Servitù di passaggio: forma scritta (Cass. n. 21127/2012)

Redazione 28/11/12
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Svolgimento del processo

C.C. e D.A. convenivano in giudizio, innanzi ai Tribunale di Torre Annunziata, sez dist. di Gragnano, M.M. e M.S. per sentirli condannare a ripristinare la servitù di passaggio eliminando l’occlusione che impediva l’accesso alla loro proprietà, nonché per rimuovere la serratura apposta al cancello di ingresso al cortile comune oltre al risarcimento dei danni.

Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda e deducendo che il cortile non era comune ma di loro esclusiva proprietà; assumevano, inoltre, che a seguito della transazione per notaio D.I., in data 22.5.1980, la servitù di passaggio attraverso il vano cucina non aveva più ragione di esistere.

Con sentenza depositata il 5.9.2003 il Tribunale condannava i convenuti a rimuovere gli ostacoli frapposti alla servitù di passaggio attraverso la cucina a piano terra di loro proprietà e, per il resto, rigettava la domande relative alla corte comune ed al risarcimento del danno.

Avverso tale sentenza M.M. e S. proponevano appello cui resistevano C.C. e D.A., proponendo, altresì, appello incidentale in ordine al mancato riconoscimento del loro diritto di comproprietà del cortile ed in ordine al rigetto della domanda risarcitoria. Sostenevano gli appellanti che le controparti, avevano realizzato un nuovo accesso alle loro proprietà, concordando, con detto atto di transazione, la modifica della servitù di passaggio fino ad allora esistente, rinunciandovi e contestualmente trasferendo la servitù sul diverso ingresso.

Con sentenza depositata il 15.3.2006 la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello principale e quello incidentale compensando interamente tra le parti le spese del grado. Osservava la Corte di merito, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità, che l’atto di transazione specificava le concessioni fatte dai M. ai coniugi C. D. dietro pagamento di un corrispettivo, senza alcun riferimento all’asserita “rinuncia” della servitù di passaggio attraverso la cucina degli appellanti; peraltro, trattandosi della soppressione e/o modifica di diritti reali, occorreva una rappresentazione certa mediante forma scritta.

Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso M.M. sulla base di un motivo articolato sotto tre diversi profili, seguito dalla formulazione dei relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

Resistono con controricorso C.A..C. e D.A.; S..M. non ha svolto attività difensiva. Le parti costituite hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce la violazione degli artt. 111 Cost.; 1065-1068-1321-1325 n. 3 – 1346-1350 n. 1 2-1 362-1 363-1366-1371-1965-1967-2697 e 2702 c.c. e degli artt. 112-115 e 132 c.p.c.;

in particolare: a)la Corte d’Appello aveva erroneamente escluso che la transazione conclusa fra le parti implicasse l’estinzione della servitù di passaggio attraverso il vecchio accesso dal vano cucina del M. a piano terra o quantomeno la modifica della servitù medesima col trasferimento sul nuovo ingresso realizzato attraverso il cortile che immetteva direttamente nel nuovo vano scala; omesso esame ed omessa motivazione sulla circostanza decisiva relativa alla “didascalia” esplicativa apposta sulla planimetria allegata al rogito 22.5.1980 ed ivi richiamata, laddove il preesistente accesso viene indicato, nella “pianta a piano terra” e “pianta piano ammezzato”, quale “ex vano scala per accesso al piano ammezzato e al sottotetto” e “scala a chiocciola per accesso alla cucina”, con la rappresentazione grafica delle innovazioni eseguite dai coniugi C. – D. riguardanti “il diverso utilizzo degli spazi e dei volumi già della scala a chiocciola e del vano scala preesistente”; b) detta carenza motivazionale, su una circostanza decisiva ai fini della decisione, comportava la nullità della sentenza impugnata o del procedimento;

c) la Corte territoriale aveva omesso di accertare la comune intenzione delle parti sulla base non solo del senso letterale delle parole adoperate nell’atto transattivo ma anche del comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione della transazione, non avendo accertato il significato dell’espressione “ex vano scala” adoperata nella didascalia riportata in planimetria ed il dato oggettivo temporale della instaurazione del giudizio de quo, da parte dei C. – D. , ben 19 anni dopo l’accordo transattivo che aveva comportato la soppressione del vecchio accesso attraverso la cucina dei M. e la coeva realizzazione di un nuovo,autonomo accesso direttamente dal cortile; sussisteva, quindi, la violazione del criterio interpretativo della buona fede ex art. 1366 c.c. e di quello di cui all’art. 1367 e 1371 c.c., nonché del canone previsto in materia di servitù dall’art. 1065 c.c., stante il mancato contemperamento degli interessi dei contraenti con riferimento al permanere di una servitù di accesso attraverso il vano cucina di un appartamento altrui, pur in presenza della realizzazione di un nuovo accesso diretto dal cortile alla via pubblica,senza tener conto, inoltre,della deposizione de teste G..C. il quale aveva riferito di un accordo tra le parti, in occasione della transazione del 1980, per l’eliminare l’accesso all’immobile C.. D. attraverso il vano cucina dei M. . Il ricorso è fondato.

Nonostante, in sede di appello, i M. avessero espressamente lamentato il mancato esame, da parte del giudice di prime cure, della dicitura “ex vano scala per accesso al piano ammezzato e al sottotetto” e “scala a chiocciola per accesso alla cucina” nella “pianta a piano terra” e pianta piano ammezzato, apposta sulla planimetria allegata all’atto pubblico di transazione 22.5.80, la Corte territoriale ha omesso di motivare sul punto, affermando genericamente che “l’asserita volontà di rinunzia alla servitù di passaggio per cui è causa non è consacrata in alcun atto scritto”.

Orbene, secondo il principio di diritto affermato da questa Corte, il requisito di forma scritta stabilito dall’art. 1350, n. 5 c.c., per la rinuncia ad una servitù, può essere integrato dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso richiamati nel contratto, non essendo necessarie formule sacramentali sicché le piante planimetriche allegate ad un contratto, avente ad oggetto immobili, fanno parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale, quando ad esse i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, rimanendo, peraltro, riservata al giudice di merito la valutazione della incidenza di tali documenti sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto (Cfr. Cass. n. 10457/2011; n. 6764/2003).

Il giudice di appello avrebbe dovuto, quindi, valutare dette diciture apposte sugli allegati planimetrici richiamati in contratto, trattandosi di atti scritti che se fossero stati esaminati, avrebbe potuto comportare una diversa soluzione della causa (Cfr. Cass. n. 3932/1981; n. 13263/09).

Alla stregua di quanto osservato la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che dovrà esaminare la “didascalia” apposta sulla planimetria allegata all’atto pubblico di transazione 22.5.80 e dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli anche per le spese del giudizio di legittimità. 

Redazione