Si presume lesa la funzionalità della pubblica amministrazione per l’uso privato dell’auto di servizio anche se episodico ed occasionale (Cass. pen. n. 16092/2012)

Redazione 27/04/12
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Osserva in fatto e diritto

Con sentenza in data 17/5/2004 il G.U.P. del Tribunale di Chieti dichiarava D.E. e M.D. colpevoli dei reati di concorso in peculato e truffa aggravata in danno dell’ASL di (omissis) e li condannava alla pena di mesi due giorni venti di reclusione e Euro 800,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento del danno alla costituita parte civile.
Si addebitava ai predetti di essersi, in concorso tra loro e quali operatori sanitari del servizio “118” presso la predetta ASL, appropriati momentaneamente dell’ambulanza, di cui avevano la disponibilità per ragioni di servizio, per recarsi in una località diversa da quella istituzionale, e partecipare al matrimonio di un collega, nonché di avere riscosso l’intera retribuzione giornaliera, anche per l’attività lavorativa non prestata.
A seguito di gravame degli imputati la Corte di Appello dell’Aquila con sentenza in data 24/9/2009 in parziale riforma della sentenza impugnata assolveva entrambi gli imputati, perché il fatto non sussiste, dal reato di truffa; rideterminava la pena per il residuo reato di peculato, in concorso anche dell’attenuante di cui all’art. 323 bis c.p., in mesi uno giorni venticinque di reclusione, convertiti in Euro 13.750,00 di multa ciascuno (giorni 55×250 ex art. 135 c.p.); riduceva a Euro 1.000,00 per ciascuno di essi l’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno alla parte civile, liquidando le ulteriori spese del grado; e confermava nel resto.
In motivazione la corte di merito condivideva i rilievi e le argomentazioni del giudice di primo grado a conferma del giudizio di colpevolezza, non dubitando della sussistenza del peculato d’uso sotto il duplice profilo dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato, ritenendo irrilevante che l’utilizzo indebito dell’ambulanza si fosse protratto per poco più di mezzora.
Contro tale decisione ricorrono entrambi gli imputati a mezzo dei propri difensori, i quali a sostegno della richiesta di annullamento denunciano con il primo motivo l’inosservanza e erronea applicazione della norma incriminatrice ex art. 314/2 c.p. e censurano l’error in iudicando, in cui erano incorsi i giudici del merito nel ritenere in maniera illogica e inconferente che la mezzora impiegata durante il servizio non potesse essere qualificata “uso istantaneo” dell’ambulanza, malamente interpretando la giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata, che aveva chiarito che “uso momentaneo” non significa “uso istantaneo”, ma “temporaneo”, ossia protratto per un tempo limitato, così da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da non compromettere seriamente la funzionalità della Pubblica Amministrazione.
Con il secondo motivo deducono la violazione dell’art. 2 cp. in riferimento all’art. 53 legge n. 689/1981 e sostengono che il criterio di conversione, già modificato dall’art. 3 legge n. 94/2009 si poneva in contrasto con il principio generale di cui all’art.2 cp., onde dovendosi applicare la legge più favorevole al reo, la conversione doveva operarsi a Euro 38,00 per ogni giorno di pena detentiva e non ad Euro 250,00, come aveva fatto il giudice a quo.
Con il terzo motivo lamentano la violazione dell’art. 541 c.p.p. in riferimento alla quantificazione del danno alla parte civile, originariamente riferita al danno relativo alla truffa, che doveva essere riveduto a seguito dell’assoluzione da tale reato, e in riferimento alla liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile, che ben potevano essere compensate in tutto o in parte, ricorrendo giusti motivi, rappresentati dall’assoluzione in primo grado dal reato ex art. 340 e dall’assoluzione dalla truffa in secondo grado.
Il primo e il terzo motivo dei ricorsi sono infondati e devono pertanto essere rigettati, con la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
Ed invero in tema di uso di auto di servizio la giurisprudenza di questa Sezione è ormai orientata al principio che non è configurabile il reato di peculato d’uso nell’utilizzo episodico e occasionale dell’auto di servizio solo quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale in relazione all’utilizzo del carburante e dell’energia lavorativa degli autisti addetti alla guida (Cass. Sez. VI 9/6/2011 ******; 24/5/2011 **********).
A tale principio la corte di merito si è adeguata nel caso in esame, dando conto con puntuale e adeguato apparato argomentativo, di cui prima si è fatto cenno, della sussistenza dell’ipotesi criminosa contestata, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine, sicché la motivazione non appare sindacabile in sede di controllo di legittimità, soprattutto quando i ricorrenti si limitano sostanzialmente a sollecitare un non consentito riesame del merito attraverso la rilettura del materiale probatorio.
Lo stesso dicasi della censura concernente le statuizioni civili, non riconducibili a quelle consentite dall’art. 606/1 c.p.p., volte, come esse appaiono, a sollecitare una diversa valutazione di merito, preclusa in questa sede.
Fondata è invece la censura di cui al secondo motivo.
Ed invero il fatto si è verificato in data 29/6/2003, in epoca cioè anteriore all’entrata in vigore della legge n. 94/2009, che all’art. 3 ha modificato i criteri di conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, stabilendo l’importo di Euro 250,00 per ogni giorno di pena detentiva in luogo di quello precedente di Euro 38,00. Soccorre pertanto il principio dell’applicabilità della legge più favorevole stabilito dall’art. 2 c.p., di guisa che, avvalendosi del potere conferito dall’art. 619/2 c.p.p., può questa Corte rimediare all’errore del giudice di merito, determinando nella misura di Euro 2.090,00 per ciascuno degli imputati, l’entità della pena pecuniaria, derivante dalla conversione, in tali sensi annullando senza rinvio la sentenza impugnata.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’entità della pena pecuniaria derivante dalla conversione, e determina la stessa nella misura di Euro 2.090,00. Rigetta i ricorsi nel resto. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese, che liquida nella somma di Euro 2.000,00 oltre accessori, in favore della parte civile ASL (omissis) di Lanciano – Vasto – Chieti.

Redazione