Servizi telefonici non richiesti: il gestore deve rimborsare le spese sostenute dall’utente (Cass. n. 19882/2013)

Redazione 29/08/13
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Svolgimento del processo

1. S.M. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Telecom Italia s.p.a., chiedendo che venisse riconosciuto il suo diritto a non pagare alcune bollette telefoniche, ritenute esorbitanti, relative, fra l’altro, a telefonate tramite le utenze speciali di cui ai numeri 144 e 800.
La società convenuta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda, sul rilievo che dagli accertamenti effettuati non era emersa alcuna anomalia relativa all’utenza telefonica della S. .
Il Tribunale, con sentenza del 10 settembre 2002, accoglieva la domanda, condannando la Telecom Italia s.p.a. a restituire la somma di Euro 2.060,15.
2. Appellata la pronuncia in via principale dalla parte soccombente ed in via incidentale dalla S. , la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 5 ottobre 2006, in riforma di quella di primo grado, rigettava le domande proposte dalla S. , che condannava a pagare la somma di lire 750.000 (relativa ad una bolletta), nonché alla restituzione della somma di Euro 6.070,51 versata dalla società telefonica in esecuzione della sentenza di primo grado, compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Osservava la Corte territoriale che l’anomalia dei consumi posta a fondamento della sentenza di primo grado non consentiva di dedurre, in via presuntiva, l’esistenza di intrusioni sulla linea telefonica; tali consumi, inoltre, dipendevano dall’utilizzo dei servizi connessi con la numerazione 144 e da chiamate internazionali, queste ultime plausibili in considerazione del fatto che la S. era stata ricoverata in Francia proprio nel periodo sospetto.
Dall’istruttoria svolta, poi, era emerso che la centralina telefonica era chiusa a chiave e collocata di fronte alla portineria dello stabile, e che la linea non era stata usata in modo abusivo, dovendosi in tal caso necessariamente determinare la “scorticatura del doppino”. D’altra parte – rilevava la Corte – una volta provata la sicurezza della linea e l’assenza di manomissioni, era onere dell’utente dimostrare, anche in via presuntiva, l’abusività delle telefonate, prova che non era stata fornita “in alcun modo”.
Osservava infine la Corte che il fatto che i consumi fossero tornati regolari, senza bollette anomale, dopo l’applicazione della chiave numerica all’utenza della S. confermava che “solo la mancata adozione di sistemi di controllo aveva consentito a chiunque che frequentasse la casa di effettuare telefonate”.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso S.M. , con atto affidato a sei motivi.
Resiste la Telecom Italia s.p.a. con controricorso.
La S. ha presentato memoria.

Motivi della decisione

1. Per ragioni di economia processuale la Corte ritiene di dover intraprendere l’esame del ricorso partendo dal secondo motivo, col quale si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., omessa pronuncia e omessa motivazione in ordine al punto relativo alla illiceità e/o illegittimità della fornitura di servizi audiotex e videotel nell’ambito del contratto di somministrazione, senza la preventiva accettazione da parte dell’utente e senza la possibilità di disabilitare da soli tali servizi.
Fin dall’atto di citazione, infatti, la ricorrente aveva lamentato che la società Telecom avesse “imposto” i servizi a pagamento di cui ai citati numeri 144 e 800 senza far conoscere agli utenti le modalità d’uso, i costi e la possibilità di distaccarsi. A seguito delle numerose proteste popolari, il decreto-legge 29 dicembre 1995, n. 558, aveva stabilito che tali servizi fossero disabilitati per legge, imponendo una serie di cautele per l’utilizzo dei medesimi. Il nuovo servizio, quindi, doveva essere oggetto di apposita negoziazione tra le parti, ma né il Tribunale né la Corte d’appello si sono soffermati su questo punto.
2. Il motivo è fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che il Collegio ritiene che la censura ivi prospettata – che è, come risulta dalla relativa intestazione, una censura di omessa pronuncia – sia ammissibile sebbene contestata senza l’espressa indicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 360, primo comma, n. 4), del medesimo codice. Ciò in quanto si ritiene di dover dare seguito all’orientamento giurisprudenziale meno formalista secondo cui, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, non costituisce condizione necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’osservanza, essendo invece necessario: che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (sentenza 24 marzo 2006, n. 6671). Ne consegue che deve ritenersi ammissibile il ricorso col quale si lamenti la violazione di una norma processuale sotto il profilo della violazione di legge anziché sotto quello dell’error in procedendo di cui all’ipotesi del n. 4) del citato art. 360 (sentenza 21 gennaio 2013, n. 1370), contrariamente a quanto pure di recente affermato da altra pronuncia di questa Corte; (sentenza 15 maggio 2013, n. 11801).
Nel caso in esame, del resto, il ricorso delinea in modo chiaro il tipo di censura prospettato, per cui la formale contestazione in termini di violazione di legge e di vizio di motivazione non implica l’inammissibilità della censura.
2.1. Ciò premesso, la Corte osserva che la vicenda oggi in esame si colloca in un momento del tutto particolare – che si potrebbe definire come periodo sospetto – nel quale i servizi telefonici a pagamento di cui al n. 144 erano sì in funzione, ma non erano stati ancora regolati né con legge né con decreto del ministro competente.
Come risulta dalla sentenza impugnata, infatti, le bollette Telecom in contestazione sono la seconda e la terza del 1995; ed è noto che proprio in quell’anno vi furono alcuni importanti interventi legislativi di regolazione dei servizi audiotex e videotex.
Vi fu prima il decreto ministeriale 13 luglio 1995, n. 385, il cui art. 9, comma 1, consentiva all’utente, a domanda, di rinunciare, con richiesta scritta indirizzata al gestore della rete, ai servizi audiotex, possibilità peraltro preclusa a coloro i quali fossero ancora collegati a centrali elettromeccaniche e non elettroniche (art. 22, comma 2, del medesimo decreto). Successivamente, col menzionato d.l. n. 558 del 29 dicembre 1995, fu disposta l’obbligatoria disattivazione, entro sessanta giorni, delle linee dei servizi audiotex, rimanendo salva la possibilità di riattivazione su richiesta dell’interessato. Decaduto tale decreto-legge per mancata conversione, nonché altri identici emessi nel 1996, la materia trovò poi un assestamento col decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545, convertito, con modifiche, in legge 23 dicembre 1996, n. 650, il cui art. 1, commi 25, 26 e 27, confermò, in pratica, la situazione nei termini di cui alle norme precedenti, aggiungendo il divieto di inserimento di servizi audiotex a contenuto “erotico, pornografico o osceno”, con sanzione amministrativa a carico dei gestori che violavano tale disposizione. Il citato art. 1, comma 25, inoltre, diede incarico al Ministro delle poste e telecomunicazioni di adottare un decreto, entro novanta giorni, che regolasse l’accesso ai servizi audiotex e videotex e a quelli offerti su codici internazionali, decreto che fu poi emanato solo molto tempo dopo (d.m. 2 marzo 2006, n. 145, contenente l’abrogazione, fra l’altro, del citato d.m. n. 385 del 1995).
2.2. Il caso oggetto della sentenza della Corte d’appello di Roma impugnata in questa sede si colloca – come appunto si diceva – in una sorta di zona grigia antecedente l’intervento del legislatore.
Risulta peraltro dagli atti di causa – ai quali la Corte ha accesso in considerazione del tipo di censura prospettata – che sono anche in parte riportati dalla S. nel ricorso, che effettivamente l’odierna ricorrente prospettò, in particolar modo alla Corte d’appello con il proprio atto di appello incidentale, la questione della necessità di un’approvazione i esplicita, o almeno di una preventiva negoziazione, dei servizi 144 e 800, forniti dal gestore di propria iniziativa e potenzialmente in grado di far crescere a dismisura i consumi e le conseguenti bollette.
Questo aspetto della vicenda – di grande rilievo proprio per il particolare periodo storico nel quale si colloca la contestazione delle bollette – non è stato affrontato in alcun modo dalla Corte d’appello, la quale si è soffermata sul corretto funzionamento della linea, sulla mancanza di prova degli abusi da parte della Telecom, sull’assenza di vigilanza da parte della S. e su altri aspetti della causa, tutti rilevanti; ma nulla ha detto del punto contestato, che costituiva anche il fondamento della domanda prospettata dell’odierna ricorrente in termini di indebito arricchimento. Ed è evidente che questo aspetto poteva, in astratto, assumere una decisiva importanza perché, ove il giudice di merito fosse pervenuto alla conclusione per la quale tali servizi a pagamento – proprio in quanto introdotti ex novo – dovevano essere oggetto di esplicita negoziazione, ciò avrebbe tolto rilievo alle successive argomentazioni con le quali la Corte territoriale ha condiviso le ragioni della società di gestione del servizio telefonico.
3. Il secondo motivo di ricorso è pertanto accolto, con assorbimento di tutti gli altri, e la sentenza è cassata.
Il giudizio è rinviato alla medesima Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvedere a decidere il punto preliminare oggetto del secondo motivo di ricorso, così come evidenziato in motivazione.
Al giudice di rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Redazione