Sezioni Unite penali: la pena nel reato continuato non può essere inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati-satellite (Cass. pen. n. 25939/2013)

Redazione 13/06/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. Il 16 febbraio 2011 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona, accogliendo la richiesta formulata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava a C.W. e Ca.Da. – imputati entrambi dei delitti previsti dall’art. 416 cod. pen. (associazione per delinquere), art. 474 cod. pen. (introduzione nel territorio dello Stato di prodotti con marchi contraffatti), artt. 482-489 cod. pen. (falso), art. 648 cod. pen. (ricettazione), D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-bis, comma 1 e 291- ter e successive modifiche (contrabbando di kg. 9.060 di tabacchi esteri), art. 494 cod. pen. (sostituzione di persona), commessi dal mese di (omissis) al mese di (omissis) – le seguenti pene, condizionalmente sospese, ritenuta la continuazione fra i reati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulla contestata aggravante, e tenuto conto della diminuente per il rito:

– a C. un anno, sette mesi, dieci giorni di reclusione ed Euro 5.300 di multa (pena-base per il più grave delitto di cui all’art. 648 cod. pen.: tre anni di reclusione ed Euro 10.329 di multa; riduzione ex art. 62-bis cod. pen.: due anni di reclusione ed Euro 6.886 di multa; aumento ex art. 81 cpv. cod. pen.: due anni, cinque mesi di reclusione ed Euro 7.950 di multa; riduzione di un terzo per il rito);

– a Ca. un anno, quattro mesi di reclusione ed Euro 5.300 di multa (pena-base per il più grave delitto di cui all’art. 648 cod. pen.: due anni, sei mesi di reclusione ed Euro 10.329 di multa; riduzione ex art. 62-bis cod. pen.: un anno, otto mesi di reclusione ed Euro 6.886 di multa; aumento ex art. 81 cpv. cod. pen.: due anni di reclusione ed Euro 7.950 di multa; riduzione di un terzo per il rito).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona il quale lamenta violazione di legge e carenza della motivazione con riferimento alla individuazione del delitto di ricettazione come violazione più grave, atteso che la valutazione di maggiore gravità, ai fini del computo della pena per il reato continuato, deve essere effettuata in concreto e non già con riguardo alla sanzione edittale astrattamente stabilita dal legislatore. Nel caso in esame, pertanto, erroneamente è stata assunta quale pena base della violazione più grave quella del delitto di ricettazione, piuttosto che quella del delitto di contrabbando aggravato di kg. 9.060 di tabacchi lavorati esteri, punito con la pena pecuniaria di cinque Euro di multa per ogni grammo convenzionate di prodotto. La sanzione pecuniaria complessivamente irrogabile per il delitto di contrabbando aggravato, pertanto, è quella di 45.300 Euro di multa, sicuramente superiore a quella stabilita per il delitto di ricettazione (Euro 10.329 di multa). Al contrario, la pena detentiva stabilita dalla legge per il delitto di contrabbando (minimo due anni e massimo cinque anni di reclusione) è inferiore nel massimo a quella prevista per il reato di ricettazione per il quale è stabilita una pena compresa tra un minimo di due anni ed un massimo di otto anni di reclusione.

Rileva, pertanto, che ferma restando l’ammissibilità della continuazione anche nel caso in cui qualcuno dei reati contestati sia punito con pene proporzionali in senso proprio, secondo la dottrina prevalente e secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, l’individuazione della violazione più grave, ai fini del computo della pena del reato continuato, deve essere effettuata in concreto e non già con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, *******, Rv. 246895; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, *******, Rv. 243723). Di conseguenza, comparando la pena irrogabile in concreto per il reato di ricettazione e quella stabilita dalla legge per il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, risulta evidente che, a fronte di una parità del minimo edittale della pena detentiva, pari a due anni di reclusione per entrambi i reati (minimo edittale, a cui il primo giudice si è sostanzialmente tenuto vicino nella individuazione della pena-base), sussiste una palese differenza nella congiunta pena pecuniaria della multa, che, per il reato di ricettazione, arriva a un massimo edittale di Euro 10.329, mentre, per il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, è di Euro 45.300 di multa, avuto riguardo al quantitativo contestato.

Pertanto, la valutazione di maggiore gravità del reato di ricettazione si appalesa illegittima e, comunque, non sorretta da alcuna motivazione in ordine ai criteri del calcolo della pena e la multa di 5.300 Euro è illegittima per difetto.

3. La Seconda Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato ratione materiae, registrata l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sul tema centrale che ha formato oggetto dell’impugnazione, con ordinanza emessa il 25 settembre 2012, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell’art. 618 cod. proc. pen..

Evidenzia che l’applicazione del principio invocato dal ricorrente – per il quale l’individuazione del reato più grave, da considerare ai sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen. ai fini della determinazione della pena-base, deve essere compiuta tenendo conto del trattamento sanzionatorio nella sua globalità così come in concreto determinato dal giudice – si fonda su un’interpretazione giurisprudenziale del predetto art. 81 cpv. cod. pen. non uniforme nè prevalente, perchè oggetto di contrasto, nonostante i ripetuti interventi delle Sezioni Unite che hanno fissato i seguenti principi di diritto.

Per la determinazione del reato più grave agli effetti della continuazione non deve farsi riferimento alla comparazione degli indici di gravità concreta dei reati ex art. 133 cod. pen., bensì al criterio della più grave pena edittale prevista dal legislatore per ciascun reato da comparare (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 03/02/1998, Varnelli, Rv. 209485; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/1/1994, *******, Rv. 195805; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, Rv. 191128).

Il riconoscimento della continuazione non presuppone necessariamente reati sanzionati con pene omogenee ed è consentito pur se la contravvenzione è punita con una pena edittale che, valutata sotto il profilo della conversione (art. 135 cod. pen.), risulta più elevata rispetto a quella prevista per il delitto; anche in questa ipotesi, deve ritenersi violazione più grave quella costituente delitto (Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, cit.).

I principi, così sintetizzati, espressi dalle decisioni delle Sezioni Unite in precedenza richiamate, sono stati seguiti dalla giurisprudenza maggioritaria, la quale ha affermato che, in tema di reato continuato, ai fini della determinazione della violazione più grave, il giudice deve fare riferimento alla pena edittale prevista per ciascuno dei reati contestati, con la conseguenza che più grave deve essere considerata la violazione punita più severamente dalla legge (Sez. 6, n. 34382 del 14/07/2010, ***********, Rv. 248247; Sez. 5, n. 12473 dell’11/02/2010, ********, Rv. 246558; Sez. 3, n. 11087 del 26/01/2010, S., Rv. 246468; Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, ****, Rv. 246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, ********, Rv. 242866; Sez. 1, n. 26308 del 27/05/2004, ******, Rv. 229007).

Pertanto, il giudice non può liberamente scegliere quale sia la violazione più grave, essendo, invece, tenuto, nel rispetto del principio di legalità, ad effettuare la valutazione di maggiore gravità del reato sulla base della comminatoria più grave. Tale approdo ermeneutico si fonda sull’interpretazione letterale dell’art. 81 cod. pen., contenente il riferimento alla “violazione più grave” e non alla “pena più grave”, espressione quest’ultima che sarebbe stata più appropriata, qualora il legislatore avesse voluto attribuire alla pena da infliggere in concreto – tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. – l’efficacia determinatrice della più grave violazione.

L’ordinanza di rimessione evidenzia, inoltre, che il principio secondo cui, in caso di continuazione di reati, la pena irrogata per la violazione più grave non può mai essere inferiore a quella che sarebbe irrogabile per il reato o i reati-satellite sanzionati con pena edittale maggiore nel minimo, va applicato tenendo conto del trattamento sanzionatorio nella sua globalità (Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, ****, cit.).

A tale orientamento se ne contrappone un altro minoritario (richiamato dal Procuratore generale ricorrente) secondo cui, ai fini del computo della pena, l’individuazione della violazione più grave deve essere effettuata in concreto e non già con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, *******, cit; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, *******, cit.; Sez. 1, n. 4322 del 13/01/1996, dep. 10/5/1997, ********, Rv. 207433).

Questo indirizzo esegetico recepisce i principi espressi da una risalente pronuncia delle Sezioni Unite in base alla quale, ai fini della determinazione della pena-base, la più grave delle violazioni deve essere individuata con riferimento alla pena che in concreto dovrebbe essere inflitta per ciascuno dei reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, qualora non dovesse procedersi al cumulo giuridico di esse, con la conseguenza che, in tale ottica, è irrilevante l’entità edittale delle pene, astrattamente considerate, riferibili ai singoli reati (Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982, Alunni, Rv. 155673).

L’individuazione del reato ritenuto in concreto più grave incontra, peraltro, un limite invalicabile nel fatto che la pena prescelta non può mai essere inferiore a quella che sarebbe stata irrogabile per un reato concorrente, sanzionato con pena edittale maggiore nel minimo (Sez. 1, n. 4322 del 13/01/1997, ********, cit.).

4. Con decreto del 5 novembre 2012, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua trattazione l’odierna udienza in camera di consiglio.

5. Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona per l’ulteriore corso.

Preliminarmente osserva che il ricorrente ha omesso di considerare che, nel caso di specie, è stato contestato il delitto di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291 ter, comma 2, lett. c), introdotto dalla L. n. 92 del 2001, sanzionabile con la multa di Euro venticinque (e non cinque come indicato nel ricorso) per ogni grammo convenzionale di prodotto e la reclusione da tre a sette anni (e non da due a cinque anni, come erroneamente indicato dal ricorrente).

Rileva, inoltre, che il contrasto denunciato è solo apparente, in quanto, delle due sentenze citate dal ricorrente, l’una (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, *******, cit.) si limita a richiamare una pronunzia pregressa (Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, *******, cit.) che, a sua volta, cita, a sostegno della tesi affermata, il disposto dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., concernente, invece, pacificamente la fase dell’esecuzione in cui il giudice è, comunque, privo del potere discrezionale di individuare la violazione più grave.

Evidenzia, infine, che la pena base determinata dal giudice nella sentenza impugnata non è conforme ai principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., ord. n. 11 del 1997) e di legittimità (da ultimo, Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664): non è, infatti, consentito che colui che ha posto in essere più violazioni sia punito meno severamente, coeteris paribus, rispetto a chi ha realizzato solo una parte di esse, sicchè la sanzione del reato-base non può mai essere inferiore a quella prevista come minima per uno qualsiasi dei reati- satellite.

6. I difensori di C. e Ca. hanno entrambi presentato memorie difensive con le quali, anche alla luce delle conclusioni scritte formulate dal Procuratore generale, chiedono il rigetto del ricorso. Osservano che, in tema di continuazione, per la determinazione della violazione più grave occorre fare riferimento alla pena astrattamente stabilita dalla legge. Sulla base di tale presupposto argomentativo rilevano che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questo principio, laddove ha considerato reato più grave il delitto di ricettazione che prevede la pena detentiva più elevata nel massimo rispetto a quella indicata per gli altri reati contestati. E’ irrilevante, quindi, l’entità della pena pecuniaria per stabilire, in astratto, quale sia il reato più grave.

Evidenziano, poi, che è stato rispettato il principio per il quale la pena base della violazione più grave non può mai essere inferiore a quella prevista come minimo edittale per uno qualsiasi dei reati-satellite (nel caso di specie il delitto di contrabbando di cui al D.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche, artt. 291-bis e 291-ter).

Infatti, nel calcolare la pena-base, tale risultato può essere raggiunto anche tenendo conto del ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, **********, cit.). Nel caso di specie il giudice è partito da una pena base di tre anni di reclusione ed Euro 10.329 di multa per il più grave delitto di ricettazione; tale pena non solo rispetta il minimo edittale irrogabile per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. (da tre a sette anni di reclusione senza previsione di pena pecuniaria), ma rispetta anche il minimo edittale del reato previsto dal D.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche, art. 291 bis, comma 1, (da due a cinque anni di reclusione e multa minima pari ad Euro 50.005). In particolare la pena pecuniaria andrebbe calcolata tenendo conto della soglia minima di kg. 10 (convenzionali) stabiliti dalla norma per aversi la violazione del primo comma della suddetta disposizione ((kg. 10 = gr. 10.000 + gr. 1 = 10.001 grammi convenzionali, moltiplicati per 5 Euro al grammo = Euro 50.005). Pertanto, poichè il giudice ha assunto come pena base quella di tre anni di reclusione, ragguagliando (art. 135 cod. pen.) l’anno che eccede il minimo della reclusione per il reato di contrabbando, si ottiene la pena-base ragguagliata di due anni di reclusione e 91.250 Euro (365 giorni per 250 Euro), oltre alla multa di Euro 10.329. Il risultato (ragguagliato) di due anni e 101.579 di Euro eccede, pertanto, il minimo edittale previsto per il reato di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-bis, comma 1.

Inoltre, non si può prescindere dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulle aggravanti contestate, compresa quella di cui al D.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche, art. 291-ter, comma 2, lett. c). In adesione ad un recente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale comminata dalla legge, avendo però riguardo al reato ritenuto in concreto e all’eventuale giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti (Sez. 4, n. del 9/10/2007, **********, Rv. 238352).

In ogni caso, quand’anche si ritenesse di non attribuire rilievo al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, occorre considerare che l’imputazione formulata, priva della contestazione di una precisa ipotesi fra quelle disciplinate dall’art. 291-bis, fa specifico richiamo solo all’aggravante di cui al comma 1 di tale disposizione, laddove precisa che il reato di contrabbando è stato commesso adoperando mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato. Atteso che la circostanza aggravante ex art. 291-ter, comma 1 prevede soltanto un aumento della pena irrogata per il reato di cui all’art. 291-bis (reclusione da due a cinque anni e cinque Euro per ogni chilogrammo convenzionale), la pena-base di due anni e sei mesi di reclusione non viola il minimo edittale per il reato-satellite nella forma aggravata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso del Procuratore generale è fondato nei limiti di seguito precisati.

1.1. Il suo esame impone una duplice premessa metodologica.

In tema di applicazione della pena concordata fra le parti, il giudice è tenuto ad effettuare la verifica sia della qualificazione giuridica dell’imputazione che della legalità della pena irrogata.

Sotto il primo profilo il controllo è necessario, affinchè l’istituto processuale non si trasformi in un accordo sui reati e sulle stesse imputazioni, in violazione dell’art. 112 Cost. e art. 444 cod. proc. pen..

E’, quindi, obbligo del giudice valutare, sulla base degli atti presenti nel fascicolo del pubblico ministero, l’astratta corrispondenza della fattispecie contestata a quella prospettata consensualmente dalle parti, dando corso alla richiesta ovvero respingendola e procedendo nelle forme ordinarie a seconda che essa appaia o meno corretta (Sez. 3, n. 2207 del 14/12/2011, dep. 19/01/2012, *******, Rv. 251898; Sez. 5, n. 1627 del 18/12/2001, dep. 16/1/2002, *****, Rv. 220818; Sez. 2, n. 2737 del 12/05/2000, Tassine, Rv. 217757).

Con riguardo al secondo aspetto, occorre sottolineare che la determinazione contra legem della pena concordata tra le parti ed illegittimamente ratificata dal giudice, invalida la base negoziale sulla quale è maturato l’accordo e vizia la sentenza che lo ha recepito. Il controllo di congruità della pena è logicamente comprensivo della legalità di essa, ossia della sua conformità alle regole che la disciplinano, nonchè di quelle che influiscono sulla sua determinazione.

1.2. Nell’ipotesi di impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata dalla parte secondo lo schema procedi menta le previsto dall’art. 444 cod. proc. pen., l’esigenza di specificità delle censure deve ritenersi addirittura “rafforzata” rispetto ad un’ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la critica al provvedimento che abbia accolto la domanda dell’imputato deve impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto dalla stessa parte richiesto (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe, Rv. 247841; Sez. U, n. 11493 del 24/06/1998, *****, Rv. 211468).

2. Nel caso in esame, il Procuratore generale ricorrente argomenta, sulla base di un’analisi dei diversi orientamenti giurisprudenziali, che la valutazione di maggiore gravità ai fini del computo della pena deve essere effettuata in concreto e non già con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore e, muovendo da tale premessa, deduce specifiche e argomentate censure in merito alla illegalità, sotto diversi profili, della pena oggetto dell’accordo ex art. 444 cod. proc. pen..

3. Tanto premesso, la questione di diritto devoluta alle Sezioni Unite può essere riassunta nei seguenti termini: “se, in tema di reato continuato, l’individuazione della violazione più grave ai fini del computo della pena debba essere effettuata in concreto oppure con riguardo alla salutazione compiuta in astratto dal legislatore”.

4. In termini strutturali il reato continuato rappresenta un particolare figura di concorso materiale di reati, unificati dal “medesimo disegno criminoso” che sta alla base della loro commissione. L’art. 81 c.p., comma 2, stabilisce per il reato continuato il cumulo giuridico delle pene in deroga al regime del cumulo materiale previsto per il concorso materiale di reati. Il soggetto agente che, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette più violazioni soggiace al trattamento sanzionatorio previsto per tale ipotesi di concorso di reati, ossia alla pena prevista per la violazione più grave, aumentata fino al triplo.

Secondo un’autorevole dottrina e la prevalente giurisprudenza, la ratio di questo più mite trattamento sanzionatorio risiede proprio nella minore riprovevolezza complessiva dell’agente – che cede ai motivi a delinquere una sola volta, quando concepisce il disegno criminoso – e nella necessità di mitigare l’effetto del cumulo delle pene, al quale viene sostituito un cumulo giuridico.

Questa funzione dell’istituto è stata resa ancor più evidente dalla novella dell’art. 81 cod. pen. ad opera del D.L. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla L. 7 giugno 1974, n. 220, che, nel consentire l’applicazione della continuazione anche in presenza di violazioni di norme incriminatrici sanzionate con pene eterogenee, si colloca in una linea di tendenza contraria all’automatismo repressivo, propria del sistema del cumulo materiale, e favorevole, invece, ad un’accentuazione del carattere personale della responsabilità penale, con un’esaltazione del ruolo e del senso di responsabilità del giudice nell’adeguamento della pena alla personalità del reo (Sez. U, n. 5690 del 07/02/1981, *****, Rv. 149260-66; cfr. anche Corte Cost., sent. n. 254 del 1985; sent. n. 312 del 1988).

Tenuto conto dell’evoluzione normativa, dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale (sentt. nn. 115 del 1987, 361 del 1994, 324 del 2008), della complessa elaborazione giurisprudenziale che ha avuto significativi approdi in decisioni delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, dep. 23/01/2009, ******, Rv. 241755; Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, *********, Rv. 207939-40; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203965-78; Sez. U, n. 14 del 30/06/1994, *****, Rv. 214535; Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, dep. 15/01/1990, **********, Rv. 183004), è possibile ritenere ormai superata la concezione unitaria del reato continuato in favore dell’autonomia giuridica delle singole violazioni che confluiscono nel reato continuato, tranne che per gli effetti espressamente previsti dalla legge.

I reati legati dal vincolo della continuazione devono, quindi, considerarsi come una vera e propria pluralità di reati autonomi e diversi in funzione del carattere più o meno favorevole degli effetti che ne discendono. In tal modo è possibile garantire, conformemente alla natura dell’istituto, quel trattamento privilegiato che è imposto dalla sua minore riprovevolezza complessiva. La concezione unitaria del reato continuato opera, quindi, soltanto per gli effetti espressamente presi in considerazione dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, e sempre che garantisca un risultato favorevole al reo.

L’art. 81 cpv. cod. pen. stabilisce che al reato continuato si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo, con il limite massimo stabilito dalle norme che regolano il cumulo materiale (art. 72 e ss. cod. pen.).

Ciò posto, occorre ricostruire i criteri di individuazione della violazione più grave ex art. 81 cpv. cod. pen.. In proposito si registrano orientamenti contrapposti sia in dottrina che in giurisprudenza.

5. In giurisprudenza si confrontano due diversi orientamenti interpretativi.

Secondo un indirizzo maggioritario, occorre fare riferimento alla pena comminata in astratto, tenendo, però, conto – a differenza di quanto sostiene la dottrina – non della specie e dell’entità della pena, bensì del genere e dell’entità della sanzione comminata, con le conseguenti ricadute: il delitto è da considerare sempre più grave della contravvenzione e ciò anche nel caso in cui quest’ultima sia punita con una pena edittale di maggiore quantità rispetto a quella prevista per il delitto; in presenza di una pluralità di delitti (o di contravvenzioni) si deve considerare più grave il delitto (o la contravvenzione) che ha il massimo edittale più elevato; in presenza di un massimo edittale identico, occorre avere riguardo al delitto (o alla contravvenzione) con il minimo edittale più elevato (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 03/02/1998, Varnelli, Rv. 209487; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/01/1994, *******, Rv. 195805; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, Rv. 191128-29; Sez. 5, n. 13573 del 20/01/2012, *******, Rv. 253299; Sez. 3, n. 11087 del 26/01/2010, S., Rv. 246468; Sez. 6, n. 34382 del 14/07/2010, ***********, Rv. 248247; Sez. 5, n. 12473 dell’I 1/02/2010, ********, Rv. 246558; Sez. 2, n. 47447 dei 06/11/2009, ****, Rv. 246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, ********, Rv. 242866; Sez. 1, n. 26308 del 27/05/2004, ******, Rv. 229007; Sez. 5, n. 1781 del 19/04/1999, Ciccinato, Rv. 213400).

Si è tuttavia precisato che, nella concreta quantificazione della pena, il giudice non può irrogare una sanzione che risulti inferiore a quella minima stabilita per uno dei reati-satellite rispetto ai quali venga ravvisata la continuazione (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; v. anche Corte Cost., ord. n. 11 del 1997). In tale contesto, si argomenta che il riferimento al minimo edittale di maggiore gravità assume una precisa valenza unicamente nei casi in cui il giudice ritenga di dovere applicare la pena – individuata sulla base del massimo edittale più elevato – nel minimo di legge o, comunque, in misura inferiore al minimo edittale stabilito per l’altro reato, mentre se il giudice ritiene di dovere applicare una pena superiore, ben può assumere quale parametro di riferimento il massimo edittale più elevato (Sez. 6, n. 44336 del 05/10/2004, *************, Rv. 230252; Sez. 6, n. 18173 del 04/11/2002, dep. 16/04/2003, ********, Rv. 225186; Sez. 5, n. 1749 del 19/04/1999, *******, Rv. 213211; Sez. 6, n. 4087 del 19/02/1997, *****, Rv. 207402).

Secondo un diverso orientamento, invece, l’individuazione della violazione più grave ai fini del computo della pena deve essere sempre effettuata in concreto e non già con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 6, n. 25120 del 06/03/2012, ******, Rv. 252613; Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, *******, Rv. 246895; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, *******, Rv. 243723; Sez. 1, n. 4322 del 13/01/1996, dep. 10/05/1997, ********, Rv. 207433). Le decisioni riconducigli a questo indirizzo, valorizzando il tenore letterale dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. e una risalente pronunzia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982, Alunni, Rv. 155673), affermano che, ai fini della determinazione della pena-base, la violazione più grave deve essere individuata con riferimento alla pena da infliggere in concreto per ciascuno dei reati, dopo la valutazione di ogni singola circostanza e l’eventuale giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen., secondo i criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., senza alcun riguardo al titolo ed alle relative pene edittali. Rilevano poi che, in ogni caso, l’individuazione del reato ritenuto in concreto più grave incontra un limite invalicabile nel fatto che la pena prescelta non può mai essere inferiore a quella che sarebbe stata irrogabile per un reato concorrente, sanzionato con pena edittale maggiore nel minimo.

6. La questione è controversa anche in dottrina.

Secondo alcuni Autori, in ossequio al principio di legalità e a quello di certezza del diritto, per accertare quale sia la violazione più grave occorre fare riferimento all’astratta previsione legislativa, ossia alla specie (detentiva o pecuniaria) e non al genere (delittuoso o contravvenzionale) e all’entità delle sanzioni applicabili per i singoli reati uniti dal vincolo della continuazione con le conseguenti ricadute pratico-applicative: è più grave la violazione per la quale è prevista la pena detentiva rispetto al reato punito con la pena pecuniaria; in presenza di pene qualitativamente identiche, la violazione più grave è il reato punito con una pena avente un massimo edittale più elevato o, in caso di identico massimo edittale, il reato per il quale è prevista una pena avente il maggior minimo edittale.

Tale approdo esegetico è contrastato da altra parte della dottrina con plurimi rilievi critici. Sotto il profilo letterale si osserva che il tenore testuale dell’art. 81 cod. pen. evoca la concreta realizzazione del reato. Sul piano logico-sistematico si argomenta che il disposto dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., a prescindere dalla sua collocazione topografica, enuncia una regola di valenza generale che, per ragioni di coerenza complessiva del sistema, non può ritenersi limitata alla sola fase dell’esecuzione, cui pure la disposizione fa espresso richiamo.

Altri studiosi sottolineano il tenore ambiguo dell’art. 81 cod. pen., in quanto tale suscettibile di diverse letture, ed evidenziano che l’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. ben può essere considerata una disposizione speciale dettata dalle particolari esigenze della fase esecutiva.

Un ulteriore indirizzo teorico osserva che un limite alla tesi che da rilievo alla maggiore gravità della violazione considerata in astratto è rappresentato dall’ambiguità degli indici edittali; infatti un reato può essere punito con una pena edittale massima più elevata, ma con una pena edittale minima meno elevata rispetto a quella rispettivamente prevista per l’altro reato in continuazione e che, in tale caso, per stabilire quale sia in astratto la violazione più grave, si pongono due alternative, entrambe insoddisfacenti. Se si decide di fare, comunque, riferimento al massimo edittale, non necessariamente alla maggiore gravità in astratto corrisponde la maggiore gravità in concreto, con la conseguenza che la pena complessiva del reato continuato può risultare di entità addirittura inferiore al minimo edittale previsto per un’altra violazione. Utilizzando, per ovviare a tali inconvenienti, il criterio del minimo più elevato, s’introduce un parametro meramente formale, in quanto tale inidoneo a dar conto del profilo sostanziale e dell’effettivo disvalore espresso dalla cornice edittale.

Traendo spunto da questi rilievi critici, altri Autori argomentano che si deve fare riferimento alla violazione che in concreto risulta essere più grave, con la conseguenza che il giudice, nel rispetto dei parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., deve innanzitutto determinare la pena per ciascun reato, consumato o tentato, tenendo conto anche delle eventuali circostanze, del loro giudizio di bilanciamento e, quindi, assumere come pena-base per l’aumento fino al triplo quella che, alla stregua di tali operazioni, risulta essere più grave.

7. La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite si colloca sullo sfondo di un’articolata e graduale elaborazione di principi conseguente alla riforma dell’art. 81 cod. pen., introdotta con il D.L. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla L. 7 giugno 1974, n. 220. L’iniziale indirizzo interpretativo in base al quale l’unificazione di pene di specie o genere diverse costituisce una violazione del principio di legalità (Sez. U, n. 12190 del 23/10/1976, ********, Rv. 134812-13) è stata superato da altre decisioni che, valorizzando l’ampliato ambito applicativo del reato continuato conseguente alla modifica del 1974, hanno ritenuto ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee dapprima con esclusivo riguardo alle pene congiunte stabilite per il reato più grave (Sez. U, n. 14890 del 22/01/1977, *******, Rv. 137328-30), quindi anche con riferimento all’ipotesi inversa (Sez. U, n. 62206 del 30/04/1983, *********, Rv. 159727) e, infine, in relazione a reati puniti con pene di specie diversa (Sez. U, n. 6300 del 26/05/1984, ******, Rv. 165181).

Tutte queste prime decisioni non hanno, peraltro, affrontato espressamente la questione interpretativa concernente il concetto di violazione più grave.

Successive pronunzie delle Sezioni Unite, nell’approfondire ulteriormente la problematica, hanno argomentato che, ai fini dell’individuazione della violazione più grave da assumere come base per il calcolo delle pene, occorre riferirsi alle valutazioni astratte compiute dal legislatore, ossia si deve avere riguardo alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, sicchè la violazione più grave va individuata in quella punita dalla legge più severamente (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, *******, cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, cit.). Sulla pena in concreto inflitta per tale illecito deve essere, poi, applicato l’aumento di pena per la continuazione, contenuta nel limite massimo del triplo.

Il Collegio ritiene di confermare in questa sede quest’ultimo orientamento esegetico in favore del quale militano plurime considerazioni di tipo letterale e logico-sistematico.

8. La corretta impostazione della problematica implica, innanzitutto, la ricostruzione dei principi e dei criteri generali contenuti in alcune disposizioni del codice penale che delineano una precisa trama interpretativa in base alla quale, ai fini dell’individuazione della violazione più grave da assumere come base per il calcolo della pena da irrogare in caso di reati in continuazione (art. 81, comma secondo, cod. pen.), deve ritenersi più grave il delitto rispetto alla contravvenzione, fungendo il parametro quantitativo come integratore in presenza di pene di uguale specie.

L’art. 17 cod. pen., nell’elencare in maniera tassativa e vincolante per l’interprete le “specie” di pene principali che si applicano a seguito della commissione di un fatto-reato, da un iato, fornisce il criterio di tipo nominalistico per identificare l’illecito criminale rispetto agli altri tipi di illecito previsti dall’ordinamento e, al contempo, coordinandosi con l’art. 39 cod. pen., introduce il criterio formale di individuazione delle due fattispecie tipiche di reato, i delitti e le contravvenzioni. Un fatto costituisce reato ogniqualvolta la legge stabilisce per esso una sanzione criminale – pena principale – denominata come ergastolo, reclusione, multa “per i delitti”, arresto e ammenda “per le contravvenzioni”, distinta dalle altre sanzioni extrapenali quanto alla funzione rieducativa, al contenuto prevalentemente afflittivo ed alle finalità di prevenzione generale e speciale.

Il successivo art. 18, a sua volta, raggruppa le pene principali per “genere”, a seconda del bene da essere sacrificato: “pene detentive” o “restrittive della libertà personale” sono l’ergastolo, la reclusione (per i reati militari la reclusione militare prevista dall’art. 22 c.p.m.p.) e l’arresto; “pene pecuniarie”, incidenti sul patrimonio, sono, invece, la multa e l’ammenda.

Nell’impossibilità di enucleare un affidabile criterio qualitativo di distinzione tra delitti e contravvenzioni, così come evidenziato dalla stessa Relazione al codice (vol. 1^, 82), il criterio discretivo più condivisibile e maggiormente seguito sia in dottrina che in giurisprudenza è quello incentrato sulla qualità delle sanzioni (art. 39 cod. pen.). La legge fornisce numerosi elementi di valutazione per ritenere che i delitti siano più gravi rispetto alle contravvenzioni anche nei casi in cui queste ultime siano assistite da una sanzione che, riguardata sotto il profilo della conversione, risulti maggiore quantitativamente rispetto a quella prevista per il delitto. Significative, in tale prospettiva, appaiono le disposizioni in tema di sospensione condizionale della pena, prescrizione, conversione (L. n. 689 del 1981, art. 102), entità massima delle pene rispettivamente previste per i delitti e le contravvenzioni (art. 78 cod. pen.). Si tratta di elementi univocamente significativi, pur tenendo conto del fatto che alcune collocazioni sistematiche appaiono decisamente sorpassate. Degno di nota al riguardo è il rilievo che anche il legislatore del 1981, con la legge di depenalizzazione, intervenuta ad una significativa distanza di tempo dall’emanazione del codice, pur introducendo qualche innovazione, ha lasciato sostanzialmente inalterati gli indici sopra indicati che depongono certamente per la maggiore gravità dei delitti rispetto alle contravvenzioni (Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarmi, cit.).

Così precisato il rapporto tra delitti e contravvenzioni, è indubbio che, nel concorso fra tali reati, debba essere ritenuta più grave la violazione costituente delitto, anche se la contravvenzione è punita edittalmente con una pena che, riguardata sotto il profilo della conversione, risulti maggiore quantitativamente rispetto a quella stabilita per il delitto.

Il discorso quantitativo serve come “integratore”, allorquando si tratti di pene di uguale specie, al fine di decidere della maggiore gravità dell’una o dell’altra violazione.

9. In una prospettiva costituzionale l’approdo ermeneutico in base al quale, ai fini della individuazione della violazione più grave nell’ambito del reato continuato, deve aversi riguardo all’astratta previsione normativa si giustifica alla luce dei principi enunciati dall’art. 101 Cost., comma 2 e art. 3 Cost. La nozione di “violazione più grave” in astratto assume come parametro di riferimento le valutazioni compiute dal legislatore in relazione al tipo di condotta trasgressiva. Qualora si attribuisse rilievo alla decisione adottata in concreto dal giudice in relazione alla singola fattispecie sottoposta al suo esame, si invaderebbe uno spazio riservato alla competenza esclusiva del legislatore, al quale soltanto spetta stabilire se una condotta contraria alla legge debba essere qualificata più o meno grave di un’altra e configurare come delitto anzichè come contravvenzione una determinata condotta contra ius.

Inoltre la determinazione giudiziale caso per caso della violazione più grave in concreto potrebbe essere foriera delle soluzioni più disparate con conseguente possibile lesione dell’affidamento in una parità di trattamento di situazioni analoghe.

Sul piano dell’interpretazione letterale, deve essere attribuita una particolare valenza all’espressione “violazione”, contenuta nell’art. 81 cod. pen.: essa evoca la condotta illecita descritta dalla norma incriminatrice che, in un’ottica sanzionatoria, è assistita da un minimo e da un massimo edittale e si connota concettualmente in maniera distinta ed autonoma rispetto alla nozione di “pena”.

Da un punto di vista logico-sistematico, tale lettura è quella maggiormente coerente con le scelte effettuate dal legislatore in ambito processuale; si richiamano, a tale riguardo, le disposizioni in tema di competenza per materia (art. 4 cod. proc. pen.), competenza per connessione (art. 16 c.p.p., comma 1), nonchè in materia di applicazione di misure cautelari personali (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarmi, cit.; Sez. 6, n. 34382 del 14/07/2010, *****************, Rv. 248247; Sez. 5, n. 12473 dell’11/02/2010, ********, Rv. 246558; Sez. 3, n. 11087 del 26/01/2010, S., Rv. 246468; Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, ****, Rv. 246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, ********, Rv. 242866; Sez. 1, n. 44860 del 05/11/2008, ******, Rv. 242198; Sez. 1, n. 26308 del 27/05/2004, ******, Rv. 229007).

Il criterio della gravità “in concreto”, consacrato dall’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., non può essere valorizzato a sostegno di una diversa interpretazione, atteso il carattere derogatorio della disposizione rispetto a quanto stabilito dall’art. 81 cod. pen., desumibile dalla stessa dizione della norma che usa l’espressione “si considera violazione più grave”. Il legislatore ha utilizzato l’espressione “violazione più grave” e non “pena più grave”, come avrebbe fatto se avesse voluto attribuire alla pena da infliggere in concreto – tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. – l’efficacia determinatrice della più grave violazione. L’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. è, pertanto, espressamente e logicamente limitato alla fase dell’esecuzione, in cui si può solo prendere atto della valutazione effettuata dal giudice della cognizione, sicchè, per esaminare sentenze o decreti irrevocabili ai fini del concorso formale o della continuazione, ci si deve necessariamente riferire alle pene più gravi che siano state concretamente inflitte.

10. Sotto il profilo dell’evoluzione storica dell’istituto, infine, il concetto di violazione più grave da cui prendere le mosse quanto al calcolo della pena non è stato in alcun modo interessato dalla novella del 1974 e, in assenza di un espresso mutamento legislativo, non è consentito all’interprete, traendo spunto da una modifica riguardante altri profili, prospettare una diversa disciplina che non trova alcun fondamento nel dato testuale dell’art. 81 cod. pen..

11. Per tutte queste ragioni non appare condivisibile l’opposto indirizzo esegetico che afferma la necessità di una valutazione in concreto della violazione più grave unicamente sulla base di un’interpretazione logico-sistematica dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, *******, cit.; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, *******, cit.) e di un iter argomentativo avulso dal complesso delle specifiche considerazioni sviluppate nel tempo da plurime decisioni delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, *******, cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, cit.) e non corredato da ulteriori rilievi critici e da prospettive esegetiche atti a suggerire un ripensamento dell’intera problematica.

12. Una volta individuata la “violazione più grave” nel senso sopra chiarito, i reati meno gravi perdono la loro autonomia sanzionatoria e il relativo trattamento sanzionatorio confluisce nella pena unica irrogata per tutti i reati concorrenti. Costituisce, infatti, una pena legale non solo quella stabilita dalle singole fattispecie incriminatrici, ma anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, quali sono, appunto, tra le altre, quelle concernenti il reato continuato (Sez. U, n. 4901 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U., n. 748 del 12/10/1993, *******, cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, cit.; Sez. U, n. 5690 del 07/02/1981, *****, Rv. 149259-149263). Tale lettura appare coerente con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale che, avallando l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 5656 del 26/05/1984, Rabassi, Rv. 164862), ha affermato che pena legale non è solo quella prevista dalla singola norma incriminatrice, ma quella che risulta dall’applicazione delle varie disposizioni che incidono sul trattamento sanzionatorio e che, quindi, la pena unica progressiva, applicata come cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen., è anch’essa pena legale, perchè prevista dalla legge (Corte Cost., sent. n. 312 del 1988).

Anche se essa deve essere il risultato di una operazione unitaria, occorre tuttavia che sia individuabile la pena stabilita dal giudice in aumento per ciascun reato-satellite (Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995, Zouine, Rv. 201549), e ciò sia per la verifica dell’osservanza del limite di cui all’art. 81 cod. pen., comma 3 sia perchè a taluni effetti il cumulo giuridico si scioglie: basti pensare alla prescrizione che va considerata distintamente per ciascun reato (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, cit.; Sez. U, n. 10928 del 10/10/1981, *********, Rv. 151241-151242); all’indulto, in cui occorre applicare il beneficio a quei reati che in esso rientrano (Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, dep. 15/01/1990, **********, Rv. 183004); all’estinzione di misure cautelari personali, quando la suddivisione della pena irrogata per i reati- satellite rilevi per il calcolo della durata massima della custodia cautelare o per l’accertamento dell’avvenuta espiazione di pena (Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, *********, Rv. 207939-40); alla sostituzione delle pene detentive brevi (L. n. 689 del 1981, art. 53, u.c.) in cui la pena del reato continuato si scompone per determinare la porzione di pena suscettibile di sostituzione per quei reati che la ammettono.

L’applicabilità della continuazione anche tra norme incriminatrici eterogenee comporta che il cumulo giuridico possa avvenire tra pene diverse sia nel genere (detentive o pecuniarie) che nella specie (reclusione o arresto ovvero multa o ammenda).

La giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale atteggiamento di chiusura (Sez. U, n. 12189 del 23/10/1976, ******, Rv. 134811; Sez. U, n. 12190 del 23/10/1976, ********, cit.), ha successivamente inverato il precetto normativo riconoscendo la possibilità della continuazione fra reati, di cui uno punito con pena pecuniaria e detentiva congiunte e l’altro con pena unica, semprechè le pene congiunte siano previste per il reato più grave (Sez. U, n. 14890 del 22/10/1977, *******, cit.). Ha, poi, esteso tale principio al caso inverso, stabilendo che al reato più grave va aggiunta la pena pecuniaria prevista per il reato satellite (Sez. U, n. 6219 del 30/04/1983, ********, Rv. 159726; Sez. U, n. 6220 del 30/04/1983, *********, cit.).

E’, così, progressivamente emersa la consapevolezza che, in caso di concorso di pene eterogenee, una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatolo originariamente previsto per i reati-satellite perde la sua specificità, proprio per la ragione che, individuata la violazione più grave, essi vanno a comporre una sostanziale unità, disciplinata e sanzionata diversamente mediante le regole dettate all’uopo dal legislatore. L’avere il legislatore espressamente disciplinato questa possibilità con conseguente previsione sanzionatola, consente di affermare che non vi è violazione del principio di legalità, dovendosi ogni norma incriminatrice leggere, per quanto riguarda l’aspetto punitivo, come se essa contenesse un’eccezione derogativa della sanzione per il caso che la violazione contemplata vada a comporre un reato continuato.

Qualora l’aumento della sanzione del reato principale venisse calcolato sulla base della pena qualitativa edittalmente prevista per il reato o i reati satellite, si violerebbe il preciso disposto normativo che prevede un aumento della pena base determinato per la più grave delle violazioni, quella pena cioè prevista per il reato più grave e non mediante aumenti derivati da pene di specie diversa.

13. Sulla base delle considerazioni sinora svolte, è indubbio che, in tema di determinazione della pena ai sensi dell’art. 81 cod. pen., deve aversi riguardo alla violazione considerata più grave in astratto e non in concreto (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, *******, cit,; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, cit.), sicchè, allorchè occorra individuare il reato più grave, deve farsi riferimento alla pena edittale, ovvero alla gravità “astratta” dei reati per i quali è intervenuta condanna, dandosi rilievo esclusivo alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, senza che possano venire in rilievo anche gli indici di determinazione della pena di cui all’art. 133 cod. pen. che possono contribuire alla determinazione di quella da infliggere in concreto (cfr. Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, **********, cit. che, per prima, ha rivisto l’orientamento espresso da Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982, Alunni, che proprio a tali indici aveva fatto riferimento).

Ciò posto, però, occorre considerare che la nozione di “violazione più grave” ha una valenza “complessa”, che muovendo dalla sanzione edittale comminata in astratto per una determinata fattispecie criminosa, implica la valutazione delle sue concrete modalità di manifestazione. Nel sistema del codice penale, infatti, per sanzione edittale deve intendersi la pena prevista in astratto con riferimento al reato contestato e ritenuto (in concreto) in sentenza, tenendo conto, cioè, delle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, salvo che specifiche e tassative disposizioni escludano, a determinati effetti, la rilevanza delle circostanze o di talune di esse. Di conseguenza, una volta che sia stata riconosciuta la sussistenza delle circostanze attenuanti e che sia stato effettuato il doveroso giudizio di bilanciamento delle stesse rispetto alle aggravanti, l’individuazione in astratto della pena edittale non può prescindere dal risultato finale di tale giudizio, dovendosi calcolare nel minimo l’effetto di riduzione per le attenuanti e nel massimo l’aumento per le circostanze aggravanti (Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, ******, cit; Sez. 1, n. 24838 del 15/06/2010, Di *********, Rv. 248047; Sez. 1, n. 9828 del 05/02/2009, *****, Rv. 243426; Sez. 4, n. 47144 del 09/10/2007, **********, Rv. 238352; cfr. Sez. 6, n. 1318 del 12/12/2002, dep. 14/01/2003, *********, Rv. 223343; Sez. 2, n. 3307 del 20/01/1992, ********, Rv. 189675; Sez. 1, n. 8238 del 08/04/193, *******, Rv. 160649).

Si deve, pertanto, conclusivamente affermare, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 3, il seguente principio di diritto: “In tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse”.

14. Fermo restando il criterio di individuazione della violazione più grave sopra enunciato, qualora il giudice intenda graduare al livello più basso la dosimetria della pena, non gli è tuttavia consentito applicare una pena-base inferiore al minimo edittale previsto per uno qualsiasi dei reati unificati dall’identità del disegno.

Un simile approdo è in linea con i principi costantemente espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di concorso formale e di continuazione fra reati con plurime decisioni i cui enunciati hanno una valenza ermeneutica generalizzata (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, cit.; Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarmi, cit.; v. anche Corte Cost., ord. n. 11 del 1997). In tali decisioni si argomenta, infatti, che, in caso di reati unificati dall’identità del disegno criminoso in ordine ai quali debba trovare applicazione una pena di identica specie, ove l’uno di essi sia punito con pena più elevata nel massimo e l’altro con pena più elevata nel minimo, la pena da irrogare in concreto non può essere inferiore alla seconda previsione edittale (v. anche Sez. 3, n. 19737 del 14/04/2011, *****, Rv. 250335; Sez. 3, n. 9261 del 28/01/2010, *********, Rv. 246236; Sez. 5, n. 12473 del 11/02/2010, ********, Rv. 246558; Sez. 2, Sentenza n. 19148 del 19/04/2007, Cannellino, Rv. 236406; Sez. 2, Sentenza n. 10987 del 17/02/2005, *******, Rv. 231327; Sez. 5, n. 4503 del 15/10/1997, Pellegrino, Rv. 209663; Sez. 6, n. 4087 del 19/02/1997, *****, Rv. 207402).

Si deve, pertanto, conclusivamente affermare, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 3, il seguente principio di diritto: “In caso di concorso di reati puniti con sanzioni omogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’individuazione del concreto trattamento sanzionatorio per il reato ritenuto dal giudice più grave non può comportare l’irrogazione di una pena inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati-satellite”.

15. Nel caso in esame gli imputati sono chiamati a rispondere dei delitti previsti dall’art. 416 cod. pen. (associazione per delinquere), art. 474 cod. pen. (introduzione nel territorio dello Stato di prodotti con marchi contraffatti), artt. 482-489 cod. pen. (falso), art. 648 cod. pen. (ricettazione), D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-bis, comma 1 e art. 291-ter e successive modifiche (contrabbando di kg. 9.060 di tabacchi esteri), art. 494 cod. pen. (sostituzione di persona).

Il reato più grave, avuto riguardo al massimo della sanzione edittale detentiva per esso prevista, è quello di ricettazione (art. 648 cod. pen.).

Con riferimento al concorrente reato di contrabbando – prospettato quale reato più grave nel ricorso del Procuratore generale – occorre evidenziare che entrambi gli imputati sono chiamati a rispondere del delitto di contrabbando aggravato D.P.R. n. 43 del 1973, ex art. 291 bis e art. 291 ter, comma 2, lett. c), così come modificato dalla legge n. 92 del 2001, trattandosi di fatto connesso con il reato contro la fede pubblica di cui all’art. 474 cod. pen..

La circostanza aggravante di cui alla L. n. 43 del 1973, art. 291- ter, comma 2, lett. c), così come modificato dalla L. n. 92 del 2001, è contestata specificamente nel corpo dell’imputazione elevata nei confronti di entrambi gli imputati che rispetto ad essa hanno avuto modo di esercitare effettivamente e con pienezza le loro difese, sicchè la mancata formale indicazione dell’ipotesi di cui al comma 2, lett. c), del predetto art. 291-ter è irrilevante, non essendosi tradotta in una compressione del diritto garantito dall’art. 24 Cost.. Sul punto, quindi, non possono trovare accoglimento i rilievi svolti, nelle rispettive memorie, dai difensori degli imputati.

Tenuto conto dell’epoca di entrata in vigore della L. n. 92 del 2001 (pubblicata nella G.U. n. 79 del 4 aprile 2001) e della data di commissione del reato (agosto-dicembre 2008) è pacifica l’applicabilità delle modifiche normative contenute nella L. n. 92 del 2001 che ha introdotto nuove più sfavorevoli previsioni penali.

Il Procuratore generale ricorrente, pur facendo espresso riferimento alla contestazione del fatto contenuta nel capo d’imputazione (contrabbando di kg. 9.060 di tabacchi lavorati esteri, connesso con un delitto contro la fede pubblica), nell’ambito delle argomentazioni sviluppate in ordine ai criteri di individuazione della violazione più grave in tema di reato continuato e alla conseguente dosimetria della pena, ha omesso di prendere in specifica considerazione l’ipotesi aggravata di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-ter, comma 2, lett. c), così come modificato dalla L. n. 92 del 2001 (sanzionata con la reclusione da tre a sette anni e con la multa di venticinque Euro per ogni grammo convenzionale di prodotto), limitandosi a richiamare erroneamente la sola disposizione di cui all’art. 291-bis (punita con la pena della reclusione da due a cinque anni e con la multa di cinque Euro per ogni grammo convenzionale di prodotto superiore ai dieci chilogrammi D.Lgs. n. 58 del 2010, ex art. 39-quinquies).

16. Le richieste di applicazione concordata della pena avanzate per iscritto dagli imputati, cui il pubblico ministero ha prestato il suo consenso (cfr. verbale di udienza) e che sono state recepite dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona con la sentenza pronunziata il 16 febbraio 2011 ex art. 444 cod. proc. pen., prevedevano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da dichiarare prevalenti sulle contestate aggravanti.

Il provvedimento impugnato non ha precisato i reati in relazione ai quali sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche.

Peraltro, in adesione all’orientamento espresso da queste Sezioni Unite e condiviso dal Collegio (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, cit.; in senso conforme Sez. 6, n. 12414 dell’08/03/ 2011, V., Rv 249646; Sez. 1, n. 37108 del 20/09/2002, ******, Rv 222528), è da ritenere che, in presenza di più reati uniti tra loro con il vincolo della continuazione, se il giudice non ha espressamente indicato le imputazioni in relazione alle quali sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, queste ultime debbono intendersi riferite, sulla base di una valutazione globale del complesso dei fatti funzionale ad accertare aspetti fondamentali ai fini del complessivo trattamento sanzionatorio (quali la capacità a delinquere, l’intensità del dolo, la condotta del reo antecedente, contemporanea e susseguente al singolo fatto, etc.) e in assenza di specifici elementi di segno contrario, a tutti i reati in contestazione per il principio del favor rei e tenuto conto della natura stessa di tali circostanze, basate su considerazioni attinenti alla personalità dell’imputato.

Di conseguenza le circostanze attenuanti generiche devono, nella concreta fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, intendersi riconosciute anche con riguardo al delitto di contrabbando aggravato, in quanto, per espressa previsione normativa (D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-ter, comma 3, così come modificato dalla L. n. 92 del 2001), la circostanza aggravante di cui all’art. 291-ter, comma 2, lett. c), non è sottratta al giudizio di bilanciamento (art. 69 cod. pen.) con eventuali circostanze attenuanti ritenute sussistenti.

Il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate comporta che violazione più grave debba essere considerato il delitto di ricettazione per il quale i limiti massimi della pena della reclusione (da due a otto anni) sono più elevati rispetto a quelli del reato di contrabbando D.P.R. n. 43 del 1973, ex art. 291-bis, così come modificato dalla L. n. 92 del 2001 (da due a cinque anni di reclusione).

17. Sulla base di tali rilievi è evidente che, nel caso di specie, la pena pecuniaria prevista per il più grave delitto di ricettazione (multa da Euro 516 ad Euro 10.329) è inferiore a quella minima (multa di Euro cinque per ogni grammo convenzionale di prodotto, come definito da ultimo dal D.Lgs. n. 58 del 2010, art. 39-quinquies), irrogabile per il reato di contrabbando, tenuto conto del quantitativo di kg. 9.060 di tabacchi lavorati esteri oggetto della condotta contestata (erroneamente pretermesso nelle memorie difensive), nonchè del giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con l’aggravante di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-ter e successive modifiche. Per quest’ultimo, infatti, la legge stabilisce, oltre alla reclusione, una pena pecuniaria proporzionale in funzione del valore economico dell’oggetto materiale del reato (valore della merce) e del danno (tributo evaso) cagionato dalla condotta.

La proporzionalità non incide sulla fattispecie legale, caratterizzata da una struttura essenzialmente unitaria, ma investe soltanto il sistema di commisurazione della pena, tant’è che non è prevista una speciale disciplina sanzionatoria riferita al concorso formale o materiale di reati; è di conseguenza esclusa ogni incompatibilità con il regime previsto dall’art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 5690 del 07/02/1981, *****, cit.). La continuazione è ammessa, quindi, anche nel caso in cui alcuno dei reati sia punito con pene propriamente proporzionali (Sez. 3, n. 24719 del 15/05/2001, *********, Rv. 219102; Sez. 3, n. 5704 del 14/03/1983, *********, Rv. 159551; Sez. 3, n. 1393 del 06/12/1982, dep. 16/02/1983, Di *******, Rv. 157469; Sez. 3, n. 8304 del 17/06/1981, ********, Rv. 150213; Sez. 3, n. 5270 del 16/03/1979, *******, Rv. 142196).

Comparando, quindi, la pena pecuniaria applicabile per il reato di ricettazione (da un minimo di 516 Euro ad un massimo di 10.329 Euro) e quella proporzionale stabilita dalla legge per il delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (Euro 5 per ogni grammo di tabacchi lavorati esteri), risulta che, a fronte di una parità del minimo edittale della pena detentiva, vi è, tra i due reati, una sensibile differenza nella pena pecuniaria, considerato che per il delitto di contrabbando (D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-bis, comma 1 e art. 291-ter, comma 2, lett. c), così come modificato dalla legge n. 92 del 2001) essa, tenuto conto del quantitativo contestato (kg. 9.060) non può essere inferiore ad Euro 45.300.000 (Euro 5.000 x 9.060 kg.).

Nè a diversa conclusione si perviene considerando il ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva per la differenza tra la pena pecuniaria applicata per il reato più grave e quella maggiore applicabile al reato satellite.

18. Va effettuata anche la verifica dell’osservanza del limite minimo con riferimento ai restanti reati satellite.

Relativamente al delitto di cui all’art. 416 cod. pen., occorre differenziare le posizioni di C. e Ca..

Al primo è stata contestata e riconosciuta in sentenza l’ipotesi di cui all’art. 416 c.p., comma 1 (promotore del sodalizio); avuto riguardo al minimo edittale (tre anni di reclusione) e al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, la pena applicata in concreto è ampiamente superiore al minimo previsto dalla legge.

Essendo stata, invece, contestata e riconosciuta nei confronti di C. l’ipotesi di cui all’art. 416 c.p., comma 2, è indubbio che la pena applicata in concreto per tale reato è ampiamente superiore al minimo edittale (un anno di reclusione), tenuto conto della ritenuta sussistenza delle circostanze attenuanti generiche e del relativo giudizio di bilanciamento.

Ampiamente rispettati risultano, infine, i minimi edittali previsti per gli ulteriori reati-satellite contestati. In particolare quanto all’art. 474 cod. pen. (poi sostituito dalla L. n. 99 del 2009, art. 7), si rileva che lo stesso, al momento del fatto (2008), era sanzionato fino a due anni di reclusione e fino ad Euro 2065 di multa e che, dunque, la pena minima era di quindici giorni di reclusione e cinque Euro di multa (l’art. 24 cod. pen. è stato modificato dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 60).

19. Non può farsi ricorso alla procedura di rettificazione (art. 619 c.p.p., comma 2) per applicare d’ufficio, una misura della pena esulante dall’accordo intervenuto, in quanto l’imputato, di fronte ad essa, potrebbe non rinnovare la richiesta, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., e optare per il rito ordinario (Sez. 5, n. 46790 del 25/10/2005, **********, Rv 233033; Sez. 5, n. 40840 del 20/09/2004, Terzetti, Rv 230216; Sez. 3, n. 30581 del 12/06/2001, ********, Rv. 220046; Sez., n. 641 del 16/02/1999, *****, Rv. 213275; Sez. 1, n. 1571 del 14/03/1995, **********, Rv 201163; Sez. 6, n. 2791 del 01/02/1995, *******, Rv. 200808; Sez. 6, n. 3462 del 06/11/1990, dep. 23/03/1991, ******, Rv 186694; Sez. 1, 19/06/1998, n. 3655, *********, Rv 211424; Sez. 1, n. 574 del 06/02/1992, ********, Rv 189929).

20. Per queste ragioni, quindi, s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona per il corso ulteriore. Nel giudizio conseguente all’annullamento senza rinvio della sentenza di “patteggiamento” (art. 444 cod. proc. pen.) determinata da illegalità della pena, le parti sono rimesse dinanzi al giudice nelle medesime condizioni in cui si trovavano prima dell’accordo annullato e, pertanto, non è loro preclusa la possibilità di riproporlo, sia pure in termini diversi (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe, cit.).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2013.

Redazione