Mancata predisposizione di misure precauzionali da parte del datore di lavoro e astensione dei lavoratori (Cass. n. 1478/2013)

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Massima

Secondo il dettato dell’art. 2087 c.c., che costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate dalle norme antinfortunistiche specifiche, la responsabilità dell’imprenditore deve ritenersi volta a sanzionare l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.

 

 

1. Questione

L’attuale controricorrente C.C., ex dipendente di Ferrovie dello Stato, negli anni ’80 era addetto alle Officine grandi riparazioni di (…), ove fino al marzo 1987 venivano effettuate operazioni di rimozione dell’amianto da vagoni ferroviari. Successivamente la società aveva affidato tali operazioni all’esterno, restando in proposito alle Officine il compito di procedere – in un’area dedicata – unicamente a lavori di rimozione di eventuali residui di amianto, prima di effettuare le necessarie riparazioni e manutenzioni dei vagoni.

Nel maggio-giugno 1988 il lavoratori dell’Officina (tra cui anche C.C.) avevano ripetutamente chiesto, anche astenendosi temporaneamente dalle lavorazioni da effettuare a contatto con l’amianto, interventi aziendali di bonifica degli impianti, effettivamente poi realizzati dall’ente tra il giugno e il novembre del medesimo anno.

Tuttavia, non ritenendo i lavoratori che detti interventi di bonifica fossero sufficienti e che l’ambiente lavorativo non presentasse ancora sufficiente sicurezza per la salute degli addetti, le organizzazioni sindacali interne avevano, in data 8 febbraio 1989, riproposto all’ente ferrovie dello Stato la richiesta di immediata sospensione del lavoro nei settori ritenuti pericolosi per procedere a più risolutivi interventi, che tuttavia venivano negati da parte del datore di lavoro.

I lavoratori, pertanto, decidevano di astenersi dal 14 febbraio 1989 a tempo indeterminato dalle sole lavorazioni di bonifica dell’amianto, timbrando ogni giorno il cartellino all’entrata e quindi restando in attesa di eventuali richieste di lavori diversi. La situazione si protraeva fino al 31 marzo 1989.

Poiché, a seguito di tali accadimenti, l’allora ente F.S. non aveva corrisposto ai partecipanti all’astensione la retribuzione riferita a tali giorni, gli odierni intimati, sostenendo di avere con l’astensione reagito in propria autoresponsabilità all’inadempimento della datrice di lavoro agli obblighi sulla stessa incombenti in materia di sicurezza, adivano il Pretore di Napoli per ottenere la condanna di F.S. al pagamento della retribuzione a titolo di risarcimento del danno, originato a loro carico da tale inadempimento.

Le domande dei ricorrenti venivano accolte dal Pretore e successivamente confermate in appello con sentenza del Tribunale di Napoli depositata il 23 gennaio 2006: il Tribunale aveva infatti rilevato una serie di difetti negli impianti e nella organizzazione del lavoro relativo alle operazioni di bonifica dall’amianto, ritenuti pericolosi per la salute degli addetti a tali lavorazioni e che pertanto avrebbero giustificato il rifiuto della prestazione nei relativi ambienti lavorativi da parte degli lavoratori, che in tal modo avrebbero reagito all’inadempimento da parte del datore di lavoro agli obblighi nascenti dall’art. 2087 c.c..

Per la cassazione di tale sentenza, la società Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. proponeva ricorso, affidato a tre motivi. Resisteva con controricorso C.C.. Gli altri lavoratori rimanevano intimati.

 

2. Art. 2087 c.c. e “storicizzazione” delle misure precauzionali

Con il primo motivo di ricorso la società Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. denuncia l’erronea interpretazione in ordine alla violazione dell’art. 2087 c.c., argomentando tale motivo sulla base del fatto che il contenuto dell’obbligazione di cui al suddetto articolo andrebbe valutato in relazione alle conoscenze e ai mezzi a disposizione al tempo cui si riferisce il fatto esaminato e che il rispetto di tale obbligo si misura alla stregua delle tecnologie e degli accorgimenti organizzativi e procedurali generalmente acquisiti e praticati in quel determinato momento storico.

Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe omesso di effettuare una tale operazione di storicizzazione dei doveri di precauzione incombenti sull’imprenditore, non considerando in maniera adeguata che nel periodo oggetto di causa (anno 1989) l’uso dell’amianto non era stato ancora vietato e non erano stati ancora stabiliti i valori limite di tollerabilità nei trattamento dello stesso; RFI sottolinea inoltre che le precauzioni da essa adottate nella scelta dei macchinari e degli impianti installati nelle officine e nella relativa organizzazione del lavoro erano in perfetta sintonia con la legislazione e con le conoscenze scientifiche del tempo.

In ordine al citato motivo la Cassazione osserva che, secondo la sua più recente giurisprudenza, la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando una ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole tecniche o di esperienza preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi “volta a sanzionare, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico”.

La Cassazione conferma pertanto la valutazione effettuata dai giudici di merito, i quali avevano determinato che nell’Officina di (…), nel periodo in questione, si era creato un rischio ambientale di esposizione ad inalazione di fibre di amianto per tutti i lavoratori dipendenti, coerentemente concludendo nel senso che la società si era resa inadempiente agli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. non per la mancata applicazione di nuove tecnologie, ma in ragione della violazione delle norme di comportamento da essa stessa dettate in materia di trattamento dell’amianto con la propria circolare del 1 aprile 1983, quando, a seguito dell’evolvere delle conoscenze mediche e dell’adozione da parte della Comunità delle direttive dell’80, dell’82 e dell’83, era ormai divenuto pienamente noto il rischio di tumore derivante dalla esposizione alle fibre di amianto.

 

3. Astensione dal lavoro: sciopero o reazione all’altrui inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c.?

Altro motivo di censura cui si affida la ricorrente RFI s.p.a. attiene l’asserito vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove il giudice di appello aveva escluso che gli appellati avessero posto in essere un’azione di sciopero, dato che, secondo la prassi aziendale, la presenza in azienda veniva certificata non solo dalla timbratura del cartellino all’ingresso, ma anche dalla attestazione di successiva presenza nel reparto di appartenenza; poiché i lavoratori in quel periodo non si erano mai presentati nel reparto di appartenenza per l’eventuale svolgimento di lavori diversi da quelli in cui era implicato l’amianto, la loro astensione collettiva – nell’ottica della ricorrente – avrebbe dovuto essere qualificata come sciopero e non come reazione al preteso inadempimento della società.

La Cassazione rigetta anche questo motivo, concordando con la valutazione effettuata dal Tribunale, secondo cui il comportamento dei ricorrenti, che avevano marcato il cartellino di presenza, ma poi si erano rifiutati di lavorare nelle zone a rischio, esprimesse una giustificata reazione all’altrui inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., implicitamente valutando come irrilevante il fatto che dopo la timbratura all’orologio marcatempo i lavoratori si fossero trattenuti nelle vicinanze, senza recarsi ai singoli reparti di produzione, ma neppure allontanandosi dall’Officina.

Secondo la Suprema Corte, pertanto, nel caso in cui il datore di lavoro non adotti, a norma dell’art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e le condizioni di salute del lavoratore, rendendosi così inadempiente ad un obbligo contrattuale, questi, oltre al risarcimento dei danni, ha in linea di principio il diritto di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute.

 

 

Marta Tacchinardi
praticante abilitata in Roma 

Sentenza collegata

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