Scappa degli arresti domiciliari: è reato nonostante l’evaso abbia una personalità border line (Cass. pen. n. 4931/2012)

Redazione 08/02/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p.1. Con sentenza del 17 febbraio 2010 la Corte d’appello di Bologna, riformando la decisione di primo grado, assolveva P.M. dal reato di evasione dagli arresti domiciliari con la formula “perchè il fatto non costituisce reato. Premesso che l’imputato era affetto da disturbo della personalità non così grave da escludere o scemare la capacità di intendere e volere, la Corte affermava che non v’era “la prova piena che l’imputato volesse allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari e non fosse spinto invece dalla necessità incontrollabile, derivante dalla patologia da cui era affetto, di sottrarsi ai tentativi terapeutici posti in essere nella struttura in cui si trovava”. La sentenza proseguiva ribadendo che “Il comportamento dell’imputato era condizionato dal disturbo borderline” e che pertanto mancava la certezza della coscienza e volontà dell’allontanamento abusivo, essendo credibile che “la volontà fosse invece viziata dalla patologia da cui l’imputato era affetto”.

Contro l’assoluzione ricorre il pubblico ministero, denunciando l’erronea applicazione dell’art. 43 cod. pen. e la manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione. p.2. Entrambi i motivi di ricorso sono fondati.

La sentenza impugnata ha commesso due errori, uno giuridico, l’altro logico.

Quello giuridico risiede nella confusione tra i diversi e distinti concetti di imputabilità e dolo. La sentenza sembra ignorare che il dolo, che è previsione e volontarietà dell’evento, presuppone necessariamente l’imputabilità, intesa come capacità di intendere e volere. Infatti ove l’agente, per patologia, età o altra causa specificata dalla legge non sia in condizione di intendere e volere, non può essere chiamato a rispondere delle sua azione e, quindi, salva l’ipotesi della seminfermità mentale, non si pone neppure la questione se abbia previsto e voluto l’evento e, in definitiva, se abbia agito con dolo.

Nel caso concreto il giudice d’appello, ha ritenuto non provata la sussistenza del dolo, perchè, a suo giudizio, l’imputato si era allontanato dalla comunità terapeutica presso cui era ristretto agli arresti domiciliari spinto da una “necessità incontrollabile, derivante dalla patologia da cui era affetto”. In tal modo il giudice a quo ha delineato una condizione psicologica caratterizzata dalla soppressione delle facoltà volitive per causa patologica, ossia un’ipotesi di non imputabilità per incapacità di intendere e volere dovuta a infermità totale di mente. Pertanto, in osservanza delle norme penali, avrebbe dovuto assolvere il prevenuto per difetto di imputabilità, essendo questa formula di proscioglimento pregiudiziale rispetto a quella del difetto di dolo.

L’altro vizio che balza evidente dalla lettura della sentenza impugnata è la contraddittorietà della motivazione, perchè il giudice d’appello, dopo avere premesso che l’imputato era affetto da un disturbo della personalità di tipo borderline tale da non escludere o scemare la capacità di intendere e volere, poi, contraddicendo quanto appena affermato, sostiene che lo stesso si sarebbe allontanato dalla comunità terapeutica “spinto dalla necessità incontrollabile derivante dalla patologia di cui era affetto” e, quindi, a causa di un’infermità mentale che aboliva ogni capacità di intendere e volere.

La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d’appello che, nel procedere a nuovo giudizio, dovrà evitare di ripetere gli errori sopra stigmatizzati.

 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna per nuovo giudizio.

Redazione