Rimpatrio e foglio di via obbligatorio (Cons. Stato, n. 5479/2011)

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Massima

Ai fini dell’adozione del foglio di via obbligatorio nei confronti di chi si trovi fuori dei luoghi di residenza, il questore deve accertare (e specificamente indicare) la sussistenza di due presupposti necessariamente concorrenti, in quanto la persona colpita dalla misura deve essere collocabile in una delle categorie di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e deve essere pericolosa per la sicurezza pubblica.

 

 1. Premessa

I casi tassativamente previsti dall’art. 1 della legge n. 1423 del 1956 e successive modifiche per l’adozione del provvedimento di rimpatrio coattivo con foglio di via obbligatorio riguardano: “1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;

2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con proventi di attività delittuose;

3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”.

La presente pronuncia riguarda l’art. 2 della legge in oggetto, il quale prevede che al soggetto, che sia stato rimandato nel luogo di residenza con foglio di via obbligatorio, sia inibito, in termini di assolutezza, anche il ritorno nel territorio del Comune dal quale è stato allontanato, sicché pure il passaggio per tale territorio da parte di costui è illegittimo ed integra la contravvenzione prevista dal suddetto articolo.

Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 2 L. 1423/56, non è dato distinguere tra il ritorno nel luogo della diffida con l’intento di ristabilirvisi e quello consistente in una breve sosta. La ratio della norma, infatti, è quella di impedire la compromissione della sicurezza pubblica con la libertà di locomozione dell’obbligato, correlata alla diminuita possibilità di controlli ed alla conseguente possibile manifestazione della pericolosità in riferimento anche alla maggiore occasione di contatti e di collegamenti con la criminalità, la medesima ratio che caratterizza la fattispecie di cui all’art. 9 comma 2 della stessa legge. Ne consegue che nessuna rilevanza può avere la finalità per la quale la violazione sia stata posta in essere, atteso che il soggetto destinatario del divieto di tornare nel luogo della diffida ha la possibilità di perseguire detta finalità con lo strumento che le norme vigenti gli offrono, la preventiva autorizzazione della competente autorità, che consente di contemperare le finalità predette con le esigenza di tutela della pubblica sicurezza. D’altro canto non v’è dubbio che il Ma. fosse consapevole della illiceità della propria condotta, essendo espressamente enunciati, nel provvedimento del Questore, e il contenuto del divieto e le conseguenze che ne sarebbero derivate in caso di trasgressione.

È noto, infatti, che la norma incriminatrice in parola non richiede per l’integrazione della contravvenzione, la positiva verifica dell’esistenza di un concreto pericolo per la sicurezza pubblica riferibile alla violazione del divieto, giacché tale pericolo è apprezzato “a priori” all’atto dell’adozione del foglio di via e trova esplicitazione nella motivazione del provvedimento, essendo, invece, la sussistenza della contravvenzione integrata dalla mera, formale violazione delle statuizioni del provvedimento stesso.

Pertanto, la contravvenzione al foglio di via obbligatorio è configurabile anche nel semplice transito del prevenuto nel territorio del Comune nel quale gli è stato inibito di rientrare (1).

D’altra parte il citato decreto del Questore contenendo un chiaro riferimento agli elementi di fatto (precedenti per violazione legge stupefacenti, violazione normativa T.U.L.P.S., associazione a delinquere, rapina porto abusivo d’armi e assenza di una stabile attività lavorativa) che supportavano il giudizio di pericolosità sociale per la pubblica sicurezza e la riconducibilità del S. ad una delle categorie di cui all’art.1 L.1423/56) è immune da qualsiasi censura di legittimità prospettata dalla difesa.

Non sussistono i presupposti per riconoscere le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della gravità della condotta di reato accertata e della negativa personalità del prevenuto, come desumibile dalla condotta tenuta e dai precedenti giudiziari rilevati a suo carico.

 

2. Art. 2 della L. 1423/1956

Ai fini dell’ordine di rimpatrio ex art. 2, comma 1, della legge 1956 n. 1423 nei confronti di chi si trovi fuori dei luoghi di residenza, il Questore deve accertare la sussistenza di due presupposti necessariamente concorrenti, ossia che si tratti di un soggetto inquadrabile – sulla base di elementi di fatto – in una delle categorie previste dall’art. 1 della medesima legge (individui da ritenersi abitualmente dediti a traffici delittuosi; individui la cui condotta e tenore di vita inducano a ritenere che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; individui da ritenersi, per il loro comportamento, dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica) e che lo stesso soggetto risulti pericoloso per la sicurezza pubblica.

Pertanto, il provvedimento di rimpatrio deve sia fare riferimento alle circostanze di fatto sulle quali si basa il giudizio di riconducibilità dell’interessato ad una delle categorie indicate nell’art. 1 della legge 1956 n. 1423, sia indicare le ragioni che inducono a ritenerlo socialmente pericoloso, non essendovi coincidenza tra l’appartenenza ad una delle predette categorie e la pericolosità per la sicurezza pubblica, ex art. 2 della legge n. 1956 n. 1423 (2).

In particolare, costituendo una misura di polizia diretta a prevenire reati piuttosto che a reprimerli, il rimpatrio con foglio di via obbligatorio presuppone un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica il quale, pur non richiedendo prove compiute della commissione di reati, deve essere motivato con riferimento a concreti comportamenti attuali dell’interessato, ossia ad episodi di vita che, secondo la prudente valutazione dell’Autorità di Polizia, rivelino oggettivamente un’apprezzabile probabilità di condotte penalmente rilevanti da parte di un soggetto rientrante in una delle categorie previste dall’art. 1 della legge 1956 n. 1423 (3).

Del resto, la prognosi di pericolosità, che giustifica l’irrogazione della misura di prevenzione de qua, integra una valutazione ampiamente discrezionale, sindacabile dal giudice amministrativo in relazione ai profili dell’abnormità dell’iter logico, dell’incongruenza e dell’irragionevolezza della motivazione e del travisamento della realtà fattuale (4).

Inoltre, merita condivisione l’orientamento giurisprudenziale che nell’analizzare la terza delle categorie previste dall’art. 1 – ” coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica” – considera che l’integrazione di tale fattispecie non presuppone necessariamente che una persona sia pregiudicata, in quanto non coincide con l’istituto della recidiva, né con le figure soggettive del delinquente abituale, per tendenza e professionale.

 

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010
Avvocato, Componente, dal 1 ° novembre 2009 ad oggi, della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

 

__________
(1) Cfr. tra le altre Cass. civ., sez. I, 11/02/1997, n. 923.
(2) Cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 21 gennaio 2007, n. 18; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 5 luglio 2006, n. 7278.
(3) T.A.R. Veneto, Venezia, sez. III, 1° giugno 2001, n. 1369.
(4)  Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2931; Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2007, n. 909; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 5 luglio 2006, n. 7278; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 08 maggio 2008, n. 4176.

Sentenza collegata

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