Sentenza scritta a mano dall’estensore, grafia incomprensibile, violazione del contraddittorio, nullità per carenza assoluta di motivazione (Cass. pen. n. 33803/2013)

Redazione 05/08/13
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Svolgimento del processo

R.L., S.P. e D.V. hanno proposto ricorso per cassazione, avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 10 febbraio 2012, che ha rigettato l’appello proposto avverso sentenza del Tribunale di Napoli del 17 maggio 2011, con la quale sono stati condannati in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2 e 3, e, art. 61 c.p., n. 5 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, deducendo i seguenti motivi di censura:

1) R.L. ha dedotto:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 2 nonchè violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c) per mancanza di motivazione e travisamento della prova.

Il ricorrente ha censurato l’affermazione della sua responsabilità per il reato ascritto in quanto basata su fatti consistenti nella predisposizione di strumenti di difesa passiva atti a prevenire controlli e interventi da parte delle forze dell’ordine, nei locali ove asseritamente veniva tenuto lo spaccio della sostanza stupefacente, nonchè per aver custodito somme di denaro proventi dell’attività illecita. In realtà, secondo il ricorrente, la prima condotta avrebbe un valore neutro, non idonea ad offendere il bene tutelato, essendo stati, i lavori in questione, svolti nell’ambito della propria attività lavorativa. Per la stessa condotta l’originario coimputato V. è stato assolto per non aver commesso il fatto e tale conclusione doveva essere adottata anche nei suoi confronti. La custodia di somme di denaro riguarda in realtà una sola circostanza, caratterizzata dal crisma dell’occasionalità, e non idonea quindi a far scattare le condizioni per affermare la sua partecipazione all’associazione. In ogni caso le somme ricevute non trarrebbero la loro causale dalla partecipazione all’associazione ma costituirebbero il mero corrispettivo dei lavori svolti, come emergerebbe dal contenuto di varie intercettazioni telefoniche.

Sarebbe poi rimasta priva di riscontro l’affermazione dei giudici di merito in base alla quale avrebbe fornito suggerimenti in ordine alle modalità operative dell’attività di spaccio di ordine generale.

b) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per difetto assoluto di motivazione e travisamento della prova relativamente al giudizio di permanenza della condotta.

Secondo il ricorrente non vi sarebbero elementi da cui trarre la conclusione, cui è invece giunta la Corte d’appello, di una sua partecipazione in epoca successiva al (omissis), data dell’arresto di I. e della denuncia dello stesso R. per favoreggiamento.

c) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per difetto assoluto di motivazione relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Secondo il ricorrente la Corte nel negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche non avrebbe considerato la marginalità del suo ruolo.

2) S.P. ha dedotto:

a) Nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione.

Il ricorrente sostiene la nullità della sentenza della Corte d’appello, in quanto, scritta manualmente, sarebbe di difficile comprensione;

b) Nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, nonchè per mancanza di motivazione.

Il ricorrente lamenta la omessa individuazione degli elementi in base ai quali è stata affermata la sua responsabilità, e che tali non potrebbero essere individuati nell’assistenza economica e legale, presunta, che sarebbero state offerte in suo favore dall’associazione.

c) difetto assoluto di motivazione relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e in ordine al riconoscimento dell’aggravante di aver avuto la consapevolezza di far parte di una associazione composta da dieci o più persone.

Il ricorrente deduce la mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’affermazione della consapevolezza degli elementi strutturali dell’aggravante delle dieci o più persone partecipanti al pactum sceleris.

3) D.V. ha dedotto:

a) violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) per manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova. Vizio risultante dalla sentenza impugnata e dalla sentenza di primo grado.

Il ricorrente lamenta che l’affermazione della sua responsabilità sarebbe basata esclusivamente, oltre che su alcune equivoche intercettazioni ambientali, dai contatti avuti con l’utenza in uso a P.F., moglie di I.F., presunto capo dell’associazione, e nella disponibilità di un immobile ad uso abitativo, intestato al padre dell’ I., e messo a sua disposizione. In realtà il ricorrente non avrebbe mai utilizzato il suddetto immobile, a differenza dei coimputati S. e M., mentre l’equivoco sarebbe sorto in base ai presunti contatti telefonici tra lui e la moglie dell’ I., P.F..

In realtà il nome del D. deriva dall’esame del contenuto di intercettazioni ambientali, interpretate in modo erroneo a carico del D..

b) Mancanza di motivazione della sentenza impugnata ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E in relazione alla doglianza difensiva inerente al riconoscimento vocale operato dai verbalizzanti e d alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione di battimentale al fine di espletare perizia fonica.

Il ricorrente censura il fatto che l’individuazione della sua persona sia stata effettuata in base ad una intercettazione di dubbio la sua presenza, sarebbe impossibile trarre ambientale in cui i carabinieri avrebbero riconosciuto senza ombra anche in ragione delle frasi a lui rivolte dall’ I.. In realtà dagli elementi acquisiti dati da cui dedurre con certezza che L’”(omissis)” possa sicuramente individuarsi nel ricorrente. Necessaria sarebbe stata la perizia fonica richiesta nei gradi di merito.

Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che i ricorsi sono infondati.

2. Per la prima censura del S. per la grafia, ritiene la Corte che la stessa deve essere rigettata in quanto infondata. Nel caso in esame deve trovare applicazione il principio di diritto in base al quale la sentenza scritta a mano dall’estensore è nulla, per carenza assoluta di motivazione, se la grafia risulta assolutamente incomprensibile, mentre deve escludersi ogni ipotesi di invalidità qualora la grafia sia soltanto di non agevole lettura ovvero comporti una mera difficoltà di comprensione di alcune parole, atteso che in tali casi la sentenza non può ritenersi priva di uno dei requisiti di validità per essa stabiliti. (Sez. 4, n. 15396 del 08/03/2005 – dep. 26/04/2005, Borile, Rv. 231325). Le Sezioni Unite hanno poi precisato che l’indecifrabilità grafica della sentenza è causa di nullità d’ordine generale a regime intermedio, quando non sia limitata ad alcune parole e non dia luogo a una difficoltà di lettura agevolmente superabile; in questo caso infatti il problema della grafia non spio si risolve nella sostanziale mancanza della motivazione ma in più determina una violazione del diritto al contraddittorio delle parti, pregiudicando la possibilità di ragionata determinazione in vista dell’impugnazione e di un’efficace difesa. (Sez. U, n. 42363 del 28/11/2006 – dep. 28/12/2006, *********, Rv. 234916). Sulla base di queste precondizioni e ai ricorsi sviluppati dai ricorrenti la censura trova dunque una smentita negli stessi atti processuali.

4. Per quanto riguarda la dedotta carenza di motivazione in ordine alla valutazione concreta degli elementi posti a base della decisione impugnata i ricorrenti sviluppano argomenti ai limiti dell’inaimmissibilità. Essi, infatti, propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

Orbene, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955). D’altra parte le doglianze sono le stesse affrontate dalla Corte di appello e sono prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, la Corte territoriale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutti i motivi dai quali desumere la sussistenza degli elementi che giustificano la partecipazione dei ricorrenti all’associazione criminosa, individuata per il D. nell’attività di spaccio, desunta dal contenuto delle intercettazioni, in particolare quella del 10 luglio 2006, all’esito proprio della fine di un turno di spaccio,dal possesso delle chiavi speciali per accedere ai locali dell’ I., che poteva frequentare, circostanza emblematica sotto il profilo dello spessore fiduciario che legava i due, nonostante lo stato di latitanza dell’ I. medesimo, nella disponibilità comune ad altri associati di locali abitativi intestati al padre dell’ I., nei contatti numerosi con il cellulare intestato alla moglie dell’ I.; per il S. sempre nell’attività funzionale allo spaccio, nella disponibilità comune ad altri associati di locali abitativi intestati al padre dell’ I., nel possesso di chiavi particolari per l’accesso negli spazi dove operava l’organizzazione, nel rispetto d ei turni per lo spaccio stabiliti dall’ I.M. e desunti dal contenuto delle intercettazioni, con i contatti continui con il cellulare intestato alla moglie dell’ I. e nei contributi all’assistenza economica e legale adottati nei suoi confronti, provati attraverso documentazione sequestrata (v. pag. 7 della sentenza d’appello); per il R. nell’assistenza tecnica per gli accorgimenti “precauzionali” e “difensivi”, rispetto all’attività di controllo delle Forze di polizia, nonchè nel rapporto fiduciario con il capo dell’organizzazione, che gli lasciava in deposito chiavi d’accesso e denaro in somme consistenti (accertati almeno 15.500,00 Euro), di cui peraltro la giustificazione offerta è rimasta assolutamente priva di riscontri documentali. Al contrario è stata giustamente valorizzata la possibilità di accesso da parte del R. nei luoghi più nascosti dello stabile “fortificato”. Correttamente, in base al quadro descritto, non è stata ritenuta occasionale, la presenza del R. accanto all’ I. al momento dell’arresto del secondo, ma anzi dimostrazione eloquente dell’intraneità nell’associazione (v. pag. 10 e 11 della sentenza d’appello).

Ciò premesso questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634). Peraltro,per quanto riguarda i motivi di merito di tutti i ricorsi ritiene il collegio che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità “ex officio” in ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici, come è avvenuto nel caso di specie.

Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata infondata.

5. Alla luce delle suesposte considerazioni i ricorso pertanto devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2013.

Redazione