Si alla misura cautelare per la donna senza fissa dimora che aiuta l’amante ad uccidere la moglie (Cass. pen. n. 20953/2013)

Redazione 17/05/13
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Ritenuto in fatto

Con ordinanza 24/7/12 il Tribunale di Palermo in sede di riesame rigettava l’istanza proposta dalla difesa di P.G. avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 12/7/12 dal Gip del Tribunale di Trapani per i reati, in concorso con **** (commessi in (omissis)), di omicidio pluriaggravato in danno di A.M., moglie del S., e di interruzione della gravidanza della vittima, in fase prossima al parto.
Brevemente l’antefatto. ****, sposato con A.M. e padre di tre figli (A.R., Si. e C.), a un certo punto (è il (…)) impone alla moglie e ai figli la presenza, nell’abitazione familiare, di P.G., persona senza lavoro e fissa dimora e a sua volta madre di due figli, già assegnata ad una comunità alloggio di (…) e che in precedenza si era legata al fratello del S. (M.), andando ad abitare a casa sua. L’anomalo menage familiare dura dunque da poco più di una quindicina di giorni quando – è la stessa P. a rivelarlo – il S. la mette al corrente di volersi sbarazzare della moglie, uccidendola, non avendo egli la possibilità economica di affrontare un divorzio e il successivo mantenimento del coniuge e dei figli. L’azione si concretizza il tardo pomeriggio del (…), quando il S. invita la moglie e la P. ad una passeggiata in macchina finalizzata ad un acquisto. Nella tarda serata è lo stesso S. a chiamare i CC, denunciando il rapimento della moglie durante un’occasionale sosta dell’auto (in un primo tempo dirà che con loro c’erano i figli Si. e C. , solo successivamente ammetterà che vi era la P.). Il giorno dopo, in frazione (omissis) , sarebbe stato trovato il corpo semi-carbonizzato della A. . Le dichiarazioni della figlia Si..Fa. consentono tuttavia di accertare tutti i movimenti del padre quel pomeriggio, dall’uscita in auto con la moglie e l’amante per andare a comperare un decoder fino al ritorno senza la madre, che lui e la P. dicevano essere sparita durante una sosta, e all’inutile ricerca notturna nella quale il S. coinvolgeva i due figli, chiedendo loro di dire ai carabinieri di essere stati con lui e con la madre anche prima, senza coinvolgere la P. . Era comunque costei, nelle dichiarazioni rese il (…) ad ammettere la sua presenza sull’auto con la vittima e il S. , al quale solamente (pur essendo a conoscenza delle sue intenzioni) attribuiva l’azione omicida (si era fermato e, presa una pala o una zappa dal bagagliaio, aveva colpito la moglie cospargendone poi il corpo di benzina e dandole fuoco). In un successivo interrogatorio (dell'(…)) riferiva pure che, sceso il S. , ella aveva parlato con la A. per distrarla ma, venendo interrotto l’atto istruttorio ex art. 63 cpp, si valeva della facoltà di non rispondere. Per contro il (…), in sede di convalida del fermo, il S. , ponendo questa volta al suo fianco la P. anzi che i figli (come aveva affermato in precedenza), attribuiva alla P. stessa l’azione omicida nei medesimi termini in cui la donna l’aveva attribuita a lui. E invece era ancora la P. che, risentita dal Pm il (…), confermava le sue prime dichiarazioni in ordine alla causale dell’omicidio, alla sua presenza sul luogo del delitto e al preavviso dell’azione imminente (“oggi facciamo quello che ho deciso io”) datole dal S. quella stessa mattina. Confermava in particolare che il F. ebbe a colpire la moglie mentre lei l’abbracciava, quasi a suggello della pace tra loro a chiarimento delle vicende familiari che le riguardavano.
Confermati quindi dal Tribunale i gravi indizi di colpevolezza nei confronti della donna (cui era addebitato il concorso morale) e le esigenze cautelari (possibilità di inquinamento probatorio, concreto pericolo di fuga, propensione criminale).
Ricorreva per cassazione la difesa. Premesso che a carico della P. vi era solo la colpevole presenza della donna nella fase progettuale, preparatoria ed esecutiva del delitto, oltre che in quella successiva, deduceva: 1) omessa motivazione in ordine alle concrete condotte che avrebbero integrato il concorso morale nel reato ai sensi dell’art. 110 cp; 2) violazione di legge in ordine alle ritenute aggravanti della premeditazione, dell’avere agito con crudeltà verso la persona, dei motivi abbietti o futili, dell’avere approfittato della minorata difesa della vittima dovuta anche al suo stato di gravidanza; 3) inadeguatezza della più grave misura adottata, le ritenute esigenze cautelari ben potendo essere altrimenti soddisfatte. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata (specie in vista di una misura cautelare domiciliare che consentisse alla P. di coltivare il rapporto genitoriale con i figli).
All’udienza camerale fissata per la discussione il PG chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Nessuno compariva per (a ricorrente.

Considerato in diritto

Il ricorso, infondato, va respinto. È giurisprudenza pacifica di legittimità in tema di misure cautelari personali (S.U., sent. n. 11 del 22/3/00, rv. 21S828, ******), che “allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Suprema Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori”.
Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravità del quadro indiziario. È infondato affermare che il Tribunale del riesame non abbia motivato in ordine alle concrete condotte che avrebbero integrato, anzi che una mera connivenza (è la tesi difensiva), un vero e proprio concorso (che si assume morale). In realtà, nel riportare i contenuti degli apporti probatori provenienti dalle varie fonti (Fa.Si. e C. , gli stessi S.S. e G..P. ), il Tribunale ha dato ampio conto del ruolo rivestito dalla P. nell’omicidio, che dalle stesse parole dell’indagata (rese dopo gli avvertimenti di cui all’art. 63.1. cpp) emerge – quanto meno – di piena consapevolezza e di compiacente consenso: l’avere accompagnato il S. nell’ultimo viaggio in macchina con la moglie, viaggio di cui la P. sapeva lo scopo, ha significato indubbiamente aver rafforzato la volontà e la determinazione dell’uomo. Ciò è già sufficiente per un’imputazione concorsuale, fermo restando il significato (non ancora sufficientemente indagato) da attribuire alla condotta tenuta in macchina dalla P. , che anche durante la sosta finalizzata all’omicidio impegnava in conversazione l’A. . Allo stesso modo è infondato, una volta ammessa l’imputazione concorsuale (in un omicidio esplicitamente premeditato), eccepire in questa sede cautelare la ricorrenza delle aggravanti (tutte comunque emergenti dalla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale del riesame). Si ricorda (Cass., V, sent. n. 46124/08, rv. 241997, ********; Cass., VI, sent. n. 11194/12, rv. 252178, ****) che “in tema di impugnazione delle misure cautelari personali il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito”.
Quanto alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della massima misura adottata, il Tribunale ha adeguatamente motivato, ricordando l’attualità del pericolo di inquinamento probatorio (già tentato nei confronti di Sa.Si. e C. proprio in ordine alla presenza della P. nel viaggio in macchina con la vittima), il concreto pericolo di fuga (per la gravità dell’accusa e la condizione dell’indagata di persona senza fissa dimora), la propensione criminale del soggetto (dimostrata dall’insensibile ed egoistico cinismo della sua partecipazione ad un’azione posta in essere contro una donna inerme e incinta, nella cui vita familiare si era spregiudicatamente e indebitamente insediata).
Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 cpp).
Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere, va disposto ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, n. att. cpp.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, n. att. cpp.

Redazione