Servizi comunali: richiesta di contributo integrativo per la retta della casa di cura (Cons. Stato n. 4594/2012)

Redazione 23/08/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La signora P.I., invalida ultrasessantacinquenne, nell’autunno 2008 chiedeva, tramite il proprio figlio, signor S.L. di essere ricoverata in una casa di riposo non essendo più in grado di provvedere a se stessa.

La richiesta veniva effettuata dapprima come ricovero di sollievo e successivamente come ricovero stabile presso le case di riposo di Caprino Veronese o Sant’Anna d’Alfaedo, tuttavia per il primo anno di permanenza presso la casa di riposo la signora P. provvedeva con propri risparmi al pagamento della retta, successivamente nel 2009 e 2010 il figlio della signora chiedeva al Comune di Brentino Belluno un contributo per la integrazione della retta da versare alla casa di riposo.

Il Comune respingeva la richiesta precisando che il medesimo figlio, ai sensi dell’art. 433 c.c., era tenuto al mantenimento della madre e che comunque non vi erano fondi sufficienti per potere effettuare la integrazione richiesta.

Peraltro l’assegno di Euro 752,65 che il Comune aveva versato alla signora P. era stato corrisposto in via eccezionale, come intervento di sollievo e non come contributo destinato ad integrare il reddito, attingendo la somma da un fondo regionale annuale per la spesa sanitaria attribuito dalla Regione a varie ULSS del Veneto che a loro volta lo erogava ai Comuni sulla base di criteri predeterminati.

Al Comune di Brentino Belluno era spettata la somma annuale pari a quella erogata alla signora P. e il fondo disponibile era dunque esaurito.

2. Avverso l’atto sindacale che respingeva la richiesta di contributo integrativo per la retta della casa di cura della signora P., veniva presentato dal figlio signor S. e dalla signora P., ricorso al Tar Veneto: veniva richiamato in particolare quanto disposto dall’art. 3 co.2 ter del D.Lgs. n. 109 del 1998 che consente di valutare la situazione economica del solo assistito con handicap grave o ultrasessatacinquenni non autosufficienti e non anche quella del nucleo familiare di appartenenza, al fine di stabilire il diritto o meno ad ottenere una prestazione sociale agevolata.

3. Con la gravata sentenza in forma semplificata il Tar Veneto accoglieva il ricorso ritenendo che, ai fini dell’integrazione della retta della casa di riposo, dovesse tenersi conto della sola situazione reddituale dell’assistito anche tenuto conto che la ricorrente, pur non sprovvista di un reddito minimo, non poteva provvedere al pagamento della retta richiesta dalla casa di riposo.

4. Contro la sentenza del Tar ha proposto appello il Comune di Brentino Belluno sollevando, principalmente, la questione della legittimità costituzionale dell’art. 3, co.2 ter del D.Lgs. n. 109 del 1988 in relazione agli artt. 3, 32 e art. 76 della Costituzione.

Secondo la appellante amministrazione tale disposizione si porrebbe in contrasto con i principi e i criteri direttivi contenuti nella legge di delega ed in specie con l’art. 59, co. 51 della L. n. 449 del 1997, in forza della quale è stato emanato il D.Lgs. n. 109 del 1998, dal quale emergerebbe che il principio generale e vincolante a cui avrebbe dovuto attenersi il Governo nella definizione dei criteri per la valutazione della situazione economica dei soggetti richiedenti una prestazione agevolata, è quello di verificare lo stato patrimoniale, oltre che del soggetto stesso, dei soggetti con i quali esso convive e di quelli considerati a suo carico ai fini Irpef.

L’appellante si duole anche della violazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 109 del 1998 che prevede che l’ente pubblico debba essere preventivamente informato della situazione patrimoniale da parte del soggetto che chiede una prestazione sociale agevolata. Questi dovrebbe indicare la situazione patrimoniale di tutta la famiglia anagrafica cui il soggetto richiedente appartiene, intendendosi per famiglia anagrafica quella definita dall’art. 4 del D.P.R. n. 223 del 1989.

Con altro motivo si sostiene che la signora P. non potrebbe considerarsi in stato di bisogno avendo una pensione sia pure di lieve entità e degli immobili che potrebbe mettere a frutto.

Peraltro nella scheda S.V.A.M.A. compilata dall’assistente sociale del Comune la ricorrente sbarrava la voce “copertura completa delle spese”, pertanto il Comune non era a conoscenza della situazione economica precaria della ricorrente e non era stato previamente informato ex art. 6, co.4 della L. n. 328 del 2000 recepito dalla L.R. n. 5 del 1996 art. 13 bis.

Secondo l’appellante solo se la richiesta di integrazione economica fosse stata effettuata prima del ricovero allora il Comune avrebbe potuto integrare il contributo. Non essendo mai stato il Comune informato prima del ricovero e poiché la situazione economica della signora P. avrebbe comportato il rigetto della richiesta della integrazione della retta, il contributo non era dovuto.

Nel terzo motivo l’appellante confuta la tesi della ricorrente che assume che la motivazione del diniego contrasterebbe con il disposto dell’art. 3 co.2 ter del D.Lgs. n. 109 del 1998 e con la convenzione di New York del 13.12.2006 così come interpretata dalla sentenza di questo Consiglio di Stato della Quinta Sezione, citata nella sentenza appellata, n.1607 del 16.3.2011.

Si sono costituiti il signor L.S. e la signora I.P. per resistere all’appello insistendo con dovizia di argomentazioni per la conferma della sentenza e il rigetto dell’appello.

In vista dell’udienza di trattazione gli appellati hanno depositato una ulteriore memoria difensiva.

3. L’appello deve essere respinto.

Va premesso che la signora P., ultrasessantacinquenne ed invalida al 100%, ha come fonte di reddito una pensione di circa 560-580 Euro mensili oltre ad una indennità di accompagnamento; con il patrimonio immobiliare ha raggiunto un I.S.E.E. (indice situazione economica equivalente) pari ad Euro 10.628,40 nel 2010 e pari ad 9.797,50 nel 2011 mentre la retta della casa di riposo in cui risulta ricoverata per il 2010 ammontava a Euro 20.118,50 e per il 2011, ad Euro 20.505,20.

E’ dunque pacifico che la retta supera abbondantemente l’I.S.E.E. della signora P.. Questa, che per il 2009 ha fatto fronte alle richieste della casa di risposo con propri risparmi, nel corso del 2010 e del 2011 non è stata più in grado a coprire l’intero importo della retta pur versando interamente le proprie entrate alla casa di riposo.

Nemmeno il figlio L.S., a quel che risulta, poteva provvedere alla integrazione della retta trovandosi in cassa integrazione per tre giorni la settimana avendo una figlia minorenne e versando la di lui moglie in uno stato di salute precario.

Va ricordato preliminarmente che per l’articolo 38 co.1 della Carta Costituzionale gli inabili sprovvisti dei mezzi necessari per vivere hanno diritto alla assistenza sociale; per il co. 2 dello stesso articolo i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia e invalidità. La legge quadro sui servizi sociali n.328 del 2000 all’art. 6 co.4 prevede che “per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica”. Analoga disposizione viene posta dalla L.R. Veneto n. 5 del 1996, art. 13 bis.

Fatte tali premesse occorre esaminare i motivi dedotti dall’appellante amministrazione che richiedono per lo più una trattazione unitaria in quanto reiterati sotto diverse prospettazioni in varie parti dell’appello.

4. Con un primo motivo viene sollevata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 3, co.2 ter del D.Lgs. n. 109 del 1988 in relazione agli artt. 3, 32 e art. 76 della Costituzione. Il motivo viene sviluppato ulteriormente nella parte finale dell’appello (al primo punto C) in relazione alla interpretazione fornita dalla sentenza della Quinta Sezione di questo Consiglio di Stato n.1607 del 16.3.2011.

Secondo la amministrazione tale disposizione si porrebbe in contrasto con i principi e i criteri direttivi contenuti nella legge di delega ed in specie con l’art. 59, co. 51 della L. n. 449 del 1997 in forza della quale è stato emanato il D.Lgs. n. 109 del 1998.

Dalla lettura dell’art. 59 co.51 emergerebbe infatti che il principio generale e vincolante, a cui avrebbe dovuto attenersi il Governo nella definizione dei criteri per la valutazione della situazione economica dei soggetti richiedenti una prestazione agevolata, è quello di verificare lo stato patrimoniale, oltre che del soggetto stesso, dei soggetti con i quali convive e di quelli considerati a suo carico ai fini IRPEF.

Secondo l’appellante, avrebbe dovuto verificarsi la “situazione patrimoniale dell’intero nucleo familiare” e non quella del solo assistito con l’effetto che una interpretazione dell’art. 3 co.2 ter del D.Lgs. n. 109 del 1998, rispettosa dei principi della legge delega e costituzionalmente orientata, al fine di preservare il decreto legislativo da una questione di legittimità costituzionale, dovrebbe essere nel senso che la situazione economica del solo assistito, in quanto criterio eccezionale rispetto a quello generale della situazione economica del nucleo familiare, (oltre a dovere essere valutata sulla base di specifici criteri da stabilirsi con apposito D.P.C.M.), dovrebbe essere valutata solo al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, ma non quando il soggetto viene assistito in una struttura assistenziale e quando si tratti di integrare la retta alberghiera. Quando l’assistito rimane in famiglia, quest’ultima svolge una funzione sociale che altrimenti spetterebbe allo Stato per cui al fine di stabilire se il soggetto ha diritto o meno a percepire una integrazione patrimoniale, si dovrebbe valutare solo la sua situazione economica e non anche quella del suo nucleo familiare perché la famiglia fornisce già il suo apporto contributivo mediante l’assistenza al soggetto bisognoso sostenendo i relativi costi.

Viceversa quando la famiglia non si fa carico dell’assistenza del soggetto da assistere, ma demanda allo Stato tale assistenza, la famiglia è debitrice nei confronti dello Stato sicché, al fine di valutare se l’assistito ha diritto o meno ad un contributo statale per permanere presso la struttura residenziale, si dovrebbe valutare la situazione reddituale dell’intero nucleo familiare in modo che il contributo sia minore in ragione della funzione socio assistenziale che lo Stato svolge.

5. Tali argomentazioni non sono condivisibili sotto vari profili.

La L. n. 449 del 1997, articolo 59 co.51, ha previsto che il Governo è delegato ad emanare, uno o più decreti legislativi per la definizione, con effetto dal 1 luglio 1998, di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate nei confronti di amministrazioni pubbliche, nel rispetto, tra altri, dei seguenti principi e criteri direttivi:

“a) determinazione …..della situazione economica del soggetto che richiede la prestazione agevolata in base alle condizioni reddituale e patrimoniale del soggetto stesso, dei soggetti con i quali convive e di quelli considerati a suo carico ai fini irpef…”

Il Comune fonda la eccezione di illegittimità costituzionale sul rilievo che tale articolo farebbe riferimento allo stato patrimoniale di tutto il nucleo familiare e non del solo soggetto richiedente la prestazione di talché l’art. 3 co.2 ter del D.Lgs. n. 109 del 1998 si porrebbe in contrasto con la legge delega.

Sennonché le considerazioni dell’appellante si basano su un concetto di nucleo familiare, per così dire sociologico o di sangue, mentre il legislatore, nel porre l’art. 59 co.51 della L. n. 449 del 1997 ha in mente un nucleo familiare anagrafico ex D.Lgs. n. 109 del 1998 art. 2 co.2 , come insieme di persone “coabitanti”, ” di soggetti con il quale convive..” , per i quali viene rilasciato lo stato di famiglia ex art. 4 del D.P.R. n. 223 del 1989, decreto che espressamente prevede, al co.2, che la famiglia anagrafica possa essere costituita da una sola persona.

La signora P. viveva da sola dal 1994 presso la propria residenza essendo rimasta vedova e la sua famiglia anagrafica, come risultante dal certificato dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Brentino Belluno, era da lei sola composta, in sostanza faceva nucleo familiare a sé stante, con l’effetto che le considerazioni del Comune sulla composizione del nucleo familiare ai fini di sollevare questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo in relazione alla formulazione della legge delega, in quanto improntate ad un nucleo familiare non aderente al dettato della legge di delega, non appaiono rilevanti al caso in esame.

In disparte si rileva che la complessiva interpretazione dell’appellante si pone in contrasto con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (V, 1607/2011; cfr. anche V, 5185 del 16.9.2011) richiamata nella sentenza appellata, che ha esaustivamente rilevato che, ai fini della valutazione dell’ I.S.E.E., come criterio generale di valutazione della situazione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate in particolari situazioni di disagio, il D.Lgs. n. 109 del 1998 prevede l’utilizzo di un parametro riferito alla situazione del solo interessato in deroga alla valutazione dell’intero nucleo familiare, escluso dunque il coinvolgimento di parenti ritenuti “obbligati per legge” (cfr. art. 438 c.c.) al pagamento delle relative rette (in termini cfr. 5185/2011 cit.).

Infatti l’ art. 3, comma 2-ter, pur demandando in parte la sua attuazione al successivo decreto, ha introdotto un principio, immediatamente applicabile e derogatorio, costituito dalla evidenziazione della situazione economica del solo assistito con handicap permanente grave o ultra sessantacinquenne la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali.

Tale interpretazione, oltre che sul dato letterale della legge, si fonda sul quadro costituzionale e sulle norme di derivazione internazionale, facendo particolare riferimento alla L. 3 marzo 2009, n. 18 che ha ratificato la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui “diritti delle persone con disabilità”.

La Convenzione di cui sopra si basa sulla valorizzazione della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile (v. l’art. 3, che impone agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili, in linea con i richiamati principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona, che nel settore specifico rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato, anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli enti pubblici).

I principi della Convenzione costituiscono, quindi, ulteriore argomento interpretativo in favore della tesi dell’immediata applicabilità del comma 2-ter dell’art. 3 del D.Lgs. n. 109 del 1998 ed al fine di ritenere manifestamente infondata ogni questione di costituzionalità, che dubiti della compatibilità costituzionale della interpretazione fatta propria dal Tar e qui confermata.

In conclusione il primo e fondamentale motivo di appello non merita accoglimento.

6. Con ulteriore motivo si assume che i ricorrenti non avrebbero rispettato, sul piano procedimentale, quanto disposto dalle già richiamate disposizioni di riferimento, art. 6 della L. n. 328 del 2000 e art. 13 bis della L.R. n. 5 del 1996 in quanto il Comune non sarebbe stato previamente informato del ricovero stabile dell’anziano nella casa di riposo. Tale informativa sarebbe il presupposto perché il Comune, previa idonea istruttoria e valutazione alla stregua dei parametri normativi posti dall’art. 3 co.2-ter del D.Lgs. n. 109 del 1998, potesse assumersi gli obblighi connessi alla eventuale integrazione economica.

7. Anche tale motivo non merita accoglimento.

Ed infatti una interpretazione ragionevole delle sopradette diposizioni è nel senso che l’obbligo a carico del Comune sorge nel momento in cui si verificano le condizioni per procedere alla erogazione del contributo, momento che nel caso in esame si è verificato quando la situazione economica della signora P. si era deteriorata a tale punto da non potersi permettere di corrispondere la retta alla casa di riposo con le proprie risorse economiche. Del resto il Comune era a conoscenza da tempo (almeno dal 20.10 2008) della situazione della signora P., sin dalla prima richiesta di ricovero presentata dal figlio della signora in relazione all’attività svolta dall’assistente sociale del Comune, di presa in carico della signora da parte dei servizi del territorio. Lo stesso Comune aveva esaminato la domanda del 9.12.2008 al fine di erogare la somma di Euro 752,65 come contributo di sollievo; è evidente che il Comune non poteva non conoscere la difficile situazione economica della assistita; peraltro la difesa della appellata documenta la presentazione di apposite istanze di contributo ex art. 6 co.4 della L. n. 328 del 2000 e attesta che anche la casa di riposo aveva fatto presente al Comune la necessità di integrazione della retta in quanto la signora verteva in stato di bisogno, di talché il motivo con il quale si insiste sulla mancata conoscenza preventiva da parte del Comune della situazione della assistita non appare fondato.

Infine si rileva che la normativa sopravvenuta posta dalla L. n. 214 del 2011, di conversione del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, come ovvio non è applicabile alla fattispecie, entrando in vigore, sulla base di un apposito D.P.C.M. non ancora adottato, dal 1.1.2013.

8. Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e come tale da respingere.

9. Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione