Se il contribuente impugna solo parzialmente l’accertamento quest’ultimo diviene definitivo per le rettifiche non oggetto di riscorso

Redazione 04/04/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. **** conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, B.L. ed il suo assicuratore Toro Ass.ni, nelle rispettive qualità di proprietaria e di assicuratrice per la R.C.A. dell’autovettura FIAT Tipo tg. (omissis) sulla quale egli viaggiava quale trasportato in occasione di un incidente stradale verificatosi l’1.4.1996 per esclusiva responsabilità del conducente I.C., al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza del sinistro e quantificati in complessive L. 249.558.300 di cui L. 5.940.000 per i.t.a.; L. 2.970.000 per i.t.p.; L. 154.051.000 per Invalidità permanente 35%, L. 81.480.500 per danno morale e L. 5.146.800 per spese mediche.

Il Tribunale liquidava il danno biologico,valutato nel 20% oltre gg. 60 di i.t.a. e gg. 60 di i.t.p. in “L. 90.021.000 (di cui L. 20.000.000 per il danno fisiognomico, aspetto del danno biologico, riportato nella regione del volto dall’ U.)” pari ad Euro 46.491,97; il danno morale in L. 30.00.00 (EU 15.493,71) e le spese mediche in L. 6.332.000 (EU 3270,20).

2. – Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il 21.11.2007, la Corte d’Appello di Roma accoglieva parzialmente l’appello dell’ U., affermando, invece, sui punti oggetto del presente ricorso:

2.1. era fondata l’avversa eccezione di novità in appello della domanda di risarcimento del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica, anche sotto il profilo (peraltro, non dedotto, ma evidenziato dal c.t.u.) di un’eventuale limitata perdita di opportunità in relazione all’inizio dell’attività professionale.

Infatti, senza aver formulato alcuna domanda al riguardo e riportandosi alle conclusioni dell’atto di citazione, solo in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, il procuratore dell’attore aveva dichiarato: “impugna e contesta la c.t.u., relativamente al punto in cui non rileva il danno specifico, come meglio sarà comunque precisato in sede di conclusionale”;

2.2. il danno biologico permanente, comprensivo di quello estetico, è stato liquidato in Lit. 83.721.000 che, in applicazione delle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma adeguatamente correlate alla percentuale di danno ed alla fascia di età dell’infortunato (da 17 a 22 anni), corrisponde a due autonome liquidazioni di danno, rispettivamente del 20% e di circa il 10%, ed in ciò consisteva l’unico errore del primo giudice il quale, in considerazione del fatto che il danno estetico in genere è una componente di quello biologico e del criterio più che proporzionale di determinazione del valore punto, avrebbe dovuto procedere ad un’unica liquidazione per la percentuale di danno che, per i suddetti motivi, la Corte territoriale riteneva del 30%, pervenendo,sulla base delle suindicate tabelle che corrispondono alla media nazionale, alla somma di Lit. 116.407.550 dalla quale doveva dedursi quanto già liquidato e corrisposto allo stesso titolo, con il risultato che all’appellante competeva ancora la somma di L. 32.686.550, corrispondente ad Euro 16881,19= valutata al 2001;

2.3. la doglianza relativa alle spese di giudizio era (oltre che infondata apparendo la liquidazione congrua in relazione all’attività professionale svolta, inammissibile, non essendo state indicate le voci tariffarie che sarebbero state violate. Le spese di appello, liquidate in dispositivo compensate per la metà in considerazione del parziale accoglimento dell’appello, e quelle di consulenza tecnica per l’intero, dovevano porsi a carico degli appellati.

3. Ricorre per cassazione l’ U., sulla base di tre motivi, illustrati con memoria; resiste la Toro con controricorso e chiede il rigetto del ricorso. Questi sono i motivi:

3.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. Deduce che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado veniva richiesto il “risarcimento dei danni sofferti dall’istante”; nelle note autorizzate del 27.1.2000 insisteva nella CTU, chiedendo accertarsi e valutare anche il danno specifico subito dall’ U.; all’udienza del 30.10.2001 impugnava la CTU nel punto in cui non aveva rilevato il danno specifico; nelle note del 7.5.2001 chiedeva nomina di nuovo c.t.u. per valutare il danno neuropsicologico e specifico patito dall’istante. Chiede, pertanto alla Corte: “se costituisca domanda nuova di risarcimento di un danno specifico, richiesto in due note illustrative, nel verbale d’udienza, dopo esame di una c.t.u.; e comunque se possa il danno specifico, ove riconosciuto dopo la sentenza di primo grado, proprio per la sua lunga determinazione e valutazione dovuta all’inserimento nel mondo del lavoro di un giovane studente, essere risarcito ex art. 345 c.p.c.”;

3.2. Insufficiente motivazione sul fatto decisivo per il giudizio dei criteri di quantificazione del danno morale, perché‚ applicando le tabelle richiamate e la percentuale del 30% la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare in totale Euro 143,352,36, partendo da una base di Euro 95.568,24, aumentata del 50% per danno morale e non limitare il danno in L. 116.407.550. Chiede, pertanto, alla Corte se “Il giudice di merito, se ha deciso di attenersi alle valutazioni tabellari, deve effettuare i conteggi secondo le stesse e chiarire i vari criteri di determinazione secondo l’età del danneggiato e la percentuale di invalidità permanente, nonché il danno morale che varia dal 25% al 50% del danno biologico”;

3.3. Violazione e falsa applicazione D.M. Grazia e Giustizia 5 ottobre 1994, n. 584, e del successivo D.M. 8 aprile 2004, n. 127.

Lamenta che la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile il motivo di appello sulle spese perché “non erano state indicate le voci tariffarie che sarebbero state violate”. Nel fascicolo di primo grado,assume invece il ricorrente, era allegata la nota spese di giudizio con tutte le voci. Il giudice di primo grado si sarebbe limitato a liquidare 1/3 delle stesse senza motivazione. Lo stesso avrebbe fatto la Corte d’Appello. Chiede, pertanto, alla Corte se “E’ legittimo accogliere in foto le spese di CTU e liquidare solo parzialmente le spese di un avvocato che ha riportato conteggi di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127”.

4. Il ricorso è ammissibile, perché, diversamente da quanto dedotto in controricorso, la data di conferimento della procura speciale è agevolmente desumibile dalla circostanza che essa è apposta a margine del ricorso per cassazione ed inerisce e fa corpo con lo stesso. Si deve ribadire – ritenendosi così superata la giurisprudenza citata dalla parte resistente – che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l’impugnazione si rivolge. Infatti, la specialità del mandato‚ con certezza deducibile, quando dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità; il che accade nell’ipotesi in cui la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce (Cass. 8060/2007); v. anche Cass. n. 2800/2008, in motivazione), con la conseguenza che va ritenuto ammissibile il ricorso, considerando sufficiente, ai fini della prova dell’anteriorità della procura, l’apposizione della stessa a margine dell’originale dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione (Cass. n. 14967/2007).

4.1. – I motivi del ricorso si rivelano tutti inammissibili per mancanza del “momento di sintesi” in relazione al secondo motivo, che prospetta vizio motivazionale, nonché‚ per inidoneità del quesito di diritto formulato in relazione agli altri due.

4.2. – Infatti, l’art. 366 bis c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 21.11.2007), prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura, all’esito della sua illustrazione, non si traduca in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta un’illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

4.3. – Orbene, nel caso in esame, rispetto al secondo motivo che deduce vizi motivazionali, non è stato formulato il “momento di sintesi”, che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002), non potendosi intendere per tale il generico e tautologico quesito che conclude la seconda censura, senza indicare n‚ il fatto controverso, n‚ le ragioni che renderebbero la motivazione inidonea a sorreggere la decisione. Manca, quindi, in relazione a detta censura, l’adeguata sintesi, che circoscriva puntualmente i limiti della doglianza, in modo da non ingenerare incertezze nella formulazione del ricorso e nella valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. n. 20603/2007 e 16528/2008; Cass. n. 27680/2009, ord.). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta, perciò, impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08), che, invece, deve essere posta in condizione di comprendere dalla sola lettura del quesito o del momento di sintesi quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. n. 24255/2011).

4.4. – Inoltre, rispetto al primo ed al terzo motivo, che deducono, ancorché‚ impropriamente violazioni di norme di diritto (il primo non menzionando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed il terzo invocando come violazione di legge quella relativa ad atti di natura regolamentare quali i Decreti ministeriali indicati), i quesiti di diritto formulati si rivelano inidonei, dovendosi ribadire che il quesito non può consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poiché‚ una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

4.5. – Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti formulati in relazione al primo ed al terzo motivo del ricorso, dato che non contengono adeguati riferimenti in fatto (circa l’oggetto della questione controversa, n‚ circa la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso, n‚ la precisa indicazione delle effettive ragioni della decisione oggetto delle critiche dei ricorrenti), né espone chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, essi si limitano ad enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e specifiche indicazioni sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Inoltre, il quesito di diritto non può risolversi – come nella specie – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536; Cass. 25/3/2009 n. 7197).

4.6. – Senza contare che la mancanza degli indicati elementi influisce anche per altri versi sulla verifica dell’ammissibilità dei motivi del ricorso.

Relativamente alle doglianze espresse nel primo motivo con riferimento alla pronuncia d’inammissibilità, per tardività, della domanda di risarcimento del danno patrimoniale, il quesito si limita alla richiesta di affermazioni meramente valutative da parte della Corte, senza idonei riferimenti, come si è detto, all’oggetto della questione controversa, né soprattutto, circa la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso e circa le effettive ragioni della decisione oggetto delle critiche di parte ricorrente.

Ne deriva che la lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., non tiene alcun conto che l’ U. avesse proposto l’indicata richiesta soltanto nel giudizio di appello. Nelle conclusioni rassegnate con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e nella premessa in fatto del medesimo atto l’odierno ricorrente non aveva mai fatto riferimento ad un presunto danno patrimoniale, essendosi limitato a chiedere il risarcimento, esclusivamente, del danno biologico, danno morale e danno patrimoniale limitatamente alle spese mediche sostenute.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto che siffatta domanda fosse “nuova” e dunque inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.. N‚ la preclusione poteva essere superata per effetto delle semplici notazioni contenute negli scritti difensivi di primo grado, se la specifica domanda di risarcimento del danno patrimoniale non era specificamente contenuta nell’atto introduttivo del giudizio. L’ U., al fine di sostenere che il tema della risarcibilità del danno specifico era stato introdotto già nel giudizio di primo grado, richiama generici riferimenti prospettati in sede di formulazione dei quesiti al C.T.U. ed alcune generiche formule di stile impiegate negli atti difensivi e nei verbali di causa, senza che ciò possa scalfire l’indicata ed effettiva ratio decidendi: la domanda di risarcimento del danno patrimoniale non era stata ritualmente formulata nell’atto introduttivo del giudizio, essendo escluso che potessero assumere rilevanza processuale, ai fini della definitiva formazione del thema decidendum, i generici richiami alle formule di stile adoperate in seguito dall’odierno ricorrente.

Nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado non è stato effettuato dall’ U. alcun riferimento agli specifici criteri di valutazione del danno patrimoniale, che egli ha successivamente invocato con l’atto di appello, per pervenire ad una più soddisfacente determinazione dell’indennizzo richiesto. Nelle conclusioni dell’atto di citazione di primo grado, infatti, l’ U. ha invocato genericamente un risarcimento in misura da stabilirsi da parte del Tribunale e nella narrativa dell’atto di citazione di primo grado non ha accennato affatto a quelle specifiche situazioni pregiudizievoli a cui ha poi fatto richiamo, per la prima volta, nell’atto di appello, per giustificare la richiesta di liquidazione del danno patrimoniale. L’ U. nel corso del giudizio di primo grado non ha allegato alcun elemento di prova circa la sussistenza di particolari condizioni psico-fisiche che potessero giustificare un superamento dei parametri tabellari ed una personalizzazione del criterio di liquidazione adottato dal Tribunale, al fine di dare riconoscimento ai profili del danno alla capacità lavorativa specifica e di quello patrimoniale derivato dalle lesioni subite. Ne deriva che correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che il tema d’indagine relativo al riconoscimento di un danno alla capacità lavorativa specifica che l’ U. ha introdotto nel giudizio con l’atto di appello risultasse totalmente nuovo rispetto a quello prospettato nel giudizio di primo grado e, dunque, inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

Del tutto prive di pregio si rivelano anche la formulazione del quesito sul secondo motivo, nonché‚ della stessa trattazione della censura, tutta imperniata sull’asserita insoddisfacente liquidazione del danno morale. La giurisprudenza di questa S.C. privilegia il criterio di valutazione equitativa basata sul c.d. “punto d’invalidità”, calcolato sulla media dei precedenti giudiziali, congruamente personalizzato in rapporto al caso concreto per adeguare la liquidazione alla peculiarità del medesimo (Cass. n. 18641/2011; 20667/2010; 392/2007; 23918/2006). La Corte territoriale si Š comportata in armonia con siffatto orientamento, calcolando l’indennità dovuta per il profilo di danno in questione sulla scorta delle tabelle attualmente in uso presso le Corte di merito, in base alle quali il calcolo dell’indennità dovuta all’ U. era da eseguirsi nei termini esposti nella impugnata decisione, la quale non si rivela censurabile neppure sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto imperniata su una motivazione sufficientemente articolata e comprensibile, sebbene contrastante con quanto auspicato dalla parte ricorrente.

Deve, altresì, ribadirsi che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché‚ la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 13389/2011; n. 13327/2011; n. 6288/2011). La motivazione della sentenza della Corte territoriale, invece, consente di evincere che il ragionamento di detto giudice è scevro da errori e da contraddizioni ed Š condotto attraverso un filo logico agevolmente riscontrabile.

Anche il terzo motivo, relativo alla liquidazione delle spese del giudizio, presenta ulteriori profili d’inammissibilità. Invero, si deve ribadire che per giurisprudenza ampiamente consolidata (per tutte, Cass. n. 11537/02), in materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del Giudice di merito, insindacabile in questa sede, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste, nemmeno per una minima parte, a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 13229/11); qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione; salva, peraltro, la censurabilità della relativa motivazione ove a giustificazione della disposta compensazione siano addotte ragioni illogiche od erronee, peraltro non dedotte nel presente ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. 13 dell’11 gennaio 1988, 320 del 22 gennaio 1990, 551 del 29 gennaio 1990, 7535 del 9 luglio 1993; Cass. n. 12879/99).

5 – Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in favore della TORO SPA in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, in favore oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2013.

Redazione