SEZ. LAV. SEZ. VII, ORDINANZA N. 2330 DEL 06 FEBBRAIO 2015

Redazione 07/06/15
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Cass. Civ., sez. VILav., 06-02-2015, n. 2330

1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Milano, Poste Italiane s.p.a. chiedeva accertarsi la legittimità della sanzione disciplinare (sospensione di dieci giorni) inflitta al dipendente L.M. per avere egli tenuto condotta offensiva ed aggressiva nei confronti di alcune colleghe di lavoro.

2.- Accolta la domanda e proposto appello dal L., la Corte d’appello di Milano con sentenza del 24.05.10 accoglieva l’impugnazione, per quanto qui rileva ritenendo che, in relazione al comportamento tenuto, la sanzione irrogata fosse eccessiva e che, pertanto, il datore quale titolare del potere disciplinare dovesse procedere ad una sua riduzione.

3.- Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione. Non svolgeva attività difensiva L..

4.- Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., ha depositato relazione, che è stata notificata al difensore costituito assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza. Poste Italiane ha depositato memoria.

5.- Poste Italiane con due motivi lamenta:

5.1.- violazione degli artt. 2104 e 2106 c.c. e art. 56 c.c.n.l.

dipendenti postali 11.07.03, in quanto il dipendente aveva rivolto frasi ingiuriose a due colleghe, intralciandone la prestazione ed impedendo le operazioni cui esse erano addette, attuando una condotta contraria ai doveri fissati dalle disposizioni codicistiche e dalla norma collettiva (art. 56), per la quale la sospensione è applicabile ove il lavoratore sia autore di minacce o ingiurie gravi verso altri dipendenti o di comportamenti che producano interruzione o turbativa del servizio;

5.2.- carenza di motivazione in quanto la Corte di merito, quantunque richiestane, non aveva determinato la minor sanzione da irrogare al dipendente in ragione della mancata proporzione rilevata.

6.- Quanto al primo motivo deve rilevarsi che la Corte d’appello ha ricostruito i fatti addebitati ed è giunta alla conclusione che le parole profferite dal L., oggetto di un esposto di due lavoratori, avevano contenuto offensivo, ma non minaccioso, e comunque erano dirette non specificamente alle predette, quanto ad un terzo dipendente, addetto alla stessa areola in cui lavoravano le due esponenti. Sulla base di questo accertamento di fatto ha ritenuto esistente l’inadempimento, ma sproporzionata la sanzione. Le censure mosse dalla ricorrente hanno ad oggetto il giudizio di proporzionalità, che è frutto di valutazioni di merito congruamente motivate ed è, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.

7.- Quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che per la giurisprudenza di legittimità la potestà di infliggere sanzioni disciplinari è riservata dall’art. 2106 c.c. alla discrezionalità dell’imprenditore, in quanto contenuta nel più ampio potere di direzione dell’impresa a costui attribuito dall’art. 2086 c.c., a sua volta compreso nella libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 cost. (Cass. 25-05-1995, n. 5753). Ne consegue che il giudice, pur nel caso sia stato adito dal datore di lavoro per la conferma della sanzione disciplinare e sia stato dallo stesso esplicitamente richiestone, non può convertirla in altra meno grave.

8.- Inammissibili i due motivi, il ricorso deve essere rigettato, senza pronunzia a proposito delle spese del giudizio di legittimità, non avendo svolto attività difensiva la parte intimata.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla disponendo per le spese.

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