Sequestro preventivo: illegittimo su beni in comproprietà senza che venga accertato che si trattava di liquidità frutto della vendita di immobili ereditati e non da attività illecite (Cass. pen. n. 43157/2012)

Redazione 08/11/12
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Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 24 febbraio 2012, il Tribunale di Pordenone ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip dello stesso Tribunale il 21 dicembre 2011, avente ad oggetto beni mobili e immobili nella disponibilità degli indagati, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, ipotizzato a carico di T.V., T.F., T.L..

L’odierna ricorrente aveva proposto al Tribunale appello contro il rigetto dell’istanza di dissequestro e restituzione della somma di Euro 80.000 giacente sul conto corrente, conto cointestato a lei e all’indagato e marito T.L., in quanto si tratterebbe di somma di esclusiva spettanza della richiedente, perchè proveniente dalla vendita della propria quota di un immobile pervenutole in eredità.

2. – Avverso l’ordinanza del Tribunale, l’interessata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, per violazione di legge e omessa motivazione, sul rilievo che la provenienza e l’esclusiva appartenenza a lei delle somme sequestrate erano state provate documentalmente, come sarebbe stato ammesso dallo stesso Tribunale.

Ne conseguirebbe, secondo la prospettazione difensiva, che, essendo stata fornita la prova della titolarità, la presunzione di comproprietà di dette somme sarebbe stata superata, con la conseguenza che esse non potrebbero essere ritenute nella disponibilità dell’indagato e non potrebbero, dunque, essere sequestrate e confiscate.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

L’ordinanza impugnata non affronta, infatti, in alcun modo la decisiva questione della proprietà delle somme sottoposte a sequestro, in presenza di un’allegazione della terza interessata, secondo cui queste sarebbero di sua esclusiva proprietà, perchè provenienti dalla vendita della quota di un immobile pervenutole in eredità.

Nè tale questione può ritenersi superata in forza dell’orientamento di questa Corte richiamata dallo stesso Tribunale (sez. 3, 19 ottobre 2011, n. 45353), secondo cui vi è una prevalenza della cautela penale sulla disciplina di natura di civilistica, giustificata dall’esigenza di evitare che, nelle more dell’adozione del provvedimento definitivo di confisca, vengano comunque dispersi i beni che si trovano nella disponibilità dell’indagato, con la conseguenza che l’accertamento della proprietà potrà essere approfondito nella sola sede di merito; sede alla quale compete la decisione in merito alla confisca dei beni in sequestro. Si tratta, infatti, di principi giurisprudenziali che non possono trovare automatica applicazione nel caso in esame, a fronte della produzione di una documentazione che – secondo la prospettazione difensiva – comproverebbe l’esclusiva proprietà del denaro in capo alla ricorrente, ma possono trovare applicazione solo nel caso in cui sia assodato che la prova della proprietà dei beni sequestrati richiede attività istruttorie ulteriori rispetto al quadro probatorio già delineato e, perciò, precluse nella fase cautelare.

4. – L’ordinanza impugnata deve essere, dunque, annullata con rinvio al Tribunale di Pordenone, perchè, con libertà di giudizio, fornisca, in base degli atti a sua disposizione, adeguata motivazione sulla proprietà in capo alla ricorrente della somma soggetta a sequestro.

 

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Pordenone.

Redazione