Sezioni Unite civili: anche la semplice redazione di atti integra esercizio abusivo della professione (Cass. n. 22266/2012)

Redazione 07/12/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte:

premesso che con decisione depositata il 15 dicembre 2011 e notificata all’interessato il 2 febbraio 2012, il Consiglio nazionale forense ha respinto il ricorso proposto dall’avv. B.A. avverso la sanzione disciplinare dell’avvertimento, inflittagli dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Varese che lo aveva ritenuto responsabile dell’illecito disciplinare di cui all’art. 21, 2^ canone del codice deontologico forense, per avere agevolato, dal 12 luglio 2003 al novembre 2005, l’esercizio abusivo della professione da parte del fratello, avv. B.M.T., cancellato dall’albo degli avvocati di Lecco, consentendo che questi trattasse con continuità pratiche legali nel suo studio;

che con ricorso notificato il 24 febbraio 2012, l’avv. B. A. ha chiesto con due motivi l’annullamento di tale sanzione;

che nessuno degli intimati si è costituito;

che il ricorso deduce, col primo motivo, la prescrizione quinquennale dell’azione disciplinare a norma del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 51, e col secondo, l’eccesso di potere e la violazione di legge da parte del C.N.F.;

ritenuto, con riferimento alla deduzione di prescrizione quinquennale dell’azione disciplinare, che, sebbene questa, stante la natura pubblicistica della materia, possa in via di principio essere proposta per la prima volta o rilevata d’ufficio in questa sede di legittimità, sempre che il relativo esame non comporti indagini di fatto (cfr., ex ceteris, Cass. S.U. 26.11.2008 o 11.3.2004 n. 5038 o 26 giugno 2003 n. 10162), nel caso in esame essa non viene argomentata dal ricorrente con l’evidenziazione di specifici elementi del fatto, nè questi ultimi emergono dagli atti di causa (risultando pacificamente dalla decisione impugnata che l’azione disciplinare è iniziata il 28 aprile 2008 per fatti avvenuti tra il 12 luglio 2003 e il novembre 2005) sicchè la deduzione deve ritenersi inammissibile;

ritenuto che il vizio di eccesso di potere denunciabile in questa sede di legittimità, a norma del cit. R.D.L. n. 1578, art. 56, è unicamente quello concernente il potere giurisdizionale, concretantesi nell’esplicazione di una potestà riservata dalla legge all’autorità legislativa o a quella amministrativa o non attribuita ad alcuna autorità (cfr. Cass. 10 febbraio 1998 n. 1342 o 23 marzo 2007 n. 7103) e rilevato che nessuna censura di questo tipo è formulata nel ricorso;

ritenuto che anche il motivo di ricorso che denuncia la violazione di legge è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato;

che esso è inammissibile, ove confusamente accenna alla disciplina di cui all’art. 42 c.p. o censura apoditticamente la decisione impugnata per irragionevolezza o per travisamento dei fatti (per di più censura quest’ultima estranea all’ambito dell’ordinario controllo di legittimità della Corte);

che il motivo è manifestamente infondato, nella parte in cui invoca l’art. 348 c.p., sostenendo che gli atti di esercizio abusivo della professione di avvocato sono unicamente quelli compiuti davanti ad un giudice, in contrasto con la giurisprudenza uniforme della Corte di cassazione anche penale (cfr., ad es. Cass. 6 aprile 2004 n. 18898, secondo la quale per realizzare il delitto di cui all’art. 348 c.p. è sufficiente che il soggetto non abilitato “curi pratiche legali dei clienti o predisponga ricorsi, anche senza comparire in udienza”;

che pertanto l’accertamento del Consiglio Nazionale Forense secondo cui l’incolpato avrebbe consentito che il fratello frequentasse il suo studio per ricevere i propri clienti, trattando poi le relative pratiche (almeno in una occasione col legale avversario in sede di pignoramento) è stato posto correttamente a fondamento della ritenuta responsabilità disciplinare dell’avv. B.A.;

che il ricorso debba essere conseguentemente respinto, senza far luogo al regolamento delle spese di giudizio, non avendo gli intimati svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Redazione