Scommettitore smarrisce la schedina del Totocalcio: ha comunque diritto alla vincita (Cass. n. 19378/2012)

Redazione 08/11/12
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Ordinanza

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti.

“Il relatore, cons. ***************** esaminati gli atti, osserva:

1. C.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il CONI – Comitato Olimpico Nazionale – chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 240.042.000, oggetto di vincita al Totocalcio. Dedusse di aver smarrito il tagliando-figlia della schedina, così trovandosi nell’impossibilità di provare la propria legittimazione e di avere inutilmente tentato di sopperire alla perdita del documento fornendo al CONI una serie di elementi atti a dimostrare la sua identificazione con il soggetto che aveva effettuato la giocata vincente.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestò le avverse pretese.

Con sentenza del 1 giugno 2005 il giudice adito accolse la domanda.

Il gravame proposto dal CONI è stato respinto dalla Corte d’appello di Roma il 16 dicembre 2010.

2. Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione il CONI, formulando due motivi. Resiste con controricorso C.F..

3. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., per esservi rigettato.

La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile l’eccezione di decadenza ex artt. 10 e 11 del regolamento di cui al D.M. 23 marzo 1963 e D.M. 30 luglio 1998, opposta dal CONI, in quanto non tempestivamente sollevata nel primo grado del giudizio. Ha evidenziato in proposito che, stante la natura privatistica del contratto di Totocalcio, l’eccezione, non rilevabile d’ufficio, in base al disposto dell’art. 2969 cod, civ., doveva essere proposta entro il termine di cui all’art. 180 c.p.c., comma 2.

Di tale scelta decisoria si duole dunque l’impugnante nel primo motivo di ricorso. Con esso viene segnatamente denunciata violazione degli artt. 10 e 11 del regolamento del Totocalcio. In sostanza, secondo l’esponente, l’attore, non avendo esercitato il proprio diritto entro i sessanta giorni successivi alla data di pubblicazione del bollettino Ufficiale dei vincenti nonchè entro i sessanta giorni successivi alla decisione del reclamo proposto, era incorso nella decadenza prevista dalle predette norme regolamentari, decadenza la quale, vertendosi in materia sottratta alla disponibilità delle parti, era rilevabile anche d’ufficio.

4. Le critiche sono destituite di ogni fondamento.

Nel ritenere tardiva l’eccezione di decadenza il giudice di merito ha fatto coerente e corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte in punto di natura meramente privatìstica del concorso a pronostici denominato totocalcio (confr. Cass. civ. 10 gennaio 2003, n. 191). Non par dubbio, infatti, che, una volta acclarato detto carattere, e con esso la disponibilità dei diritti in gioco, le decadenze previste dalle norme regolamentari richiamate non possono che soggiacere al regime dettato dall’art. 2969 cod. civ. e cioè agli oneri deduttivi e alle preclusioni proprie delle eccezioni in senso stretto.

Non a caso la giurisprudenza richiamata dal CONI a sostegno delle sue censure è relativa alle decadenze previste dalle norme tributarie in ordine all’esercizio di poteri e facoltà del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria, e cioè a poteri e a facoltà sicuramente attinenti a situazioni non disponibili, in quanto soggette a una disciplina non derogabile, nè rinunciarle o modificabile dalle parti.

5. Il secondo mezzo, con il quale vengono denunciati vizi motivazionali con riferimento all’affermata sussistenza di ampi ed obbiettivi elementi per identificare nel C. il vincitore in assenza dell’esibizione del tagliando figlia, attiene a profili di stretto merito del convincimento del decidente che, in quanto congruamente motivati, attraverso il richiamo agli accertamenti e alle conclusioni del nominato consulente tecnico e a nozioni di fatto di comune esperienza ampiamente condivisibili, sono incensurabili in sede di legittimità. Non è superfluo in proposito ricordare che la Corte di cassazione non è giudice delle prove, ma giudice della esatta applicazione della legge, della corretta valutazione del materiale istruttorio e della esistenza di una motivazione completa e coerente a sostegno della decisione adottata (confr. Cass. 11 luglio 2007, n. 15489).

6. In tale contesto il ricorso appare destinato al rigetto”.

Ritiene il collegio di dovere fare proprio il contenuto della sopra trascritta relazione, alla quale il ricorrente non ha del resto neppure replicato.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Tenuto conto che spetta alla Corte di cassazione, adita in sede di ricorso contro la sentenza di appello del giudice di merito, pronunciarsi, ai sensi dell’art. 385 cod. proc. civ., con la sentenza di rigetto, sul diritto al rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte vittoriosa per resistere all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, proposta in virtù dell’art. 373 cod. proc. civ. – procedura incidentale i cui atti sono producibili nei modi e nei termini di cui all’art. 372 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 22 luglio 2011, n. 16121; Cass. civ. 25 marzo 2009, n. 7248) – la liquidazione delle stesse viene qui effettuata, insieme a quelle del giudizio di legittimità, facendo applicazione dei criteri stabiliti dal D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

Non sembra inutile precisare, in proposito, che le sezioni unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare che la norma di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41 a tenor del quale “le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”, è destinata ad operare anche con riferimento alla liquidazione del compenso spettante al professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria opera professionale, ancorchè tale opera abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando erano ancora in vigore le tariffe professionali abrogate. Tanto nella prospettiva che non è possibile segmentare le prestazioni in liquidazione nei singoli atti compiuti in causa dal difensore, oppure distinguere tra loro le diverse fasi di tali prestazioni, per applicare in modo frazionato, in parte la precedente, e in parte la nuova regolamentazione (confr. Cass. sez. un. 12 ottobre 2012, n. 17406).

Ne deriva che la liquidazione effettuata in dispositivo è relativa, in maniera omnicomprensiva, sia alle spese del procedimento di sospensiva, che a quelle del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 9,200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.

Redazione