500,000 (euro 6455,71) senza dare una reale spiegazione delle modalità della sua determinazione (“… danni che, tenuto conto della documentazione in atti, quivi compresa la perizia di parte convenuta, con l’avvenuta demolizione dell’autovettura attorea per l’antieconomicità della riparazione della stessa, vanno liquidati in lire 12.500.000 oltre interessi legali dal sinistro al soddisfa”). L’attore, infatti, aveva da un lato depositato un preventivo di spesa per un importo di lire 13.816.836 oltre IVA, somma indicata nelle conclusioni della citazione quale richiesta di risarcimento (senza aggiungervi ulteriori voci come il costo della demolizione o il costo della immatricolazione di un’eventuale nuova vettura cui ha fatto richiamo il R. solo in questo grado di giudizio), ma aveva nel contempo lamentato l’antieconomicità della riparazione (e sul punto concordava la controparte), dimostrando di aver consegnato in data 1 luglio 2000 la vettura per la demolizione alla ditta M. F. di Altamura ed allegando in atti copia di riviste di settore dalle quali emergeva che la vettura Opel Corsa 1.5 TD Swing 3 porte immatricolata nel 1994 in epoca prossima a quella del sinistro valeva lire 8.100.000 comprensivi di IVA. Si trattava, peraltro, di un valore che si riferiva ad una vettura in buone condizioni di manutenzione e mentre, da un lato, alcun elemento era stato fornito dall’attore per stabilire quale fossero le effettive condizioni del mezzo, il perito dell’assicurazione convenuta descriveva tali condizioni come solo “discrete” stimando il suo valore commerciale in lire 7.500.000. A fronte di ciò era evidente che alcun rilievo aveva, ai tini della liquidazione del danno, il costo di riparazione di cui al preventivo dell’attore (peraltro contestato dalla F. con una stima dei costi di riparazione effettuata dal proprio tecnico per lire 5.198.155 oltre IVA, atteso che l’avvenuta demolizione della vettura, sulla cui necessità non vi è questione tra le parti, induce ad individuare nel valore commerciale della Opel Corsa al momento del sinistro l’effettivo ammontare del danno patito. Alla luce di ciò ed atteso che il valore della vettura, secondo le contrapposte deduzioni delle parti, oscillava al momento del sinistro (aprile 2000) tra lire 7500.000 e lire 8.100.000, riteneva il giudice del gravame di poterlo equitativamente determinare, in mancanza di dati certi, in lire 7.800.000 pari ad Euro 4028,36, oltre accessori. Le spese dei due gradi di giudizio, atteso il loro contrapposto esito, potevano essere adeguatamente compensate.
3. Il R. propone ricorso per cassazione sulla base dei seguenti due motivi; resiste con controricorso la compagnia assicuratrice e chiede il rigetto del ricorso.
3.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) e chiede alla Corte se “in assenza di una specifica richiesta di riforma della sentenza in relazione al quantum debeatur, ed in presenza di una domanda di riforma di sentenza solo e soltanto in ordine al’attribuzione di responsabilità nella causazione dell’evento (esclusiva o concorsuale) violi il principio di cui all’art. 112 c.p.c. il giudice del gravame il quale statuisca, peraltro equitativarnente, in ordine al solo ammontare del danno”.
3.2. Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) e chiede alla Corte se “violi il principio ex art. 112 c.p.c. il giudice del gravame, il quale regoli diversamente le spese del primo grado di giudizio pur in completa assenza di una richiesta di riforma in tal senso contenuta in atto di appello.
4. ll primo motivo è fondato, sussistendo il dedotto vizio. Si deve, invero ribadire, in ossequio all’obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, espressione del carattere dispositivo del processo civile, che,in materia di responsabilità aquiliana, qualora l’appellaute chieda accertarsi l’ìnesistenza del danno liquidato dal giudice di primo grado,ma nulla osservi in ordine al suo ammontare, è viziata da ultrapetizione la sentenza con la quale il giudice del gravame riduca l‘ammontare del danno (Cass. n. 9175/1998; 4776/1980; v. anche Cass. n. 2474/1989). Nella fattispecie, nelle conclusioni in appello, l’appellantc aveva richiesto solo la revisione della sentenza di primo grado in punto di responsabilità dell’A., nulla chiedendo in ordine alla quantificazione del danno.
Pertanto, in mancanza di una specifica doglianza sul punto, non poteva il giudice d’appello provvedere alla riduzione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.
4.l. Va, peraltro osservato che la circostanza che in via subordinata fosse Stato chiesto l’accertamento di un concorso di colpa con le conseguenti statuizioni in ordine al quantum non attribuiva al giudice anche il potere di ridurre la misura del risarcimento (cioè del quantum dovuto) per motivi diversi dall’accertarnento di un concorso di colpa (e, in particolare, per la erronea quantificazione del danno da parte del primo giudice).
4.2. Inoltre, il potere-dovere del giudice di quantificare correttamente la domanda non consente di sostituire la domanda proposta con una diversa, fondata su altra causa petendi, e dunque di introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto, particolarmente in grado di appello, in cui il giudice non può esaminare una questione neppure tacitamente proposta, perché non in rapporto con quella espressamente formulata, e di quella non costituente antecedente logico-giuridico (Cass. 12 aprile 2006. n. 8519) e, nella specie, l’appellante aveva chiaramente limitato le proprie censure al capo di sentenza relativo alla invocata responsabilità – esclusiva o concorrente – della parte appellata in ordine al verificarsi del sinistro. Perciò, data la sua genericità e la mancanza di rilevamento ad una specifico motivo di appello, non può essere considerata un’autonoma censura l’affermazione riportata a pag. 8 del controricorso.
4.3. L’accoglimento del primo motivo assorbe ogni decisione in ordine al secondo, in tema di compensazione delle spese del doppio grado, stante la rideterminazione che se ne dovrà operare a seguito della presente decisione.
5. Pertanto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto dell’appello della F. Le spese del giudizio di appello e di quello di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo nei rapporti tra il R. e la F.; quanto al primo grado resta ovviamente ferma la statuizione sulle spese di cui alla relativa sentenza. Nulla per le spese nei confronti delle parti che non hanno svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’appe1lo della F. Condanna detta Compagnia al pagamento in favore del R. delle spese del giudizio di appello — che liquida in Euro 1.250,00=, di cui Euro 800,00= per onorario e 400,00= per diritti — e del presente giudizio — che liquida in Euro 1.350,00=, di cui Euro 1.150,00 per onorario — oltre, rispettivamente, accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, il 26 settembre 2012.

Redazione